E’ ripartito a gonfie vele il progetto “Basket: Una scuola di vita” di Pallacanestro Varese, giunto alla diciannovesima edizione. Un percorso socio-educativo nato con l’idea di far vivere un’esperienza unica ai ragazzi delle scuole con la possibilità di incontrare i campioni del mondo della pallacanestro e poter trarre da essi consigli, indicazioni, storie ed insegnamenti.
Oggi come non mai, a causa del covid 19, che ha bloccato qualsiasi forma di socialità della vita quotidiana, dal vivere la propria attività sportiva al riunirsi con gli amici, il richiamo a quei valori che sono figli dell’aggregazione tra ragazzi e di ciò che lo sport insegna sono fondamentali. La responsabile del progetto, la dottoressa Raffaella Demattè, fa un escursus sulla storiologia di questi anni, parlando di come è cambiato il progetto e delle risposte ricevute e porta lo sguardo su un futuro che si spera possa tornare a regalare tutte quelle occasioni di incontro che dava prima.

Con quale mission e come si è sviluppato il progetto “Basket: una scuola di vita” nel corso degli anni?
“Il progetto è arrivato alla sua diciannovesima edizione continuando a svilupparsi anno dopo anno. Nato con l’idea di creare un incontro tra giocatori e ragazzi, con i primi che erano testimonial della loro esperienza e di come con la dedizione ed il lavoro si potessero raggiungere grandi risultati, con il passare degli anni il progetto si è sviluppato sempre più. Partendo dall’incontro nelle scuole abbiamo avuto la possibilità di portare i ragazzi al palazzetto per le partite, poi si è aggiunto un discorso di tifo fair, quindi richiedendo alle scolaresche di venire alle partite con uno striscione fatto da loro e tifare per i biancorossi; poi, ancora, abbiamo avuto l’idea di far fare agli studenti un elaborato sull’esperienza e coinvolgerli sempre più. Una delle novità maggiori che si è sviluppata negli anni è stata la possibilità di portare anche giocatori stranieri nelle scuole, penso ai licei linguistici, ottenendo come risultato delle interazioni tra ragazzi e giocatori davvero bellissime. Negli anni fortunatamente si sono poi creati anche i licei sportivi, o comunque licei con anche l’indirizzo sportivo, che ci hanno permesso di poter indirizzare con ancora più valore questo progetto vista la stretta correlazione di esperienze di crescita tra i giocatori ed i ragazzi che frequentano questo tipo di scuole. Il progetto è sempre stato sostenuto ed incoraggiato da uno sponsor, ad esempio inizialmente Whirpool, poi c’è stata Teva, quest’anno FNM, ed ognuno di essi ha sempre veicolato un messaggio ulteriore a quelli di centralità dello sport nel processo educativo che poi è il fulcro del progetto. FNM, ad esempio quest’anno sponsorizza un discorso di mobilità sostenibile molto importante. Negli anni io mi sono avvicinata anche ad un coach umanistico, per poi declinare la via del percorso verso un’ottica di sport come palestra di felicità e di autorealizzazione. Ovviamente a seconda dei ragazzi che ci troviamo davanti, se elementari, medie o superiori, la declinazione dei contenuti varia”.

Come viene sviluppato un progetto del genere, che è nato come occasione di socialità, in tempo di covid 19?
“Innanzitutto ci tengo a sottolineare come ogni incontro sia diverso, ogni esperienza sia unica nel suo genere e come ci sia sempre una diversa declinazione del messaggio che il progetto vuole lasciare ai ragazzi. Quest’anno più che mai, la sfida è galattica. E’ un anno in cui è molto difficile dedicarsi al sociale, sfera di cui fa parte il nostro progetto, e questa cosa secondo me non va bene. Ritengo sia fondamentale sviluppare progetti che coinvolgano i ragazzi che vivono una problematica di didattica a distanza e di come questa li porti a perdersi esperienze della quotidianità che difficilmente potranno recuperare o vivere. Tutte quelle attività connesse al nostro progetto che si sono sviluppate negli anni, dal venire alle partite, a fare cartelloni agli incontri in presenza, sono state spazzate via dal covid con un danno enorme. Questa è una cosa veramente grave, perché sono esperienze di vita, delle occasioni, che non recupereremo mai”.

Come sono andati i primi due incontri di settimana scorsa ? 
“Sono andati veramente bene. Abbiamo avuto una risposta come mai primi d’ora, per cui penso che utilizzare lo slogan “distanti ma vicini” sia più appropriato che mai. Ovviamente la buona riuscita di questi incontri spesso è anche correlata all’approccio che gli insegnanti delle scuole danno all’incontro, facendolo vivere ai ragazzi come un’opportunità unica di crescita e non come un’ora buca in mezzo ad una giornata di lezioni. Le prime due scuole incontrate sono state impeccabili in questo, prima i ragazzi della scuola media Maria Ausiliatrice e poi due classi delle elementari che tramite LIM seguivano l’incontro. Io ero con Giancarlo Ferrero, che è un ragazzo molto preparato, empatico a mille, che si sta laureando e che porta la sua realtà di studente anche ai ragazzi. Abbiamo avuto un colpo allo stomaco nel vedere i ragazzi come fossero sistemati, distanziati, con la mascherina vivendo un’esperienza di socialità completamente diversa dal solito. Devo ammettere che ogni giorno vediamo la gente con le mascherine, il distanziamento e tutte le norme di prevenzione, ma vederle messe in atto in un’occasione del genere, con i ragazzi attentissimi e concentratissimi nel rispettare le regole ci ha lasciato veramente colpiti. C’è stata una partecipazione ed una voglia di interagire mai avuta prima ed è stato bellissimo. Non solo per le domande che hanno posto a Giancarlo ma per l’interazione sana e spontanea che si è creata, portando ad una chiaccherata molto formativa e franca”.

Quanto secondo lei è importante trattare il tema della centralità dello sport nel processo educativo in questo periodo dove l’incontro tra i ragazzi è sempre più difficile e lo sport è fermo?
“E’ importantissimo. Infatti Ferrero ha cercato di portare un messaggio di conforto a questi ragazzi che vedono sconvolto ormai da un anno tutto ciò che riguarda la sfera sportiva della loro vita, causando un danno gravissimo a quelle che possono essere le loro future ambizioni. Bisogna ragionare che ad età come i 14 o i 15 anni, nel pieno pre agonismo o agonismo, perdere completamente un anno di attività sportiva possa incidere indelebilmente sulla formazione e sulle aspirazioni future dei ragazzi nella loro disciplina. La pandemia sta togliendo occasioni che non torneranno mai più, un dato di fatto terribile ed il minimo che può fare una società come Pallacanestro Varese, conosciuta, seguita ed ammirata, secondo me è portare avanti questo messaggio di presenza, dicendo che noi ci siamo e continuiamo ad esserci per questi ragazzi. Ripeto l’ossimoro “distanti ma vicini” non è mai stato valido come in questa occasione”.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il prosieguo degli incontri a gennaio?
“La speranza è che si possa presto inivitare tutti i ragazzi alla premiazione del concorso collegato al progetto che verrà valutato dal 15 maggio in poi, data di scadenza per la consegna degli elaborati. Ho detto a tutti i ragazzi che li spettiamo al palazzetto per questa festa tutti insieme e magari, convinta com’ero nella mia testa, di poterli già portare al palazzetto da febbraio, anche se ad oggi è più un auspicio mio e di Pallacanestro Varese che una certezza si possa sviluppare. Purtroppo è una pandemia che sta penalizzando tutti, se penso al campionato io lo trovo poco veritiero in termini di risulati, perché il basket senza pubblico non è davvero basket, a Varese forse più che in altre realtà visto quanto la cornice di pubblico incida sul morale e sullo spirito dei giocatori in campo. Mentre aspettiamo che la situazione migliori, continuiamo con il nostro progetto a gennaio in collaborazione con il nostro sponsor, integrando gli incontri con un fumetto legato alla mobilità sostenibile in tempo di pandemia e cosa fare per proteggere noi e gli altri quando andiamo in giro, che è un tema molto sensibile in questo periodo”.

Alessandro Burin

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