Il campionato per il Sumirago è iniziato al meglio, con la vittoria per 1-0 sulla Nuova Abbiate che ha subito dato slancio per la rincorsa ai play-off. Dopo un girone d’andata con più ombre che luci infatti, la truppa di mister Aiello ha tutta l’intenzione di rifarsi, ed in questo girone di ritorno potrà farlo con un’arma in più a propria disposizione: Giovanni Mocci.

La sua è decisamente una storia particolare, di quelle legate a filo diretto con il termine “coraggio”. Lo stesso che ci vuole per cambiare radicalmente la propria vita a più di 30 anni, trasferendosi l’estate scorsa per lavoro da quella che è stata la propria terra da sempre, la Sardegna, ad una provincia in capo all’Italia come Varese. Portando poi nel proprio bagaglio, come sempre, la voglia di rincorrere un pallone che da sempre è stata parte della sua vita. È così che nel mese di novembre Giovanni inizia a prendere confidenza con il nostro calcio varesino, approdando al Sumirago, diventandone in poco tempo una colonna portante. Ed è proprio con lui che abbiamo parlato del girone di ritorno che attende a questo Sumirago, oltre che, naturalmente, della sua storia.

Prima partita del 2022, contro la Nuova Abbiate e subito 3 punti, meglio di così non poteva iniziare il vostro girone di ritorno…
“Si l’importante era iniziare bene. Partite come quelle di domenica scorsa non sono mai facili: per me è più difficile battere una squadra come la Nuova Abbiate, che in questo momento è più in sofferenza in termini di classifica, che magari vincere contro una prima della classe, proprio perché squadre così non hanno mai nulla da perdere e se la giocano sempre fino alla morte. All’inizio magari eravamo ancora un po’ imballati e ci mancava il ritmo partita, poi però abbiamo trovato il gol e siamo stati fortunati nel secondo tempo perché loro hanno sbagliato il rigore. Ad ogni modo ci prendiamo ben volentieri i 3 punti”.

Calcio a parte, la tua storia è decisamente particolare, sei infatti arrivato qui a Varese per lavoro, esatto?
“Si esatto. Sono originario della Sardegna e dopo essermi diplomato ho fatto per nove anni il corriere per un’industria farmaceutica, dando poi una mano al vigneto di famiglia. Ho poi deciso però di cambiare, e di fare il concorso in polizia riuscendo ad entrare quasi all’età limite. Questo poi mi ha portato ad avere la possibilità di venire qui a Varese, e ti dirò che non mi dispiace affatto: mi trovo bene sia a livello lavorativo che a livello di persone. Nella squadra, ad esempio, ho trovato tutte persone cordiali ed è fantastico, perché a me alla fine non interessa solo lo spirito sportivo ma anche il terzo tempo. In Sardegna il calcio non è solo sport, ma socialità, ritrovarsi in un contesto, conoscere persone, e mi sto accorgendo che qui è uguale”.

Oltre al lavoro però c’è sempre stato anche l’amore per il calcio. Qual è stato il tuo percorso in questo senso?
“Io ho sempre giocato fino alla mia partenza. Ho iniziato nella squadra del mio paese in Terza, poi a 21 anni sono andato in un’altra squadra in Seconda categoria, venendo promossi poi in Prima. Dopo di che, per questioni lavorative, sono poi tornato nella squadra del mio paese, mentre negli ultimi anni sono riuscito a ritornare a disputare alcuni campionati in Prima, facendo tre anni in una squadra di un paese vicino. Ho un po’ di rammarico in questo senso perché negli ultimi anni eravamo una buonissima squadra: nel 2020 quando il campionato è stato sospeso a metà eravamo al quarto posto, mentre l’anno scorso avevamo fatto quattro vittorie nelle prime quattro partite prima di venire sospesi nuovamente. Quest’anno invece che sono partito, la mia squadra è stata ripescata in Promozione, quindi diciamo che non mi è nemmeno andata bene. Ad ogni modo, anche quando sono venuto qui mi sono subito accorto di come mi mancasse il calcio giocato, e quindi ho iniziato a provare qui a Sumirago, trovandomi subito molto bene”.

Sei arrivato da poco ma per mister Aiello sei già diventato una colonna portante. Qual è stato il tuo segreto per ambientarti così in fretta con la squadra sia in campo che fuori?
“In realtà non lo so neanche io. L’altra domenica, ad esempio, il mister mi ha dato la fascia da capitano, ed io non ero nemmeno troppo d’accordo perché comunque sono qui da poco e c’erano compagni che erano qui da molto più tempo di me. Il mister, ad ogni modo, si era convinto di questa scelta, dicendomi che dovevo trasmettere la mia esperienza alla squadra e alla fine diciamo che la prima partita è anche andata bene”.

Il Sumirago, in questo momento, ha una squadra con molti giovani. Ti senti di avere un po’ un ruolo di guida verso di loro?
“Sicuramente si, il mio compito penso che sia quello di trasmettergli la tranquillità, anche perché le giocate più importanti non le fanno i singoli ma le fa la squadra: un bravo giocatore può anche fare la differenza in una partita, ma i risultati arrivano quando tutta la squadra dà suo contributo. Poi io penso che in una squadra ci voglia sempre il giusto mix di esperienza e gioventù: questa domenica, ad esempio, ho giocato io centrale, con il resto della linea di difesa che era composta da un 2003 e due 2004: insomma in tre facevano la mia età (ride n.d.r.)! Però è giusto così, è giusto che il mister dia fiducia a questi giovani, che se non giocano non faranno mai esperienza”.

Questa domenica ve la vedrete con un avversario ostico come il Torino Club. All’andata finì 2-2 con un tuo gol. C’è possibilità di ripeterti?
“Speriamo! In realtà preferirei anche non segnare, ma che la squadra raccolga i tre punti. Però si, sarà certamente una partita ostica, loro sono esperti, davanti ricordo molto bene che hanno dei bei giocatori che si trovavano bene. In settimana sicuramente il mister la preparerà al meglio come al suo solito, e poi vedremo domenica che succede”.

Francesco Vasco

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