Molti proveranno a bussare alle porte del Paradiso, pochi avranno la fortuna di entrarci. Parabole, satelliti, decoder analogici, digitali, extraspaziali. I nuovi campi sportivi sono gli schermi televisivi di ogni ordine e grado che ci portano un carico di sfide ed emozioni, episodi di fair play da raccontare, momenti di sconforto, attimi di esaltazione, spicchi di follia. 

Campionati di ogni ordine e grado, dal calcio al basket, al volley, trionfo dell'agonismo a pagamento, terreno fertile per il tubo catodico, Eldorado da divano per gli sportivi da salotto. Lo sport spettacolo si prepara al sacrosanto vernissage, noi mortali attendiamo le imprese mirabolanti dei fuoriclasse del gesto tecnico, artisti del movimento, veicoli di promozione sportiva e fair play, siamo pronti a cadere preda della Sindrome di Stendhal di fronte ad una giocata, una discesa, una sospensione, una ricezione, attendiamo il momento di celebrare il sogno e la passione attraverso la Messa laica dell'atto sportivo. Non di solo pane vive l'uomo, non di solo agonismo campa lo sport. Da contraltare al patinato reame del professionismo, celebriamo anche le migliaia di ragazzi e ragazze che sui campi di paese si preparano a riprendere l'attività motoria con nuovi stimoli, speranze, desideri. Sfide e rivincite, riscatto ed affermazione, i buoni maestri sanno condurre le pulsioni, concedere chance di vittoria educando al fair play ed al corretto movimento, interpretare i sogni proponendo esempi positivi. L'augurio è che il nuovo anno sportivo si porti via definitivamente i manovali dell'attività motoria, Hannibal Lecter dell'educazione sportiva, cannibali del gioco, del divertimento, della gioia del movimento. Celebriamo insieme l'attesa sportiva con un  esempio di fair play da superstizione, non raro in un crogiuolo di razze come il Brasile, ma comunque clamoroso per lo sviluppo dei fatti. 

Anni Cinquanta, Rio de Janeiro, la Botafogo, popolare squadra di calcio sostenuta dagli intellettuali, è guidata dal vulcanico presidente Carlito Rocha (nella foto), maniacale nel ripetere gesti e parole se funzionali alla vittoria della squadra. Era capace di preparare egli stesso il cibo della squadra, o di imporre l'ingresso agli spogliatoi in fila per due, o addirittura di permettere al suo cagnolino di urinare contro il palo della porta del portiere avversario. Proprio questi esercizi di superstizione gli procurarono l'ostilità di molti, ma Carlito tenne duro, la gente umile lo amava e, oltretutto, la squadra otteneva ottimi risultati. Finchè nel 1959 ci fu l'apoteosi. Finale di Copa Brasil contro il Flamengo. Il pullman della squadra è a pochi kilometri dallo stadio Maracanà, l'autista, per errore, imbocca una strada contromano ed inizia la retromarcia. Carlito Rocha se ne accorge, intima all'autista di arrestare il mezzo, obbliga i giocatori a scendere e proseguire a piedi esclamando “La mia squadra non retrocederà mai, nemmeno in pullman!” Un idolo!

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