Due stagioni da protagonista, prima alla guida del Club Milano in Eccellenza e poi con la Caronnese in Serie D, gli sono valsi la chiamata del Piacenza. Parliamo di Manuel Scalise, che dopo aver collezionato oltre 200 presenze in Serie C da calciatore torna finalmente ad abbracciare il professionismo come allenatore. Il tecnico, presentato venerdì allo stadio Leonardo Garilli insieme al suo staff, si è fatto apprezzare in questi due anni soprattutto per la capacità di valorizzare i tanti giovani messi a sua disposizione offrendo sempre una proposta di calcio spettacolare, anche se spesso è mancata la trasformazione delle numerose occasioni da gol create. L’abbiamo intervistato al Pero Sporting Club, casa del Club Milano, dov’è cominciata questa sua ascesa.

“Voglio partire ringraziando i ragazzi che ho allenato e i genitori per l’impegno che ci hanno messo, oltre a tutte le persone che hanno lavorato con me in queste stagioni. Un ringraziamento particolare va a Ferrara e a Zullo che sono le persone che hanno creduto più in me difendendomi quando i risultati non arrivavano, insieme a Stefano Merli del Club Milano che ha avuto il coraggio di lanciarmi due anni fa”.

Un anno fa eri qui a sfiorare la vittoria del campionato di Eccellenza. Ti aspettavi che saresti arrivato così presto tra i professionisti?
“Come sogno e obiettivo un po’ si, perché mi piace sognare ed essere ambizioso. Così velocemente no perché serve anche la fortuna di avere l’occasione giusta. Quando si smette di giocare, o si resta subito nel professionismo all’interno dello staff di un allenatore oppure è difficile rientrare. Io ho fatto invece la gavetta partendo dalle giovanili fino allo scorso anno in Serie D”.

Ha destato un po’ di sorpresa il tuo approdo al Piacenza ma la Serie C la conosci bene, perché da giocatore vanti 203 presenze.
“È giusto e normale che ci sia un po’ di diffidenza nei miei confronti perché non arrivo in una città piccola, ma in una società che ha tantissimi anni e ha fatto la storia del calcio italiano. Per citare solo alcuni che sono passati di lì mi vengono in mente Pioli come allenatore e Inzaghi come giocatore. Quindi so bene dove sono arrivato e sta a noi come squadra dimostrare che possiamo stare bene nella categoria”.

Cosa serve per fare la differenza in C e quali sono gli errori da non commettere?
“Durante l’anno ho visto tante partite, sia dal vivo che in video. Ho notato che si tende a costruire poco dal basso limitando al massimo i rischi, quindi non bisogna pensare a molti fronzoli ma essere solidi e organizzati. Serve anche una tenuta atletica importante: sono queste le qualità principali che deve avere la squadra. Noi avremo la fortuna di confermare buona parte del gruppo e non è un vantaggio da poco, visto che quest’anno hanno disputato il primo turno dei playoff”.

Al Club Milano e alla Caronnese ci sono stati due elementi che hanno accomunato le tue squadre: il privilegiare il gioco palla a terra per controllare il possesso palla e una grande facilità a creare occasioni da rete che spesso non è stata sfruttata dagli attaccanti. Anche il tuo Piacenza avrà queste caratteristiche?
“È chiaro che essendo una persona a cui non piace portarsi gli avversari dentro l’area di rigore chiederò sempre di giocare un calcio propositivo. Tanti addetti ai lavori mi hanno detto che con la mole di gioco creata dalle mie squadre, più si sale di categoria e più è facile trasformarle in gol perché aumenta la qualità dei calciatori. Speriamo che sarà effettivamente così. L’importante sarà partire col piede giusto sia per convincere chi oggi è scettico sia per creare entusiasmo attorno alla squadra. La piazza si può identificare nella squadra e noi dobbiamo far divertire i tifosi”.

Come secondo hai scelto Curioni, tuo collega che l’anno scorso ha guidato il Ponte San Pietro.
“Con Giacomo ho giocato quando eravamo giovani, cosiddetti under. È una persona perbene, corretta, leale, che nella sua carriera calcistica non è mai stato sopra le righe. Così come penso di essere stato io. Queste sono già delle fondamenta importanti. A questo va aggiunto che è molto intelligente ed un ottimo insegnante di calcio. Credo che sia la spalla ideale per me. Oltre ad averlo conosciuto, quest’anno avevamo il prof. Cesare Ratti a Caronno che lo conosce e me ne ha sempre parlato molto bene”.

Domenica su Sport Piacenza è uscita una probabile formazione di come giocherà la squadra. Premesso che devi ancora conoscere bene tutti i giocatori sul campo, quanto è vicina all’idea che hai in testa al momento?
“È una formazione che potrebbe andar bene anche perché, come detto, confermiamo il 60% della rosa. L’unica differenza sostanziale è che nelle loro ipotesi Corbari è indicato come esterno sinistro ma sappiamo che è una mezz’ala, quindi gli chiederò di stare più dentro al campo. È un giocatore importante per la categoria che però sta recuperando da un infortunio al crociato che non va sottovalutato. Spesso in Italia si tende ad accelerare i tempi di recupero, ma così i giocatori rischiano di essere carne da macello e io con la salute delle persone non voglio scherzare. Anche perché poi si rischia di rovinare la carriera a un ragazzo. Sicuramente devo partire da un concetto, ovvero che il 4-2-3-1 gli ha dato dei vantaggi quindi dobbiamo cercare di cominciare così. Poi quando avremo tutta la rosa a disposizione potremo pensare di fare qualcosa di diverso”.

Cosa ti senti di dire ai tifosi della Caronnese, preoccupati per averti perso dopo una sola stagione?
“L’altra sera mi ha chiamato uno dei magazzinieri che era molto felice e che ha creduto nella squadra anche nel girone d’andata quando i risultati faticavano ad arrivare. A Caronno c’è tutto per poter lavorare bene: un campo in perfette condizioni, uno staff che non fa mancare nulla. Qualche giorno fa ho fatto una bellissima chiacchierata col Presidente con cui ci sentiamo costantemente. Lì non posso negare di essere stato bene, è una società modello per la Lombardia”.

Il primo a scommettere su di te è stato Stefano Merli, che ha scelto due anni fa di portarti al Club Milano.
“Mi ricordo ancora la cena con lui nella zona di Lorenteggio: in quella circostanza ha capito la mia passione e il desiderio di allenare. Lui scommette molto su queste figure che hanno determinazione e fame, provando a cambiare un po’ le regole del gioco. In Italia tante volte si guarda solo al curriculum e per me è stato difficile: si diceva che avevo esperienza da calciatore e non da allenatore, mentre a tanti si rinfaccia di non avere esperienza da giocatore. Non si capisce bene quali caratteristiche si chiedono alle persone. Ci si lamenta spesso che in questo Paese non si dà spazio ai giovani, però se non si rischia a dargli fiducia diventa difficile”.

Munafò, presidente del Legnano, ha proposto di abbassare ulteriormente l’età della quota dei giovani in Serie D. Sei d’accordo?
“Io credo che la Serie D sta perdendo qualità perché ogni allenatore deve per forza far giocare quattro under. Alla fine ogni estate c’è la corsa sui giovani che spesso le società non conoscono nemmeno. Per me andrebbe riscritta la regola privilegiando i prodotti del proprio settore giovanile. Quella che va aumentata è la qualità degli allenatori dei settori giovanili, specialmente nelle società dilettantistiche”.  

Un aspetto che ti distingue da molti tuoi colleghi è che hai sempre dato spazio ai giocatori di qualità, mentre oggi la tendenza è quella di privilegiare la fisicità.
“Si, abbiamo schierato tanti giocatori di qualità perché sono sempre stato convinto che bisogna partire dal talento del calciatore, poi con un buon preparatore gli si può dare fisicità e benzina per correre. Sono contento di aver valorizzato tanti ragazzi in questi anni. Anche a Piacenza mi è già stata fatta la domanda su come intendo sfruttare la Primavera e ho risposto che se i giovani sono validi bisogna dargli spazio anche durante il campionato. Per me le categorie giovanili più importanti sono Allievi e Under 17, perché se poi uno ha talento va aggregato subito alla prima squadra”.

Alex Scotti

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