Quando ammiriamo una vetrina poche volte ci si concentra sulle curiosità o sulle storie che i brand possono raccontare. Ciò che vediamo cattura la nostra attenzione, ma può anche raccontare il passato e tutto ciò che ha portato alla creazione di quel prodotto. Non fa eccezione il marchio Ambrosetti, brand storico di Varese che dal 1930 è diventato uno dei più amati della Città Giardino, accompagnando ben più di una generazione. A farci scoprire i segreti di Valigeria Ambrosetti è Paolo Ambrosetti, il proprietario, che ci racconta le origini, il presente e gli obiettivi futuri dell’azienda di famiglia.

Da dove nasce l’idea di aprire una valigeria?
“La mia bisnonna Emma decise di aprire un negozietto di soli 30 metri quadri in centro Varese, nell’attuale via Mazzini che all’epoca si chiamava via Donizetti. Dopo la mia bisnonna sono subentrati i miei nonni, poi i miei genitori e poi io: nell’arco degli anni sono state fatte addirittura quattro ristrutturazioni del negozio, quindi dai 30 metri quadri ci siamo ingranditi fino ad arrivare agli attuali 200 metri quadri che fanno parte delle quattro unità immobiliari. All’inizio vendevamo solo borse della spesa e ombrelli, poi ci siamo evoluti nell’arco degli anni e abbiamo iniziato a vendere anche borse di brand. A questo abbiamo unito la realizzazione delle nostre valigie e borse perché mio nonno aveva un laboratorio in viale Monte Rosa, a Casbeno, dove produceva proprio le valigie e le borse che vendevamo. Poi, nel 1967 ha avuto dei problemi di salute che lo hanno spinto ad abbandonare la produzione e dedicarsi solo al retail, ovvero la vendita di brand e di marche senza produrre”.

Possiamo dire che si tratti di un eredità economica, ma soprattutto storica perché si tramanda la storia da generazione in generazione?
“Assolutamente sì. Abbiamo cavalcato con le quattro generazioni dei periodi di lavoro totalmente diversi l’uno dall’altro e li abbiamo affrontati con varie e dissimili idee. Perciò dalla voglia di rinascita del dopoguerra al boom economico fino ad arrivare a questo periodo con la pandemia e ovviamente con tutto ciò che ne concerne, tra cui nuovi modi di lavorare, nuove tecniche di vendita e la multicanalità”.

Raccogliere un’eredità come quella ha avuto Lei è stato difficile o stimolante?
“E’ stata difficile e stimolante allo stesso tempo perché comunque io sono quello di mezzo di tre fratelli. Il più grande fa il cardiologo e il più piccolo fa il carabiniere, quindi tre lavori completamente diversi e io sono stato l’unico che si è appassionato a questo mondo”.

Quindi Lei cosa consiglierebbe a un giovane che vuole aprire un negozio?
“Rispondo che ci vuole tanta passione e io ero l’unico che ne aveva perché mi affascinava questo mondo, il contatto col pubblico, stare in mezzo alla gente, consigliare alle persone o comunque vendere un prodotto. Io mi sono affacciato a questo lavoro durante gli anni ‘80 e ‘90 in cui ci fu un vero boom economico che considero molto stimolante; è però anche molto impegnativo dato che un commerciante vive parecchie emozioni, soprattutto quando si vivono passaggi generazionali del genere”.

Cosa pensa e come si sente quando centinaia di donne definiscono le borse, e in generale le opere del brand, delle “amiche valide e guerriere”?
“È anche un po’ nella visione dell’insieme che abbiamo noi della valigeria Ambrosetti. Tendenzialmente cerchiamo sempre di consigliare il cliente nel miglior modo possibile e nell’arco degli anni abbiamo sviluppato una clientela affezionata che vuole da noi un prodotto  che sia utile, pratico e comodo nella quotidianità. Per questo motivo cerchiamo sempre brand con cui collaborare che facciano borse strutturate. Sarebbe a dire? Spesso ci contattano aziende che fanno delle borse di lusso, bellissime, ma che dal nostro punto di vista sono vuote. Da noi, invece, il cliente è anche disposto a spendere qualcosa in più, a patto di essere consigliato e avere una borsa strutturata e costruita con molte tasche, le famose borse con le quali fare la guerra tutti i giorni. Cerchiamo quindi sempre di trovare dei brand che riescano ad esaudire questi desideri”.

È difficile stare al passo con i tempi? Secondo Lei sta tornando di moda il passato?
“Diciamo che il vintage torna ciclicamente. Una grande stilista come Dior diceva che nel mondo della moda tutto ritorna: lo vediamo ad esempio con i pantaloni a zampa di elefante o a vita alta che si usavano già qualche anno fa, o anche con  il ritorno alla moda degli anni ‘90 dei paninari, quindi  con i popolari Moncler e le Timberland. Diciamo che anche nel nostro mondo dell’accessorio c’è sempre un ritorno al passato”.

Tutto questo si collega ai brand dormienti?
“I cosiddetti brand dormienti sono marchi famosi come Mandarina Duck, noto per lo zaino che usava la tua mamma quando andava a scuola e che adesso è tornato prepotentemente di moda arrivando ad essere venduto alle figlie se non alle nipoti di quelle persone che lo avevano. Dunque, questi brand che comunque hanno un nome e sono famosi per un loro prodotto rimasto iconico anni fa, adesso ricominciano il loro percorso nella moda, cercando di rivisitare quello stesso prodotto figurativo, riproponendolo in chiave moderna. Il nome è fondamentale perché il ritorno al passato ha sempre successo se dietro c’è un brand di un certo tipo”.

Come definisce la sua azienda con pochi aggettivi?
“A me piacerebbe definirla con un solo aggettivo: innovativa. Ti saprei dire anche tradizione, modernità, passione, sviluppo del prodotto, ma innovativa mi piace molto anche perché il futuro del nostro lavoro è la multicanalità, quindi ci vuole sia un negozio fisico che un negozio online. Quando parlo di quest’ultimo parlo soprattutto di comunicazione digitale che è importantissima e bisogna essere capaci e bravi a vendere senza vendere, per cui a vendere il prodotto raccontandolo online”.

Qual è la caratteristica che contraddistingue Ambrosetti dagli altri marchi?
“Bella domanda (sorride, ndr). Dovrebbero dirlo gli altri a me perché io vivo all’interno del marchio. Ti posso dire in cosa cerco di differenziare Valigeria Ambrosetti rispetto ad altri brand: la mia azienda sta provando ad evolversi in modo tale da diventare un brand affermato a livello nazionale, non diciamo a livello internazionale perché è impossibile, con il nostro modo di essere che ci contraddistingue da sempre, ovviamente come siamo noi in negozio. E come fate? Cerchiamo di trasmettere passione anche online e la stessa cosa la facciamo con i nostri prodotti: li raccontiamo, cerchiamo di far vedere la devozione che abbiamo noi nel venderli e la passione che c’è nell’azienda che li produce. Può essere un nostro prodotto, quindi la borsa targata Valigeria Ambrosetti, ma anche la borsa di Alviero Martini “Prima Classe”, di Armani, di Orciani. Cerchiamo dunque di raccontare ciò che l’azienda stessa vuole trasmettere: magari, laddove il brand non riesce arriviamo noi e la cosa più gratificante è essere ringraziati”.

Il suo successo è dovuto anche alla clientela. Come la definirebbe?
“La nostra clientela è fantastica: senza, sicuramente, non aprirei neanche la porta del negozio alla mattina. E’ eterogenea, abbraccia diverse tipologie di età, dalle teenager alle donne in carriera alle signore che cercano una borsa comunque classica. Una statistica del 2021 dimostra che l’88% della nostra clientela  è composta da donne e noi cerchiamo quotidianamente di rispondere alle loro esigenze con prodotti che loro cercano e desiderano. Grazie alla nostra clientela abbiamo avuto 90 anni di vita e speriamo di averne altrettanti”.

Quanto contano le scelte politiche nelle attività commerciali?
“Contano tantissimo dal punto di vista economico perché in base alle scelte politiche si può anche definire un proprio budget di spesa annuale per fare determinati investimenti a livello comunicativo o strutturale nel negozio. Per quanto riguarda le ristrutturazioni, spesso e volentieri ci si appoggia ai bandi che vengono istituiti dai comuni o ai ristori per il commercio; ne abbiamo avuto una dimostrazione dopo il lockdown, quando per un terzo dell’anno le attività sono rimaste chiuse, con una serie di manovre per far ripartire l’economia”.

A Suo giudizio come è cambiata la moda con il lockdown e la pandemia?
“E’ cambiata, purtroppo in peggio. Durante il lockdown si pensava a un miglioramento della filiera della moda, delle tempistiche, delle consegne e delle collezioni; invece abbiamo assistito a un periodo di stallo perché ovviamente i brand non riuscivano a investire nella moda e quindi per un paio d’anni non si hanno avuto innovazioni. E adesso? Per quanto si sperasse in un miglioramento, mi sembra di percepire sempre meno ispirazione. Fino a qualche anno fa c’erano tantissimi marchi che si evolvevano oppure nascevano firme che producevano qualcosa di nuovo, mentre adesso non ci sono più queste startup che propongono linee rinnovate…Ci siamo molto stabilizzati. Speriamo che in futuro le cose migliorino”.

A proposito di questo, per concludere, cosa riserva il futuro alla moda?
“Noi cerchiamo sempre di essere ottimisti e pensiamo sempre che il futuro della moda sia ogni giorno più roseo. Speriamo che stilisti e generazioni moderne portino idee originali e concezioni di moda rivoluzionate, in modo tale da innovare questo mondo ancora sulle spalle dei capostipiti, che ormai hanno una loro età. Per cui spazio ai giovani perché sicuramente ci potranno dare qualche soddisfazione in più”.

Francesca Meoni

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