E’ da pochi giorni campione di Spagna, ma il suo nome è legato in maniera indelebile anche alla storia recente di Varese. Achille Polonara, che oggi è un affermatissimo giocatore di calibro europeo, lega la sua carriera, fatta di una crescita continua anno dopo anno, all’esplosione che ebbe nei due anni in maglia biancorossa, con i quali segnò pagine importanti della storia varesina e fu uno dei componenti della squadra degli “Indimenticabili”.
L’ala italiana, lasciata Varese, in Italia si afferma con le maglie di Reggio Emilia e Sassari, con le quali vince rispettivamente una Supercoppa Italiana e una Fiba Europe Cup, non riuscendo però mai a conquistare lo scudetto, cosa che gli è appena riuscita in Spagna con il Saski Baskonia.

Quant’è l’emozione per questo successo?
“E’ stata una grande gioia, arrivata anche in maniera inaspettata, non sapendo come si sarebbero sviluppate le cose rispetto alla pandemia. Per fortuna abbiamo ripreso a giocare anche se, dopo tre mesi passati in casa senza poterci allenare, senza poter toccare la palla, è stata molto dura tornare alla normalità. Piano piano siamo tornati in forma ed una volta arrivati a Valencia l’ambizione non ci mancava, volevamo fare qualcosa di grande e abbiamo raggiunto questo obiettivo”.

Quale aspetto è stato più difficile recuperare nella ripartenza post lock-down? Quello fisico o quello psicologico?
“Entrambi, anche se, per quanto mi riguarda, è stato più complicato il fattore psicologico. Il fatto di non sapere se si sarebbe riniziato a giocare è stato molto pesante. Sono un tipo poco paziente per le cose che mi interessano e mi riguardano e stare a casa senza sapere se e come avremmo concluso la stagione mi lasciava in un limbo molto complicato psicologicamente. Dopo che ci hanno comunicato la ripresa della stagione, tutto è stato in discesa”.

Ci sono due momenti dell’ultima gara legati a lei in maniera indelebile: il suo assist decisivo e la corsa sui gradoni a fine partita. Le chiedo se sono stati due gesti istintivi o ragionati?
“Sicuramente il passaggio è stato un gesto ragionato. Quando ti arriva quella palla a 5 secondi dalla fine devi trovare il vantaggio maggiore per poter vincere la partita. Ho visto il taglio di Vildoza nel momento giusto in cui dovevo farlo, anche perché lo stavo aspettando, sono riuscito a passargli la palla ed è andato tutto bene. Per quanto riguarda la corsa sui gradoni è stata una cosa istintiva. Avevo una gioia immensa che non sapevo come scaricare e mi è venuto istintivo fare quella corsa”.

Com’è stato disputare queste partite a porte chiuse?
“La prima partita è stata un po’ strana, non avevo mai giocato a porte chiuse. Poi, vedendo anche le altre partite dell’altro girone senza pubblico, mi ci sono abituato. Ora ci sembrerà strano ricominciare con gli spalti pieni di gente, ma non vediamo l’ora che questo accada”.

Lei a Varese ha sfiorato una grande impresa nell’anno degli Indimenticabili. Quali emozioni ha provato in quella stagione e cosa ne pensa del mercato che la società biancorossa sta portando avanti in questa campagna acquisti?
“Ho dei ricordi stupendi di Varese ed ogni volta che ho la possibilità di passare in zona mi fermo perché ho ancora tanti amici lì. Naturalmente in particolar modo, ho dei ricordi fantastici di quella stagione nella quale, purtroppo, siamo usciti in semifinale in gara sette con Siena, forse a causa dei vari infortuni che ci colpirono, perché né io né Dunston giocammo quella partita. Magari con la squadra al completo le cose sarebbero andate in maniera diversa. Per il mercato ho visto che, oltre Scola, hanno firmato italiani importanti come De Vico, Ruzzier e penso che la società stia allestendo una buona squadra. Varese è una città dove si mangia pane e basket e non penso che con l’arrivo di Scola cambierà l’entusiasmo della città per la pallacanestro, che è sempre enorme e straordinario. Sicuramente i tifosi saranno felicissimi di questo arrivo in una delle piazze storiche del basket italiano dove la passione per questo sport c’è da sempre e sempre ci sarà”.

Alessandro Burin

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