Dietro le esultanze, i traguardi e le lacrime dei protagonisti in campo vi è il lavoro delicato e a fari spenti dei componenti dello staff tecnico. Oggi conosciamo più da vicino le mansioni e responsabilità del ventottenne Valerio Povia, che da due stagioni è il preparatore atletico del Gavirate. Ma non è tutto qui, perché oltre a far sudare i giocatori rossoblù, dalla scorsa estate ricopre il medesimo ruolo in un’altra realtà sportiva, ovvero la Fo.Co.L Volley Legnano, squadra di pallavolo femminile militante in Serie B1. Quanto si somigliano questi due incarichi? E quali sono i fattori chiave di una preparazione fisica di alto livello? In questa chiacchierata a 360 gradi, Valerio ci descrive la sua figura professionale, partendo proprio dal suo approccio al settore fino alle sue attuali esperienze.

Parlaci un po’ del tuo percorso formativo e professionale. Quando inizia la tua carriera come preparatore atletico?
“Dopo la laurea triennale in Scienze Motorie all’Insubria e la specialistica in Scienze Didattiche dello Sport all’Università degli Studi di Milano, ho fatto un master a Pisa e sono riuscito a entrare nel corso federale di Coverciano come preparatore atletico professionista. La mia prima esperienza pratica è arrivata al secondo anno di università, quando sono entrato nello staff degli Allievi Provinciali dei Mocchetti di San Vittore Olona. Da lì sono passato alla Juniores Nazionale della Bustese Calcio, l’attuale Milano City, poi ho svolto un tirocinio in Prima Squadra a Monza in Serie C e l’anno dopo ho accettato la proposta della Sestese in Eccellenza, prima di venire qui al Gavirate”.

Finora quali sono state le più grandi sfide e soddisfazioni nell’ambito del tuo lavoro?
“Sicuramente a Monza ho vissuto un’esperienza molto bella e impegnativa che mi ha fatto capire cosa significa lavorare nello sport professionistico. È un mondo completamente diverso dal dilettantismo e averlo conosciuto da vicino mi ha aiutato parecchio, dato che anche nel dilettantismo trovo giocatori che aspirano a fare del calcio la loro professione. Io penso che in entrambi i casi siano fondamentali la dedizione al lavoro e l’attenzione alla psicologia di ogni singolo atleta, e questa forse è la più grande sfida che mi sono posto. Se dal punto di vista fisico l’obiettivo è uno solo e in un modo o nell’altro lo si riesce a raggiungere, quando entrano in gioco gli aspetti psicologici, al contrario, non è sempre facile farsi capire e seguire dai ragazzi. Riguardo alle soddisfazioni, sicuramente essere ricercato da società di alte categorie mi fa pensare che forse faccio bene il mio lavoro. Anche il fatto che il Gavirate abbia voluto fortemente la mia riconferma mi ha reso veramente felice; a questi livelli difficilmente si trovano realtà con una progettualità a lungo termine, quindi spero di poter continuare e di aiutare la squadra a ottenere migliori risultati”.

Parliamo proprio della tua esperienza al Gavirate. Che ambiente hai trovato?
“In genere è raro che rimanga per più di una stagione nella stessa società, ma a Gavirate mi trovo molto bene. Al primo contatto due anni fa mi avevano convinto subito per la loro serietà e professionalità. So che hanno molta fiducia in me e questo è fondamentale per lavorare bene. L’anno scorso seguivo principalmente la Prima Squadra, mentre quest’anno mi è stato chiesto di supervisionare anche il lavoro del settore giovanile. Insieme alla società, facciamo vari incontri con gli allenatori delle varie annate per cercare di migliorare i programmi di allenamento e la nostra intenzione è di ampliare l’organico dei preparatori”.

Questi ultimi due anni si sono caratterizzati per continue interruzioni causa Covid. Quanto è stato, e continua ad essere, difficile adattare i carichi di lavoro alle esigenze e possibilità del momento?
“Sono stati due anni complicati perché qualsiasi lavoro si avesse in mente doveva essere continuamente modificato. Quando un giocatore risulta positivo, bisogna preparare un programma specifico e capire cosa può fare o meno a casa. Di conseguenza anche le attività al campo variano, perché magari si preparano allenamenti per venti ragazzi e alla fine se ne hanno a disposizione di meno. I problemi in questa situazione sono tanti, ma adattarsi fa parte del mio lavoro. Nello sport, dopotutto, non c’è mai una giornata tipo, ma solo linee guida in cui si cerca di rientrare”.

Passiamo al tuo lavoro nel mondo della pallavolo. Com’è stato l’approccio in una realtà diversa da quella a cui eri abituato?
“Anche lì ho trovato un bell’ambiente, sebbene sportivamente parlando non c’entri assolutamente nulla con il calcio. Diciamo che sono un professionista alla ricerca di emozioni, e le emozioni che ti regala uno sport come il calcio sono molto diverse, ma non necessariamente migliori o peggiori, di quelle che si vivono con la pallavolo. Non me lo sarei aspettato, ma questo incarico mi sta piacendo veramente tanto. In realtà è la mia seconda esperienza nel mondo della pallavolo, dato che ero già stato per un anno e mezzo a Castellanza in Serie C. Ora con il Covid la situazione è molto difficile, trattandosi di uno sport al chiuso, quindi si spera che le cose possano andare meglio”.

Concludiamo sottolineando l’importanza del tuo lavoro: qual è il valore aggiunto di una buona preparazione atletica? E come si raggiunge questo obiettivo?
“In questi anni si sta andando nella direzione di un calcio, o in generale di uno sport, di maggiore intensità. Il mio lavoro principale consiste nel coordinarmi con gli altri membri dello staff tecnico per organizzare il giusto carico di allenamenti, in modo che i giocatori arrivino alla partita del weekend nella migliore condizione possibile, senza farsi male. Ovviamente nello sport ci sono tante componenti, tra cui anche quella casuale, quindi è impossibile prevenire al 100% un qualsiasi tipo di infortunio, ma noi cerchiamo sempre di fare del nostro meglio, dosando i lavori aerobici e di forza. Fortunatamente molti allenatori si stanno accorgendo che non basta far correre dei calciatori o far saltare delle giocatrici di pallavolo, perché per farli stare al meglio bisogna lavorare su tanti altri fattori, tra cui quello psicologico. Forzare un ragazzo o una ragazza a fare qualcosa che non vuole non produrrà risultati positivi, quindi bisogna trovare dei compromessi e portare l’atleta dalla propria parte. Questo è sicuramente l’aspetto più importante e complicato del nostro lavoro”.

Silvia Alabardi

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