Per chiunque ami il basket il 26 gennaio, ormai da tre anni, è diventata una data indelebile nel cuore e nella memoria. Si perché nel 2020, oggi, la pallacanestro perdeva uno dei suoi più grandi interpreti, Kobe Bryant, rimasto vittima di un tragico incidente mentre si trovava sul suo elicottero con la figlia tredicenne Gianna Maria ed altre sette persone.

Una perdita che sconvolse tutti per l’icona Kobe Bryant e per l’uomo, un giocatore che ha ispirato generazioni e generazioni di giovani cestisti e che continua a farlo, per chiunque viva nel suo ricordo, nelle sue gesta in campo di un campione senza tempo che ha fatto sognare tutti gli appassionati di pallacanestro ed ispirato tantissimi personaggi del mondo dello sport.

In questo triste giorno abbiamo deciso di commemorare la memoria del Black Mamba, contattando coach Paolo Galbiati che, nel 2016, ebbe l’opportunità di conoscere Kobe Bryant in un camp estivo organizzato al Palalido di Milano, in quello che fu un incontro indimenticabile per l’assistant coach della Pallacanestro Varese: “Quando mi chiesero di partecipare alla giornata in cui avrebbe presenziato Kobe fui felice come quando un bambino incontra il proprio idolo di sempre. Lui per me è sempre stato una fonte d’ispirazione, al di là poi di quelli che possono essere stati alcuni comportamenti extra campo ma lì, essendo un uomo come tutti noi, può sbagliare e io non sono nessuno per giudicare. Per me Kobe è sempre stato un esempio per la dedizione ed il sacrificio che metteva nel lavoro in settimana ed in partita, al di là poi di tutta la narrativa che su di lui è stata fatta. Quando lo vidi entrare in palestra fui il primo a battergli il cinque e fu un momento indimenticabile: in quell’occasione si dimostrò una volta di più ancora essere fuori categoria, come persona e come giocatore. Ciò che più mi impressionò, oltre che la proprietà di linguaggio italiano, fu l’attenzione ai dettagli e la cura dei particolari che esprimeva nello spiegare ai ragazzi presenti come fare un determinato movimento. Aveva qualcosa di magnetico che ti teneva incollato a lui anche se diceva cose normali. Ci sono delle foto dove io sono davanti a lui che spiego e lui che mi guarda con attenzione e quando le riguardo mi dico: “Wow, non posso crederci” (ride, ndr). Quando è mancato per me è stato un momento di spaesamento totale, non potevo crederci. Kobe, come tanti altri grandi dello sport, spesso vengono visti e li vediamo come esseri sovrannaturali, che non possono rimanere vittime di queste cose e quando accadono ti spiazzano. Ogni tanto mi piace fermarmi a rileggere alcuni passaggi dei suoi libri che ho a casa e che per me sono fonte d’insegnamento e d’ispirazione continua. Pochi giorni fa è stato il diciassettesimo anniversario di quando segnò 81 punti in una sola partita, a me sembrava passato molto meno tempo. Chiunque lo abbia visto giocare è stato davvero fortunato e sicuramente non lo dimenticherà mai“.

Alessandro Burin

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