Sono giorni di attesa per le società di Eccellenza, che a breve potrebbero (e dovrebbero) ricevere notizie più certe sulla ripresa del campionato lasciato in sospeso a metà ottobre. In cima alla classifica c’era la Varesina, protagonista di un inizio di stagione dirompente che l’aveva portata al primo posto a punteggio pieno, con 12 punti in 4 partite. Si potrà continuare da lì?
A farci il punto della situazione attuale, tra protocolli, voglia di normalità e tentativi di ripartenza, è il Team Manager e Direttore Operativo Damiano Micheli, ex terzino classe 1987 che ha concluso la sua carriera proprio con la maglia delle Fenici, indossata nella stagione 2019/2020. L’intesa vincente è nata sia dentro che fuori dal campo, come lui stesso racconta: “In Varesina mi trovo molto bene: siamo sulla stessa lunghezza d’onda, quindi è tutto positivo. Il campo chiaramente manca, ma mi considero una persona che tendenzialmente guarda oltre. Ho fatto questa scelta, ponderata, e la porto avanti senza rimpianti. Il calcio è tutta la mia vita e la nostalgia si fa sentire, ma stando a stretto contatto con i ragazzi la vivo comunque bene”.

L’ufficialità della ripartenza dovrebbe essere una questione di giorni. Come vedi questa decisione e il momento che stiamo vivendo?
“Sono abituato a stabilire priorità e in questo momento la salute è davanti a tutto, anche se chiaramente tutti vorrebbero ripartire e tornare a una sorta di normalità. Il regolamento di adesso ci permette di farlo e attendiamo che sia ufficiale. Sono pienamente positivo per la scelta che hanno fatto e penso che daranno alle società un mesetto di tempo per prepararsi e organizzarsi. Poi non resterà altro che fare le cose con coscienza e rispettare le regole, com’è giusto che sia, perché a monte c’è la salute di tutti e dobbiamo uscire il prima possibile da questa pandemia, che a livello mentale sta distruggendo tante persone, dai bambini agli anziani. È una situazione pesante per tutti e secondo me facendo qualche sacrificio si può cercare di andare avanti. Non credo poi che il calcio sia il problema perché è uno sport all’aria aperta. Se pensiamo ai casi di positività tra i professionisti, io sono convinto che non prendano il covid a una partita, altrimenti in campo si sarebbero dovuti contagiare tutti. Per noi, con questo nuovo protocollo che dovrebbero attuare diventa tutto molto controllato. Certo, è un po’ più dispendioso, ma almeno permette di ripartire in sicurezza. Siamo in Eccellenza, quindi qualche sacrificio bisogna farlo, e non faccio questo discorso perché siamo primi, lo farei anche se fossimo ultimi. So che mettere d’accordo tutti diventa difficile, però l’obiettivo non deve essere prettamente personale ma comune, ovvero tornare alla normalità e aiutare i ragazzi, perché a questi livelli per tanti di loro il calcio è un lavoro”. 

Come stanno affrontando questo stop e come vi siete mossi per gli allenamenti?
“Parlando con i ragazzi si capisce che soffrono. Li abbiamo sempre tenuti all’erta e si preparano per conto loro, ma allenarsi a livello individuale dopo un po’ diventa pesante, quindi si spera di poter rientrare il prima possibile in questa formula dei tamponi. Abbiamo sempre creduto nella ripresa e ora vediamo come muoverci. Se in Federazione si sono esposti, in teoria vuol dire che si riparte, ma vogliamo aspettare l’ufficialità per fare sempre le cose a regola d’arte. Poi il format del campionato sarà il minore dei mali perché l’importante è che i ragazzi tornino a giocare, sempre nel rispetto della salute, altrimenti starebbero fermi un anno”.

Passiamo ora alle giovanili. Condizioni meteorologiche permettendo, dovrebbero riprendere gli allenamenti individuali. Come volete impostare questo tipo di lavoro?
“Con i bambini il discorso è un po’ più difficile perché ci sono meno controlli, mentre in Prima squadra si farebbe il tampone ogni venerdì. Ma siamo fiduciosi e non vediamo l’ora di ricominciare. Siamo aperti a tutte le opzioni possibili, anche se chiaramente non potendo usare gli spogliatoi tutto dipende dalle temperature. Se fa freddo non è il caso di far allenare un bambino che poi magari deve stare mezzora in macchina, sudato, o aspettare il genitore che lavora e arriva tardi a prenderlo. Prima i ragazzi arrivavano col pulmino, ma ora non è più possibile. Sono tutte problematiche che la gente non conosce e una situazione del genere non è mai facile. Comunque, sperando che le temperature poi siano un po’ più calde, abbiamo pensato a un format per il fine settimana. Fortunatamente abbiamo tanti centri e tanti spazi per organizzarci. Vorremmo vedere come va e poi nel caso andare avanti anche in estate, visto che con loro se magari si perde un mese adesso lo si può recuperare dopo. Anche con le giovanili, tutto quello che facciamo è per i ragazzi perché ne stanno soffrendo tantissimo. Come per la Prima squadra, è il fine che fa la differenza e il nostro è fare del bene ai bambini e restituire un po’ di normalità, perché il loro sfogo è andare a calcio e non poter giocare li fa stare male a livello mentale. Per loro e per tutti, la speranza e l’augurio è di superare questo momento complicato il prima possibile e reagire in modo positivo, perché altrimenti diventa ancora più dura”.

Silvia Alabardi

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