La settimana di pausa del campionato di LBA per le Nazionali assume la forma, come spesso capita, di un momento utile per fare un primo bilancio, facendo delle considerazioni su quello che il primo scorcio di partite ha saputo dire.
In casa Pallacanestro Varese le note positive da analizzare in tale senso sono tante e non potrebbe essere altrimenti visto che, esclusa la stagione degli Indimenticabili, stiamo parlando del miglior inizio di stagione biancorossa degli ultimi 10 anni.

8 punti in classifica, 4 vittorie, di cui le ultime 3 consecutive, e due sconfitte che ancora gridano vendetta ed evitando le quali Varese sarebbe lassù, in cima al campionato, come nel più bello dei sogni. Un momento magico frutto di tanti fattori, come detto, assolutamente positivi, ma tra i quali si insinua anche un rebus-non rebus che porta il nome di Tariq Owens.

Il lungo americano, infatti, rappresenta oggi il dilemma più grosso per i biancorossi, che devono trovare il modo di integrare al meglio il numero 41 in un contesto che per lui appare molto complicato.
Non parliamo di ambiente di squadra, nel quale per caratteristiche Owens dovrebbe trovarsi a meraviglia, in un gioco fatto di tanti pick’n’roll, corsa, velocità e poca, pochissima staticità, ma più in generale di un contesto di basket e di modo di stare in campo che ancora deve riuscire ad assimilare.

Se infatti non è in dubbio la sua bravura nel saper attaccare il ferro con grande verve ed intensità dopo aver rollato nel pick’n’roll con gli esterni varesini, quindi ricevendo palla in corsa, i problemi evidenti sorgono quando, in attacco, il lungo biancorosso si trova a giocare in post palla in mano. Qui si evidenziano le più grosse lacune a livello di movimento di piedi e di uso del perno, qualità utili per attaccare gli avversari spalle a canestro e fornire una soluzione alternativa al gioco di squadra.

Difficoltà che poi si evidenziano maggiormente in difesa, dove Owens deve ancora riuscire a capire come muoversi e soprattutto come occupare gli spazi al meglio, per non commettere i tanti, troppi falli ingenui che ancora oggi contraddistingunono le sue partite, vedasi la prestazione di Scafati. Una partita storta, nella quale però per la prima volta anche lo staff tecnico ha deciso, pur prendendosi un grande rischio, di rinunciare scentemente alla presenza del lungo americano, per riportare equilibrio e sostanza alla difesa del pitturato, prima che lo stesso Owens si chiamasse fuori da solo dal match commettendo insieme quarto e quinto fallo. Una considerazione che non deve allarmare ma quanto meno far riflettere, per quello che, per tutta l’estate biancorossa, era stato definito come il vero equilibratore tra le due fasi di gioco della OJM.

I motivi del rebus sono presto spiegati quindi, ma perché definirlo allora un non rebus? Semplice, perché Varese in questo momento non può fare a meno di lui: numericamente e fisicamente. Fisicamente perché è risaputo, Varese sotto le plance ha un oggettivo problema, finora mascherato in maniera perfetta, di chili e centimetri e se, per la prima caratteristica Owens fa ben poco, per la seconda diventa determinante. Numericamente perché il solo Caruso, per continuare a performare a questi livelli, è impensabile possa giocare 35 minuti a partita, necessitando così di un’alternanza che diventa essenziale anche per poter mantenere sempre alti i ritmi di gioco collettivi di una squadra che viaggia sempre su altissime velocità.

Il rebus-non rebus Owens dunque, arrva ad un momento di svolta importante per tutta Varese, che poi probabilmente è la più grande sfida di questo inizio di stagione per coach Matt Brase e il suo staff, ovvero rendere Tariq una risorsa preziosa con cui fare il definitivo salto di qualità verso le zone di alta classifica, eliminando quel dilemma che oggi attanaglia: Owens o non Owens, la risposta sta può essere solo una e va trovata al più presto.

Alessandro Burin

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