In attesa della ripartenza del campionato il prossimo sabato 7 gennaio con la gara casalinga contro Bresso, siamo andati in casa Pallacanestro Femminile Varese a fare due chiacchiere con Bruno Palmieri che segue il settore giovanile biancorosso in cooperazione con Schieppati, per capire lo stato dell’arte in casa.

Ora, in società si sta cercando un cambio di passo nella gestione delle giovani giocatrici e del settore con un suo rafforzamento e ampliamento. Quale è effettivamente la situazione del vostro settore giovanile?
“C’è uno spirito di attenzione che prima probabilmente non c’era o non era così attento – afferma Palmieri -. Le difficoltà ci sono e sono legate alla mancanza in città e anche nei dintorni di palestre e, nel nostro caso, di una casa. Per un settore giovanile avere una palestra di riferimento è fondamentale perchè si riesce a fare commistione fra le diverse annate. Ci sono ragazzine del 2010 che sono più pronte e possono iniziare a lavorare su concetti più alti magari riservate ad anni come i 2009 o 2008. Questa credo sia la vera differenza rispetto ad altre società e non penso che le ragazze di Varese per sfondare nel mondo del basket abbiano bisogno di emigrare. Io, per mille ragioni, penso esattamente il contrario: il territorio ha tante società di basket, tantissime di minibasket, tante ragazzine bambine fanno basket e dopo di che cosa succede? Che le bambine soprattutto a Varese e dintorni fanno fatica a riconoscerci perchè la società è costretta ad avere gli allenamenti in varie palestre e i genitori sono in difficoltà con questi spostamenti. Invece, se anche l’amministrazione stesse attenta e dividendo gli spazi per tutti, riuscisse ad assegnare alle singole società una singola palestra si darebbe una casa a ogni società aiutando il movimento”.

Difficoltà che sono ormai annose. Però, pare di capire che il territorio possa dare di più a livello di produzione di giocatrici
“Oggi Varese esprime una squadra nel massimo campionato regionale e ci sono anche delle opportunità di crescita. La crescita, secondo me, arriva anche da ragazze del territorio. Le due ragazzine 2005 e 2006 che han fatto esperienza al Geas che ha la prima squadra in A1 possono esordire nel massimo campionato nazionale, ma la vera differenza non è giocare quegli ultimi 2′ di partita che sono ininfluenti. Conta quando queste ragazze a 18 anni potranno esprimersi per le loro capacità e potenzialità al massimo livello possibile. Sono convinto che questo territorio possa esprimere per il tipo di humus fertile nel mondo del basket molte più giocatrici e anche forti. Perchè in ambito maschile si creano giocatori mediamente buoni e iniziando il minibasket insieme ai maschietti sono convinto che anche in ambito femminile si possa produrre la stessa qualità. Il nostro settore giovanile potrebbe fare bene come quelli di Geas o Costa Masnaga, per esempio”.

Prima si è parlato di strutture, ma servono anche i mezzi per poter fare bene
“I mezzi certamente sono determinanti. Nel momento in cui hai una prima struttura c’è anche un luogo di riconoscimento per le risorse economiche perchè ci si identifica in un luogo. Anche per uno sponsor è più facile mettere il classico striscione là dove tutti si allenano, dalle giovanili alla prima squadra. Ha anche un valore diverso. Poi si crea un clima differente anche fra genitori. Oggi il gruppo Under 14, che è il primo gruppo della nuova gestione che è un bel gruppo, affiatato che sta bene insieme. Vengono spesso a vedere la prima squadra che non è da dare per scontato. Alle gare in casa alla Falaschi c’è un bel clima. Il tifo c’è ed è positivo a sostegno della prima squadra”.

Tra il lavoro diciamo di tutti i giorni e quello da dirigente di una associazione quali sono le differenze e le difficoltà che si incontrano?
“Sono due cose completamente diverse. Da una parte uno fa il professionista e viene scelto sulla base delle sue competenze e di quelle che sa sviluppare nel quotidiano e con le relazioni che si sviluppano ogni giorno all’interno di un’ organizzazione. In ambito sportivo avendo una figlia e un figlio che giocano, da sempre ho cercato di dare una mano. Mi viene naturale essere parte delle comunità che condivido. Si incomincia facendo andare il cronometro e segnando i punti e poi, piano piano, vengono fuori le necessità della società. Certamente nelle società maschili vi sono numeri più grandi e più persone, nel nostro ambito c’è un po’ la logica del “io pago la quota” e mi fermo lì. In realtà bisognerebbe capire che è un bene di tutti la società. Adesso verrà buono anche il nuovo piano strategico Varese 2050 lanciato nei mesi scorsi che spero possa aiutare tutto il mondo delle associazioni sportive”.

Matteo Gallo

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