Mattia Monticone, difensore classe 1994 nato a Genova l’11 maggio, può considerarsi un sampdoriano Doc: tutta la trafila nelle giovanili blucerchiate fino ad arrivare alla formazione Primavera, da capitano, e la convocazione in prima squadra.
Sei un genovese con fede rossoblù o per la Doria?
“Diciamo, diplomaticamente, che tifo per la squadra in cui gioco…”.

La Sampdoria ti ha dato tanto?
“Tantissimo, sono cresciuto con la maglia della Samp addosso. Sono arrivato da bambino e me ne sono andato da grande. Calcisticamente mi ha formato, umanamente mi ha cresciuto molto. Ho avuto la fortuna di arrivare anche in prima squadra e di scendere in campo in un’amichevole contro il Parma”.

Dopo la Sampdoria il Pavia (gennaio 2013) nella tua prima stagione nel calcio dei grandi.
“Avevo 18 anni e volevo fare un’esperienza nel calcio vero. Quando c’è stata la possibilità di andare in Serie C a Pavia non ci ho pensato molto: ho scelto subito di mettermi in gioco e andare. A Pavia sono cresciuto tantissimo, sia come uomo che come giocatore, ho capito la differenza tra il calcio giovanile e il calcio professionistico. E’ stata un’esperienza che ricordo con molto piacere anche grazie al gruppo dei vecchi che mi ha aiutato tanto. Alla fine la mia scelta è stata premiata, la stagione è andata bene e mi ha permesso a fine anno di poter andare in prestito nell’ambizioso Lumezzane”.
Tre stagioni in Serie C con i rossoblù (51 presenze e 2 reti): bene la prima, poi qualcosa non è andata come doveva.
“Nel mio primo anno ho fatto davvero bene tanto che all’inizio della stagione successiva ero pronto per andare in ritiro con la Sampdoria che deteneva il 50% del mio cartellino. In realtà la nuova società blucerchiata non mi ha poi riscattato ed io sono rimasto a Lumezzane. Devo ammettere che un po’ ho patito il colpo, per tutta l’annata ne ho risentito non dando il contributo che avrei potuto e che avrei dovuto dare. Il terzo anno è stato particolare: partito come capitano dopo sette giornate, a causa di problemi societari, sono stato messo fuori rosa con altri compagni e non ho più visto il campo”.

Come mai poi hai scelto di scendere in Serie D col Savona?
“Dopo essere stato fermo quasi sette mesi a Lumezzane dovevo ripartire in Serie C a Mantova. Ho fatto tutta la preparazione con i biancorossi ma l’aria che tirava era pesantissima, si percepiva una certa precarietà tanto che la società poi a fine stagione è fallita. Ho così deciso a fine raduno di accettare l’offerta del Savona, una società ambiziosa che puntava al salto di categoria. Calcisticamente è andata abbastanza bene: la mia è stata una buona stagione, purtroppo però non siamo riusciti a salire e così a fine anno mi sono trasferito alla Folgore Caratese”.
2017-2021: quattro anni in biancoazzurro che ti hanno permesso di consacrarti nel mondo del calcio.
“Mister Sicialiano, che avevo avuto a Savona, mi ha voluto con lui e ancora oggi gli sono riconoscente perché è stata una scelta giusta. Ho avuto la possibilità di giocare in un gruppo importante con una società organizzatissima che sognava il salto nei professionisti. Quattro stagioni molto belle dove ho trovato continuità nel giocare e ho avuto modo di conoscere tanti compagni di viaggio che ancora oggi, pur giocando in squadre diverse, sono sempre con me”.

Ed eccoti al Varese: una prima stagione molto positiva, un’altre piena di difficoltà.
“Sono arrivato in biancorosso lo scorso anno. Quando mi ha chiamato il Direttore Merlin per me era già si, prima ancora che finisse la telefonata e mi dicesse pensaci e chiamami. Varese è una grande piazza, si può e si deve tornare a fare calcio vero, quello che conta, quello che meritano i nostri meravigliosi tifosi. I playoff vinti nella scorsa stagione pensavo fossero il preludio ad un grande campionato… invece non è così”.
Nella stagione 2021-2022 si può dire che la difesa sia stata il punto di forza della squadra, quest’anno, pur con gli stessi interpreti le cose non sono più così. Come mai?
“Guarda (sorride Mattia ndr) se avessi questa risposta non la darei a te, o meglio, l’avrei già data ai miei compagni e tutto si sarebbe già risolto. Non è facile da capire e da spiegare: io sono uno che fa molta autocritica che cerca sempre di capire cosa non ha funzionato nelle varie situazioni. Una chiave di volta non ce l’ho e non l’abbiamo ancora trovata, ma ho una certezza: a fine stagione sorrideremo e festeggeremo”.
Salvezza?
“Sono un positivo di natura, credo ciecamente nella squadra e nei miei compagni. Sono certo che appena avremo tutta la rosa al completo, ovviamente senza nulla togliere a chi tira la carretta ora, saremo una squadra diversa. La nostra rosa è molto forte, non ho dubbi che risaliremo la classifica e daremo delle delle soddisfazioni ai nostri tifosi”.

Papà Roberto è un punto fermo in tribuna per vedere le partite di Mattia, ma anche mamma Romina e le sorelle Roberta e Michelle appena possono sono presenti allo stadio.
“Dire che devo tantissimo alla mia famiglia è quasi banale. I miei genitori mi hanno sempre supportato e spronato a fare meglio. Si sono sciroppati chilometri e chilometri per portarmi a giocare e per venirmi a vedere. Un grazie immenso non glielo toglie nessuno. Magari non glielo dico nemmeno direttamente: ecco questa intervista è l’occasione buona per farlo”.

Un grazie immenso, hai detto. Devi ringraziare anche altre persone che hanno inciso nella tua carriera?
“Sono tante le persone a cui vorrei dire grazie. Ricordo sempre con piacere gli insegnamenti di mister Tufano alla Sampdoria, mi ha insegnato a stare al mondo e, soprattutto, a vivere in un mondo come quello del calcio. Un grazie, con un pizzico di presunzione, lo vorrei dire anche a me stesso. Quello che ho me lo sono guadagnato sempre da solo grazie alle mie scelte, giuste e sbagliate. Ho sempre creduto e sempre crederò nelle mie possibilità: mi hanno insegnato a non mollare mai ed è quello che faccio ogni domenica”.

Se ti dico Caterina?
“Beh, è il mio ultimo grazie. Siamo fidanzati da quattro anni, lei è di Terni ma vive e lavora a Milano. Nel weekend viene qui da me e la definisco una santa. Purtroppo ho un carattere che mi porta a somatizzare molto il risultato sportivo, la domenica quindi sono su o giù a seconda di come è andata la partita. Quest’anno i risultati non sono proprio esaltanti, per dirla in maniera bonaria, ecco che Caterina entra in gioco dopo il 90’ e mi sopporta e supporta in tutto il post gara”.

Perché il numero 13?
“Ho sempre avuto il 6 ma quando sono arrivato a Varese era di Marcaletti così ho scelto il 13 perché è l’anno di nascita della mia sorellina Michelle: il 2013”.

Hai solo 28 anni ma le idee ben chiare. Il calcio giocato ti vedrà protagonista ancora per diversi anni, ma pensi già al dopo?
“Sì, mi piacerebbe allenare, vorrei rimanere nell’ambiente. Oggi come oggi penso di poter essere portato per lavorare più con i grandi che nei settori giovanili. Vediamo cosa mi riserverà il destino, nel frattempo inizierò a fare i corsi e… chi vivrà, vedrà”.

Michele Marocco

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