Il 7 giugno l’annuncio del ritorno di Riccardo Privitera a Varese era arrivato come un fulmine a ciel sereno, esattamente come l’anno prima aveva scosso l’ambiente giallonero il suo passaggio agli avversari di sempre del Como. Una stagione tra i lariani condita da tre derby vinti su tre che l’ala classe ’90 dovrà “farsi perdonare”, ma la ricetta è già scritta e toccherà a “Privi” applicarla nella maniera più semplice possibile: scendere sul ghiaccio, dare tutto e vincere.

“Quando si firma per Varese le sensazioni sono sempre positive – dichiara Privitera – perché vestire il giallonero è la cosa più bella che ci sia. Per di più, il processo che ha portato alla firma è stato fluido e senza intoppi: la società vuole fare le cose fatte per bene, sta venendo fuori una squadra davvero competitiva e, soprattutto, uno spogliatoio affiatato che è la componente più importante. Mi era stato detto che la volontà era quella di ricostruire il gruppo storico degli ex varesini con innesti di livello e gli acquisti fatti fin qui lo dimostrano. Se il buongiorno si vede dal mattino siamo sulla giusta strada”.

Iniziamo subito con le domande scomode?
“Penso di sapere dove vuoi arrivare, ma procedi pure… (sorride, ndr)”.

Vado allora. Che effetto fa tornare a Varese dopo un tris di vittorie nel derby, ma con la maglia del Como?
“Lo sapevo (ride, ndr), ma capisco che sia inevitabile. Diciamo che io sarei rimasto a Varese anche l’anno scorso, ma con la vecchia società non è stato trovato il punto d’incontro; non voglio certo far polemica, anche perché il passato è passato, ma spesso si tende a dare giudizi senza sapere cosa c’è dietro. Di sicuro è stato strano, per me, giocare un derby con la maglia del Como: ero già stato là una decina d’anni fa quando Varese non aveva la Prima Squadra ed io ero fuori quota per le giovanili, ma lo scorso anno è stato totalmente diverso. Detto questo, comunque, sono tornato a casa e sono tranquillo, anche perché ritrovo i compagni e gli amici di sempre con cui il rapporto è sempre stato ottimale”.

Visto che siamo in tema, continuiamo con le domande spinose. La scorsa stagione, in occasione dei derby, ci sono stati dei momenti caldi tra te e la tifoseria varesina; credi sia dovuto al fatto che qualcuno possa aver preso il tuo passaggio a Como come un autentico tradimento?
“A prescindere dal livello, quando un giocatore passa ad una squadra rivale è ovvio che il pubblico lo prenda come una pugnalata, a maggior ragione se parliamo dei tifosi più “freschi”, ovvero quelli che non hanno vissuto il gruppo vecchio ai tempi della Serie C quando davamo l’anima senza prendere un soldo pur di far ripartire il movimento hockeistico di Varese. Lo comprendo e, in parte lo accetto, anche se come ho detto prima bisognerebbe vedere le cose fino in fondo prima di sparare a zero su una persona. Non potendo stare a Varese nella scorsa stagione e non volendo scendere di categoria, Como era la soluzione più pratica, si fa per dire, dato che io sono di Somma Lombardo. So per certo che qualcuno non l’ha presa bene, mi dispiace e non colpevolizzo di certo i tifosi; per chiunque volesse sarò sempre disponibile a dare spiegazioni in merito”.

Chiuse le domande spinose, viceversa, in tanti hanno accolto al meglio il tuo ritorno. Cosa significa per te giocare nei Mastini?
“Beh essere un Mastino, a prescindere dai discorsi precedenti, significa essere coccolato dai tantissimi tifosi che ti vogliono bene. A Varese c’è una tifoseria invidiabile che non c’è da altre parti perché essere un Mastino significa portare sulle spalle una grandissima storia: è l’unica squadra italiana ad aver vinto un titolo europeo. Già solo vestire quel logo ti rende riconoscibile e, a tal proposito, vorrei raccontarti un aneddoto di qualche anno fa”.

Prego.
“Io amo andare in montagna a camminare e un giorno sono stato al Rifugio Arona all’Alpe Veglia indossando per caso il cappellino con il logo dei Mastini. Appena entrati, l’allora gestore del rifugio ha subito notato il logo e mi ha chiesto se fossi un tifoso; nel momento in cui ha scoperto che ero invece uno dei giocatori mi ha confessato di essere a sua volta un tifoso e sono stato lì almeno mezzora a chiacchierare del più e del meno. Varese è questa; essere un Mastino è questo”.

E le ambizioni di quest’anno come devono essere?
“Devono essere innanzitutto solide perché al Varese serve solidità e l’HCMV è qui per darla. Anno zero? Potrebbe esserlo. La società è nuova, la squadra è in via di costruzione e, soprattutto, si tornerà al PalAlbani. Se il movimento prende piede nel modo migliore i bambini cominciano ad avvicinarsi a questo sport e si può arrivare ad avere quella continuità di rendimento che, a sua volta, fa girare tutto ciò che circonda la squadra. Credo che questa debba essere la stagione per gettare le basi; se poi si vince subito tanto meglio”.

Il tuo obiettivo personale?
“I prossimi saranno i miei ultimi anni di hockey giocato in maniera professionale. Il mio sogno più grande è quello di vincere il campionato perché sarebbe la ciliegina sulla torta, il traguardo più importante della mia carriera. Lavorerò sodo per poterci riuscire”.

Matteo Carraro

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