Chiunque mastichi un minimo di karate conosce bene il NipponKempo, ma per i neofiti tale terminologia equivale ad un grosso punto di domanda. Per rispondere, pertanto, è opportuno rivolgere tale questione a chi di arate se ne intende da sempre e, a tal proposito, chi meglio di Dario Martin? Il Maestro presso la Carpe Diem di Castronno, nonché responsabile italiano per la Federazione Mondiale WNKF e arbitro internazionale, ben si presta a rispondere a tutte le nostre curiosità.

Maestro Martin, come si avvicinò al Karate NipponKempo?
“Sono nato a Varese nel 1966 e, dopo aver praticato varie arti marziali come Karate, Kung Fu e Judo, a sedici anni, mi appassionò anche il NipponKempo dopo averlo visto nell’allora palestra varesina chiamata Fuji-Yama. La metodologia NipponKempo, nel combattimento sportivo o kumitè, prevede come tecniche anche prese, leve e proiezioni, nonché la possibilità di lottare anche da terra. Oltre ad aver gareggiato anche a livello regionale e nazionale, in carriera disputai quattro campionati mondiali tra Francia, Inghilterra e Messico; partecipai anche a sei campionati europei e a cinque italiani”.

Quali sono le origini del NipponKempo?
“Si ritiene che provenga dal Kung Fu cinese, praticato dai monaci Shaolin, e che abbia subìto degli influssi anche da parte del Ju-jitsu, arte marziale giapponese. Il NipponKempo moderno fu codificato nel 1932 dal Sensei Mumaomi Sawayama, il quale unì come discipline il Karate, che non prevedeva le proiezioni, e il Judo, nel quale erano assenti sia i pugni che i calci: a questa sintesi aggiunse anche le corazze, le maschere di ferro e i guantoni. Lo scopo delle corazze è quello, nel combattimento sportivo, di poter colpire gli avversari senza danneggiarli; nel NipponKempo le prese sono simili a quelle del Judo, ma si effettuano con il palmo della mano. In generale, gli allievi si allenano anche a cadere correttamente”.

Il NipponKempo prevede anche degli stili diversi?
“Sì. Il Kai è quello praticato in Giappone nei territori a sud di Osaka; il KyoKai invece è quello praticato a nord della capitale Tokyo. Lo stile KyoKai richiama in parte anche il Kickboxing: i katà del Karate, noti anche come forme o dimostrazioni di tecniche, nel metodo NipponKempo prevedono anche le leve e le proiezioni, e si possono svolgere anche in coppia o a quattro. Nel combattimento o kumitè si valuta anche l’abilità del karateka a lottare da terra. Credo nel complesso, che il NipponKempo sia associabile a tutti gli stili del Karate”.

Il NipponKempo prevede anche l’impiego di armi?
“No. Il NipponKempo è praticato dalla polizia giapponese per il combattimento sportivo, e anche dall’ esercito nipponico che, solamente nel contesto militare, inserisce i bastoni. Mentre lo praticavo, ho approfondito anche il Kali Filippino, un’arte marziale diffusa in origine tra gli indigeni delle Filippine all’ epoca dei conquistadores spagnoli, che prevede l’utilizzo del bastone o escrima, e anche il machete. Mi sono interessato anche al Chi Kung cinese, una forma di energia interiore, in origine considerata come disciplina rivale del noto e molto diffuso Tai Chi, e anche all’allora sistema chiamato actual fighting. Dalla conoscenza di tutte queste arti marziali ho creato un sistema di difesa personale”.

Quanto dura in generale un incontro di NipponKempo?
“Dipende dai regolamenti, ma in generale due o tre minuti: lo scopo è quello di ottenere i punti, chiamati Ippon. Per ottenere un Ippon, bisogna eseguire una tecnica precisa di forza, velocità, precisione e controllo. Nell’incontro da due minuti il karateka che ottiene due Ippon vince anche prima del limite di tempo previsto; nel combattimento sportivo, non è presente il vero e proprio ko. Solo in Italia il NipponKempo è inserito insieme al Karate o al Ju-Jitsu, mentre in altri stati del mondo è considerato un’arte marziale autonoma”.

Come si svolgono le prove d’esame nel Karate NipponKempo?
“Includono l’esecuzione dei fondamentali, noti come Kyon, e anche le proiezioni, leve e cadute. Poi il combattimento anche da terra, e i katà. Il Sensei Mori Kyokai attribuiva molta importanza al katà come requisito fondamentale, e solo in seguito ad averlo appreso molto bene riteneva che fosse poi possibile svolgere il combattimento”.

Il NipponKempo è praticato sia da atleti agonisti che da amatoriali?
“Sì, gli amatoriali per ragioni di passione o autodifesa. Tra gli agonisti italiani, Roberto Conconi, 51 anni, vinse l’oro negli Internazionali di Los Angeles; Gerardo Rossignoli, 52 anni, l’argento agli Internazionali in Francia; Massimo Sandre, 53 anni, nel 1999 vinse i Regionali. In particolare, gli agonisti apprezzano molto il combattimento sportivo e i generi di katà che si svolgono in queste competizioni”.

Per quale ragione la vostra palestra si chiama Carpe Diem?
“La aprii nel 1992. Carpe Diem è una citazione latina che significa cogli l’attimo: nel kumitè bisogna cogliere l’istante opportuno per poter colpire oppure per difendersi. L’ho scelta come idea e principio basilare”.

Nabil Morcos

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