“Da qualche parte oltre l’arcobaleno, proprio lassù, i sogni che osi sognare diventano realtà”. Forse la vicenda cestistica di Luca Banfi non si è sviluppata seguendo esattamente le note di “Over the rainbow” ma, dai, prima è bello pensarlo e poi, a distanza di tantissimi anni, è bello sapere che Banfi ha vissuto come un sogno e come una favola quei bellissimi momenti spesi nel settore giovanile.

Non a caso gli occhi di Luca Banfi, brillante ed estroso playmaker classe 1964 nato cestisticamente a Gorla Maggiore, ma cresciuto nel vivaio della Pallacanestro Varese, si illuminano d’immenso nel ricordare quelle stagioni in cui tutto sembrava fosse a portata di mano. Anche, appunto, il sogno di diventare campione. Poi, campione, Luca Banfi non lo è diventato, ma il piacere di aver indossato la prestigiosa maglia della Pallacanestro Varese procura ancora emozioni. Così come restano, intatti, i brividi per aver conosciuto gli idoli di quando era ragazzino e, con solerzia pari solo alla precisione, ritagliava le foto di Morse, Meneghin, Ossola, Zanatta, Yelverton dalle pagine dell’Inteprido, del Monello o delle, allora rarissime, riviste specializzate.
“Conservo ancora gelosamente la lettera con la quale la Pallacanestro Varese – ricorda Banfi – mi comunicava la convocazione ufficiale per il primo allenamento della stagione. Una lettera attesa con evidente impazienza per diverse settimane anche se, verbalmente, al riguardo avevo già avuto ampie rassicurazioni. Ma, sai meglio di me, un conto sono le parole e tutt’altra cosa è la “carta”. Quella, non è solo un modo di dire, “canta” e io, con quella lettera fra le mani, mi sarei messo a cantare per le strade di Gorla Maggiore”.

Già, Gorla Maggiore: la tua avventura cestistica inizia in Valle Olona, quando esattamente?
“Avrò avuto sette-otto anni quando, seguendo le orme di mio fratello Marco, classe 1962 (allenatore di talento e buone idee, prima che gli impegni professionali lo spingessero altrove, ndr), decido di frequentare i corsi di minibasket organizzati dal Basket Gorlese che, allora, primi anni ’70, identificava tutta l’attività giovanile in una persona: Donato Simioni. Coach Simioni, purtroppo prematuramente scomparso, alleva e cura con grande dedizione diverse annate e in quella dei nati nel 1964 ci sono due giocatori meritevoli di attenzione: Gianluca Ferrè, che in seguito e per tantissimi anni sarà una colonna della Pallacanestro Legnano, e il sottoscritto. La Pallacanestro Varese, sempre alla ricerca di volti nuovi, vede nella nostra coppia qualcosa di interessante e dopo un paio di allenamenti-provini, coach Bruno Brumana parla con i dirigenti gorlesi e con le nostre rispettive famiglie perfezionando, nella categoria Allievi, anno 1978-1979, il passaggio al club varesino. Per me, pur consapevole che la frase è abusata, si tratta davvero della realizzazione del mio piccolo grande sogno: giocare nelle formazioni giovanili del più importante club europeo”.  

Come si sviluppa la tua carriera varesina?
“Quelli trascorsi in maglia Emerson-Turisanda sono stati quattro anni meravigliosamente belli, ben al di là dei risultati ottenuti perchè in fondo – spiega Luca -, come squadra non abbiamo conquistato vittorie da ricordare. Però, qualcosa di eccezionale credo sia rimasto in tutti noi: la sensazione di aver fatto parte di una “classe privilegiata. Il fatto stesso di essere giocatore in Pallacanestro Varese ti proiettava automaticamente in una dimensione diversa e, personalmente, sentivo il dovere di dare il meglio di me stesso. In campo e fuori. E’ un vissuto difficile da rendere a parole ma, provandoci, potrei dire che ci sentivamo come ragazzi appartenenti ad un “corpo d’elite”. A una squadra speciale nella quale, dopo una durissima selezione, entrano solo giocatori speciali. Insomma: noi eravamo Varese. Con tutte le responsabilità del caso. Un responsabilità che, peraltro, veniva puntualmente e costantemente trasmessa dai dirigenti e dagli allenatori, in particolare Bruno Brumana, un coach al quale devo molto e, dal mio punto di vista, ha rappresentato la fotografia perfetta dell’allenatore a livello giovanile: tanto impegno abbinato al divertimento; grande serietà unita a momenti più “leggeri”; importanti lezioni cestistiche miscelate a preziosi consigli di vita e sempre, sempre, da parte di Brunetto, grande attenzione alla dimensione umana”.

Poco fa accennavi ai risultati, quali sono quelli da ricordare?
“Al mio primo anno approdiamo alle finali nazionali Allievi, le uniche conquistate dal nostro gruppo, che si disputano a Monopoli e chiudiamo la manifestazione al terzo posto. Un risultato niente male se si considera che in quegli anni Milano e Cantù con i loro gruppi ’64-’65 fanno sempre la voce grossa. Poi, ricordo con grandissimo piacere i tanti tornei giocati in giro per l’Italia e l’Europa e la prima volta in cui, ad un torneo, lo speaker annunciò il mio nome nel quintetto di partenza: Giani, Prina, Guidotti, Pol e Banfi. Indimenticabile”.

Quando ripensi al tuo percorso nelle giovanili, che bilancio ti senti di stilare?
“Come ho detto prima, l’aver vissuto un’esperienza del genere mi colloca a forza nella schiera dei “giocatori fortunati”. Però, col senno di poi, dovendo analizzare la mia traiettoria tecnica in relazione a quello che è stato lo sviluppo del gioco, dico che avrei puntato molto, molto di più sul miglioramento del tiro da fuori in tutte le sue forme. Da ragazzo, infatti, avevo in dotazione un buonissimo uno contro uno, ricco di soluzioni, anche acrobatiche, mentre il fondamentale tiro, abbastanza “battezzabile”, mi ha un po’ frenato nella carriera a livello senior”.

Però, riguardando le foto, scopro che il tuo esordio con i “grandi” è stato col botto: nientemeno che in B1 con l’Omega Busto Arsizio.
“Esatto: in uscita, peraltro anticipata, dalla Pallacanestro Varese approdo all’Omega Bilance Busto, allora in B1. Purtroppo, però, l’annata bustocca sembra la rappresentazione plastica della famosa “Legge di Murphy”: se qualcosa può andare male, andrà male di sicuro. La squadra infatti, già priva di Bessi, impegnato col servizio militare, dopo poche giornate perde anche l’altro play-guardia Franzin, messo ko da un incidente automobilistico e senza i due “cervelli” più esperti le cose si fanno difficoltose. Così, pur essendo esordiente in categoria, mi buttano nell’arena e alla fine gioco quasi 20 minuti a partita tenendo il campo in maniera più che dignitosa. Tuttavia, è chiaro, il reparto esterni è pur sempre ridotto all’osso e al gruppo manca sempre un centesimo per fare una lira. Di fatto, nonostante la grinta e il buon atteggiamento alla fine retrocediamo a picco. Insomma: dalla mia prima esperienza senior, anche se soddisfacente sotto il profilo personale, avrei voluto qualcosa di più”.   

E, dopo Busto, è arrivato quel “qualcosa di più”?
“Più o meno anche, è giusto sottolinearlo, dopo l’esperienza da professionista a Busto, la pallacanestro entra in una dimensione post-lavorativa. Per cinque stagioni, abbastanza divertenti, gioco a Somma Lombardo e, per dire, mio compagno di squadra è l’ex Ministro Bussetti. Poi mi sposto per la provincia di Varese, ma sempre ad un tiro di schioppo da casa: Cislago, Marnate, CAS Sacconago e Verghera. In tutto una quindicina d’anni spesi nelle serie minori tra serie C2, D, Promozione e Prima Divisione”.

Nell’avventura-favola cestistica di Luca Banfi non poteva mancare il classico “momento Andy Warhol”, ovvero, riprendendo una famosa frase dell’artista americano “Ognuno nella vita avrà il suo quarto d’ora di celebrità”.
“Il mio, ben raffigurato da alcune foto – le più belle e suggestive della mia vita agonistica -, va in scena nella tarda primavera del 1981 quando con la Turisanda Varese giochiamo, proprio a Gorla Maggiore davanti alla mia gente, un’amichevole di esibizione contro la Federale Lugano. In una foto volo leggiadro a canestro. In un’altra sono dietro al mio mito Dino Meneghin e, ancora oggi, non mi sembra vero di aver vissuto quei momenti. Di quella partita giocata davanti alla mia famiglia, ai miei amici d’infanzia e a tutti i miei ex-compagni di squadra ricordo ogni istante. Compreso il boato del pubblico dopo il mio primo canestro. Quella sera chiudo il mio tabellino con un clamoroso 3/3 dal campo e se alla fine qualcuno mi avesse detto: “Guarda Banfi che dopo questa partita devi smettere di giocare!”, io, travolto dalla felicità, avrei detto: “Ma sì, chissenefrega, ho segnato 6 punti, ho smazzato un paio di assist al “Menego” e ho ricevuto applausi a iosa dal mio pubblico. Dopo una gara così emozionante posso anche abbandonare la pallacanestro e dedicarmi alle freccette”. 

Oggi il basket è ancora presente nella tua vita?
“In verità non è mai uscito perché da oltre 20 anni faccio parte del “Magico mondo WIZ Legnano Basket ‘91” e, guai alla schiena permettendo, ogni venerdì sera che Dio manda in terra ci “ammazziamo” cestisticamente in infinite sfide tra squadre composte da giocatori “diversamente maturi” e “non ancora anziani”. Poi, dopo poche corse, rari canestri, qualche inevitabile litigio e un miliardo di prese per il culo reciproche con Guido, Sergio, Attila, Bobo, Rosso, Alberto, Charlie e compagnia finiamo tutti con le gambe sotto il tavolo a raccontarci tutto il bello della vita e della pallacanestro che, poi, sono le due facce della stessa medaglia”.

Chiudiamo, come sempre, con i tuoi quintetti partendo da quello delle giovanili.
“In questo caso ripropongo quello di Pallacanestro Varese: Banfi, Prina, Giani, Guidotti, Pol”.

Quintetto senior?
“Forse ti sorprenderò, ma il quintetto senior è quello del cuore. Così la scelta va ben oltre gli aspetti tecnici, fisici o atletici e si sofferma su altre caratteristiche: simpatia, generosità, disponibilità, senso di fratellanza. Quindi vado con Banfi, Carlo Caccia, Luigi Caccia, Sandro Piotti e Roncelli. Poi, se me li concedi, prendo alcuni cambi lussuosi: Giovanni Caccia, Angelo Galmarini, Roncelli, Guidali e Gabrielli”.

Allenatore e giocatori da ricordare “All-Time”.
“Come allenatore non posso che scegliere Bruno Brumana. Come giocatori, considerando ovviamente fuori categoria i miei idoli-compagni – Meneghin, Morse, Yelverton, Bassett, Zanatta e così via -, di quando mi allenavo con la serie A, scelgo con decisione Mauro Buzzi Reschini, giocatore di grandissima classe e talento strepitoso, il migliore che io abbia mai visto”.

Massimo Turconi

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