Anche la follia merita i suoi applausi“. Diceva così Alda Merini, una delle grandi donne del nostro tempo che ha lasciato il suo nome nella storia d’Italia. Una frase che, accostata oggi alla Pallacanestro Varese, trova una collocazione perfetta e quanto mai indicata.

Si perché è giusto oggi elogiare la follia di una squadra ormai non più sorpresa ma solida realtà di questo campionato di Serie A. Un gruppo arrivato alla quinta vittoria consecutiva, capace di superare avversari sulla carta più forti così come di rispettare il pronostico contro quelli apparentemente più deboli, anche se di partite semplici in questo campionato dubitiamo tutti ne possano esistere.

Un pensiero che amplifica l’elogio odierno alla Openjobmetis Varese targata Matt Brase. Una squadra folle, pazza, terribilmente letale e bella nella sua natura al di fuori di ogni regola, di ogni logica, che anche contro Verona mette in campo tutti i suoi pregi ed i suoi difetti nel giro di 40 minuti.

Se fosse un’altra squadra si parlerebbe di bipolarismo tecnico-tattico preoccupante, si parlerebbe di un gruppo senza equilibrio che fatica a trovare una propria identità. Ma parlando della Pallacanestro Varese di oggi non si può assolutamente dire questo, anzi.

I biancorossi sono una squadra che, o vince le partite così, volando su montagne russe continue, viaggiando a ritmi elevatissimi che possono anche portare a qualche errore, senza fermare mai il gioco se non in rare occasioni, facendo tutto il contrario di tutto nel giro di pochissimi secondi, riaprendo partite virtualmente chiuse come a Verona, oppure non le vincerebbe e finirebbe per snautare sè stessa.

Perché la Pallacanestro Varese ha un’identità propria molto definita, che si basa su una sana follia, capace di portare una partita combattuta, presa per mano, ad un certo punto praticamente dominata, quasi praticamente in fumo. Ma è quel quasi che fa la differenza, perché in fumo la partita per Varese non ci va mai.

Non ci va nemmeno a Verona, dove l’intensità di Casarin, Cappelletti, Anderseen e Bortolani si scontra con la sostanza, la solidità, mentale e tecnica, la fisicità, di una Varese capace di imporre il proprio diktat senza mai perdere la rotta, anche quando sembra lo stia facendo. Non ci va nemmeno quando Johnson e Brown ne combinano di cotte e di crude, dilapidando il vantaggio in doppia cifra nel finale di partita, per poi, quasi lo facessero apposta, decidere di riprendere in mano il match con due giocate fuori dalla logica umana e cestistica.

Non va in fumo perché i biancorossi hanno quella terribile, per gli avversari, capacità di trovare ogni partita ed all’interno della stessa diversi protagonisti capaci di mandare fuori giri quqalsiasi piano tattico venga costruito e studiato sulla OJM. Esempio massimo di questo quel Giancarlo Ferrero che anche contro gli scaligeri, in 10 minuti, mette a segno una prestazione di altissima qualità e peso, emblema delle caratteristiche di questo gruppo.

Un gruppo che ritrovato un Woldetensae in stato di grazia, che ha un Colbey Ross che nella sua peggiore partita tra le ultime disputate segna 10 punti e mette a referto 6 assist, che trova il bilanciamento perfetto tra Owens e Caruso sotto le plance, che continua a vincere anche se non batte mai i propri avversari nella lotta a rimbalzo, che mette in campo Librizzi due minuti e quasi non ti accorgi che quello, in teoria, dovrebbe essere il tuo undicesimo uomo, che si esalta sulle giocate di un Reyes sempre più performante, per non parlare dei due top player citati sopra e di una coralità di squadra che funziona a meraviglia.

Funziona perché è piena espressione di quella pazzia che rende vera, unica, bellissima questa squadra ed allora viene da pensare che aveva proprio ragione Alda Merini: a volte anche la follia merita applausi e per questa Pallacanestro Varese non può che esserci una standing ovation a scena aperta.

Alessandro Burin

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