Oggi, giovedì 15 settembre 2022, Gianmarco Pozzecco, il nostro amato, spesso addirittura idolatrato “Poz”, compie 50 anni. E, in tutta franchezza, non mi sembra nè vero, nè possibile. Non mi sembra vero perchè è difficile accettare l’idea che da quel nostro primo incontro – ritiro pre-campionato a Pila, Aosta, anno domini 1994 -, siano già passati 28 anni e spiccioli.
Un compleanno agro dolce per l’attuale coach della nazionale italiana che in poche ore è passato dalla gioia assoluta del passaggio del turno agli Europei contro la Serbia, alla cocente delusione per l’eliminazione di ieri sera contro la Francia.

Non mi sembra possibile perchè il Pozzecco dirompente, esplosivo, affabulatore instancabile, quasi logorroico, conosciuto in quelle placide ore aostane non è poi molto diverso da quello che vedo, che tutti stiamo vedendo, nel corso di questi incredibili Campionati Europei di pallacanestro.

Al Gianmarco impegnato a dirigere gli azzurri togliete la giacca e la cravatta di coach della Nazionale, tenetegli lo stesso atteggiamento trionfante – in tanti, troppi, lo definiscono istrionico -, fategli indossare una canotta Cagiva o Roosters Varese e piazzatelo sui cartelloni pubblicitari di Masnago. Poi, con calma, stile “La Settimana Enigmistica”, provate il classico gioco: trova le differenze.

Alla fine, davvero poche, credo. Ok, il Poz ha addosso qualche chilo in più, legittimo effetto degli “anta” e del benessere. Sfoggia di frequente una barba con taglio luciferino. Ha qualche raro filo grigio tra i capelli e un viso che appare solo leggermente più maturo. Poi, ovviamente, giusto quei trent’anni in più. Punto. Per il resto Gianmarco, il “Poz”,  mi sembra “ugualissimo”. Identico ad allora. Quasi che lo scorrere bastardo del tempo gli avesse rivolto una breve e tenera carezza e non già i potenti sganassoni che riserva a gran parte di noi.

Probabilmente, penso io, Gianmarco Pozzecco appartiene, sotto mentite spoglie, alla nobile stirpe di Connor Mc Leod, l’Highlander, l’Immortale perchè, dai ammettetelo, 50 anni al Poz se non fosse per il suo certificato di nascita, non li daresti mai.

Comunque, visto che oggi è indiscutibilmente il suo genetliaco, ecco che, oltre agli auguri di rito, vorrei ripercorrere e ricordare insieme a Tony Cappellari, ovvero l’uomo che lo volle e lo portò a Varese, le tappe fondamentali delle due carriere di Gianmarco. Quella da giocatore e, a seguire, quella come allenatore.  

“Sì, lo confesso: Pozzecco a Varese nell’ormai lontanissima estate del 1994 l’ho portato io e – esordisce con una battuta Cappellari -, me ne assumo tutte le colpe. Tutte le responsabilità. Per amore di verità, e per dovere di cronaca, aggiungo che di quel ragazzo goriziano conoscevo ben poco. Sapevo che aveva mosso i primi passi in serie A giocando nella Pielle Livorno, ma soprattutto avevo in mente le frequenti telefonate con cui Vittorio “Toio” Ferracini, mio ex-giocatore a Milano nonchè suo procuratore, mi invitava a prenderlo esclamando: “Tony fidati, questo è uno buono e tu farai un affarone! Tuttavia, prima di portarlo in Pallacanestro Varese, decido di confrontarmi con coach Dodo Rusconi, ma anche il nostro allenatore ha poche informazioni sul suo conto e glissa l’argomento. Intervengono allora Tony Bulgheroni, che lo ha affrontato diverse volte e me ne parla bene e Toto, suo padre che, nel merito della decisione, mi lascia carta bianca. Così, a quel punto, rompo gli indugi e gioco la carta “Rischio” puntando su un ragazzo che, ribadisco, non avevo mai visto di persona sottolineando che ai tempi non giravano nè filmati, nè “highlights”, nè video celebrativi. Insomma: Pozzecco arriva a Varese un po’ sulla fiducia e un po’ a scatola chiusa”.

E dalla scatola salta fuori una sorta di “Jack in the box”: una grandissima sorpresa…
“Confermo: a Gianmarco bastano poche settimane di allenamenti per convincere tutti quanti. Nell’ordine: coach Dodo Rusconi che ne apprezza il talento e la vitalità e penso sia stato una figura fondamentale per dare al Poz una “quadratura”. Cecco Vescovi, “capataz” del gruppo che ne intravede da subito le qualità. La famiglia Bulgheroni, entusiasta per un ragazzo simpatico, capace di farsi voler bene al primo sguardo e un giocatore che fin dal primo impatto mette in mostra una leadership forse inaspettata. Il  pubblico che resta letteralmente stregato dal suo stile di gioco e immediatamente si innamora della sua vena di follia. E, ovviamente, anche il sottoscritto. Pozzecco nel giro di pochi mesi è già l’idolo di Varese che, credo sia successo raramente a Masnago, gli perdona qualunque castroneria tecnica o tattica in virtù di un rapporto inossidabile di amore, affetto e amicizia che durerà per tutti i nove anni trascorsi dal Poz in maglia biancorossa. Nove stagioni che, per sua stessa ammissione, rappresentano e raffigurano plasticamente il non plus ultra per il Gianmarco giocatore”.

Insomma: per il Poz, dopo Varese niente sarà più come prima
“In realtà credo che Gianmarco, proprio per il suo carattere espansivo, trascinante e sempre disponibile sia stato bene in qualunque piazza abbia giocato. Tuttavia, ribadisco: un conto è volersi bene, e tutt’altra questione è amarsi come se non se non ci fosse un domani. Mi pare che la relazione tra Varese e Pozzecco si sia sviluppata soprattutto in questi termini”.

Secondo volume di “Io, il Poz”: la sua carriera come allenatore
“Faccio un paio di premesse necessarie per sgombrare il campo da inutili retropensieri. Primo: avendolo conosciuto molto, molto a fondo come giocatore non avrei mai immaginato Pozzecco nelle vesti di allenatore. Secondo: meno che mai avrei scommesso un centesimo sul fatto che Pozzecco potesse addirittura arrivare a dirigere dalla panchina più importante d’Italia: quella di allenatore della Nazionale Italiana. In tutta sincerità, pensavo non fosse tagliato per il ruolo di coach. Oggi, col senno di poi, ammetto volentieri il mio errore. Tuttavia, vorrei evidenziare che solo a Sassari, in un ambiente molto protettivo e sotto l’ala di un grande dirigente come Sardara, ho iniziato a pensare che Pozzecco potesse davvero diventare un allenatore. Pozzecco a mio parere dovrebbe dire grazie a Sardara, all’ambiente della Dinamo e all’atmosfera speciale della Sardegna. Tre elementi fondamentali che gli hanno dato una grossa mano nella crescita come allenatore sia nella conduzione tecnica, sia umana. Da lì in poi, Gianmarco ha fatto solo meglio”.

Io me lo ricordo bene il coro con cui i tifosi di Pallacanestro Varese omaggiavano il Poz: “Gioca bene, gioca male, lo vogliamo IRRAZIONALE”. Adesso, quel coro va leggermente modificato cambiandone le consonanti: “Lo vogliamo IN NAZIONALE!”
“Beh, l’ho già detto: la scelta di Pozzecco come allenatore del gruppo azzurro penso sia una trovata assolutamente geniale del Presidente FIP Gianni Petrucci. Petrucci, con la nomina di Pozzecco si è decisamente e nettamente smarcato da tutti i “clichet” precedenti, optando per un coach che, se mi passi il paragone, è tutto “sangue e arena”. Poi, è chiaro ed evidente anche dai risultati, Pozzecco è anche lavoro, anzi, buonissimo lavoro in palestra. Tuttavia, la sua “mano”, la sua identità come coach è riferibile soprattutto alla gestione umana del gruppo e alla sua straordinaria capacità di relazionarsi con giocatori che, probabilmente, lo vedono e lo sentono molto vicino a loro. Come se fosse una sorta di tredicesimo giocatore. E, in questo senso, Pozzecco è bravissimo nel dare forza, mentalità e carica a tutti quanti tanto che il merito principale è stato quello di trasformare giocatori buoni in giocatori eccellenti che, oggi, sono giustamente considerati  di altissimo livello in Europa”.

Fin qui, è stato un canto elegiaco. Uno specie di “Gloria Gloria a Pozzecco”. Davvero non hai nessuna nota critica?
“La mia critica è quella che, leggendo i giornali e i siti specializzati, è condivisa da molti e riguarda i comportamenti e gli atteggiamenti che Pozzecco tiene in panchina. Certi modi di fare appartengono ad un “codice” che ogni allenatore di quel livello dovrebbe sfoggiare per una semplice e comprensibile questione di classe, di stile. Per esempio, se lo conosco bene, sono sicuro che il presidente Petrucci nel post-Serbia avrà abbracciato calorosamente Pozzecco, gli avrà fatto mille complimenti, ma subito dopo gli avrà, per così dire, tirato anche le orecchie perchè certi comportamenti vanno sempre evitati. Mille volte di più se sei l’allenatore della Nazionale Italiana. Oggi il nome del Poz, grazie alla visibilità e credibilità regalatagli dai risultati conquistati in azzurro, è certamente evidenziato in giallo sull’agenda dei general manager di tutti i top-team europei, ma in questa prospettiva, se davvero Gianmarco vuole diventare un top-coach di Eurolega deve ancora crescere ed uscire dal cono d’ombra che, per certi versi, racchiude la sua figura. Ma, aggiungo, Gianmarco è un ragazzo, pardon, un uomo visto compie 50 anni, molto intelligente e sono sicuro che imparerà ad autodisciplinarsi”.

Chiuderei questa gradevole e interessantissima chiacchierata con un tuo personale messaggio d’auguri
“Gianmarco, penso si sia capito dalle mie parole, è un personaggio che mi è particolarmente caro. Lo reputavo allora, e tuttora, uno splendido fiore nato per via spontanea nel deserto della nostra pallacanestro. Non a caso è uno dei personaggi più amati e riconosciuti del nostro sport. Ha grandi, enormi potenzialità comunicative e anche in questo senso è davvero generoso, con una capacità di offrirsi davvero unica. Solo per questi argomenti meriterebbe un coro d’auguri unanime. So per certo che mi stima, mi apprezza e mi vuole bene. Stati d’animo e sensazioni che ricambio sempre volentieri. Racconto, in chiusura, un ultimo aneddoto. Poco tempo fa al Forum dopo una partita giocata da Armani Milano, incontro il Poz insieme alla sua fidanzata-compagna-moglie e nel presentarmi a lei sussurra: “Carissima, ti presento Tony Cappellari, l’uomo che mi ha permesso di diventare un vero giocatore di pallacanestro”. Dopo una frase del genere, davvero gratificante, cos’altro potrei aggiungere? Forse, solo un “Grande Poz, auguri, goditela e avanti così”.

Massimo Turconi

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