Saranno delle Olimpiadi davvero particolari quelle che andranno in scena tra la fine di luglio ed i primi giorni di agosto a Tokyo, sia perché si tratta di una manifestazione rinviata di un anno a causa della pandemia di covid-19 che ha colpito tutto il mondo, sia perché non ci sarà pubblico sugli spalti, creando un silenzio quasi irreale.
Saranno dei Giochi particolari, è vero, ma pur sempre si tratta della competizione più importante che possa esistere nel panorama sportivo, quella che già solo arrivandoci ti consegna alla memoria storico-sportiva e quella dove basta vincere una medaglia per consegnarsi alla gloria.
Un sogno, un obiettivo, che per tanti atleti ed atlete sta per diventare realtà, ed anche nella zona del varesotto, dove ci sono diversi sportivi che parteciperanno alla manifestazione.

Una tra questi è Chiara Rebagliati, arciera ligure nel sangue ma varesina nel cuore, che fa parte del progetto CUS Insubria e che parteciperà per la prima volta ai Giochi grazie al terzo posto conquistato nelle qualifiche di Squadra femminile del torneo di Parigi dello scorso giugno.

Possiamo dire che sei e sarai una varesina alle Olimpiadi?
“Sì, assolutamente, mi fa molto piacere questa cosa”.

Cosa significa Varese per te, ligure, ma che, grazie al CUS Insubria, ha potuto continuare a coltivare quella passione sportiva che oggi ti ha portata alle Olimpiadi?
“Varese è stato il motivo che mi ha portato ad essere qua oggi. Se quando ho terminato le superiori non avessi trovato quest’opportunità del College probabilmente avrei dovuto ridurre di molto le ore dedicate all’allenamento e di conseguenza non avrei mai potuto raggiungere quest’obiettivo. Il College è un bellissimo progetto e se fosse presente in tante altre realtà universitarie italiane permetterebbe di continuare a studiare dopo le superiori ma portando avanti la carriera d’atleta. E’ stata una scelta ed un’occasione per me unica e molto importante e sicuramente il merito va anche a questo che mi ha permesso di conciliare le due cose”.

Il raggiungimento di questo obiettivo è passato come ultimo step dalle qualifiche di Parigi dello scorso giugno. Che gara è stata e come hai vissuto il momento in cui hai capito che saresti volata a Tokyo?
“Sul momento sicuramente ho provato un’emozione grandissima che non è stata facile da realizzare. E’ stata una bell’impresa anche perché era la nostra ultima chance. Purtroppo come squadra abbiamo perso la semifinale contro il Messico che, vincendola, ci avrebbe garantito il pass assicurato per Tokyo. Ci siamo andate a giocare tutto nella finalina contro la Spagna con un po’ di pressione, perché se perdi dici addio alle Olimpiadi, però per fortuna è andato tutto bene. Negli scorsi mesi abbiamo lavorato molto tra noi tre ragazze della squadra, cercando di creare un’unione che potesse essere motivo di forza e questo secondo me ha aiutato tanto. Avere spirito di squadra, essere unite significa molto, anche se abbiamo caratteri diversi ma quando dobbiamo lavorare e raggiungere un obiettivo andiamo unite verso la meta”.

Che anno è stato per te questo appena passato, tra mille difficoltà legate alla pandemia ed il fatto di dover mantenere la forma sia fisica che mentale ideale?
“Per colpa del covid-19 si è traslato tutto di un anno. Da una parte questo è servito per poter affinare quelle situazioni in cui non mi sentivo magari prontissima, dall’altro lato della medaglia, spostare tutto di un anno significa dover mantenere lo stesso livello fisico, mentale e di risultati e prestazioni, lavorando ancora di più e ripetendosi per due anni a fila. Non è stato facile anche perchè i primi tre mesi di pandemia piena io sono stata chiusa in casa e non ho visto l’arco nella maniera più assoluta. Ho cercato di continuare a fare degli esercizi a corpo libero e altri che potessero permettermi di mantenere un certo tono e far rimanere attivo il gesto, ma quando si è potuti tornare ad allenarsi recuperare movenze e forza non è stato facilissimo. Da settembre poi, io mi sono trasferita al Centro Tecnico Federale di Cantalupa e da lì ho iniziato il lavoro con le altre due ragazze, alzando il livello e portando buoni risultati che mi hanno permesso, nelle varie gare di osservazione della Nazionale, di essere scelta tra le tre-quattro che si sarebbero giocate la qualifica Olimpica”.

Tra voi della squadra si è creata una sorta di competitività sana in questo periodo?
“Sicuramente la competizione c’è ed ogni allenamento era buono per sfidarci tra di noi. Cercare di riprodurre la gara, mettersi sotto stress in allenamento è fondamentale per abituarsi ed è una cosa difficile da fare durante gli allenamenti, solitamente. Magari simulando, facendo degli scontri uno contro uno, mettendo in palio qualche cosa per rendere un po’ più stimolante il tutto serve. La motivazione ovviamente era altissima ed abbiamo cercato di trovare un modo per mantenere alto anche il livello”.

Come ti immagini il momento in cui scenderai sul campo di tiro a Tokyo? Cosa significa per te?
“E’ la realizzazione di un sogno. Quattordici anni di tiro con l’arco sono una vita, però non saranno sicuramente le solite Olimpiadi. Tante restrizioni, tante regole da seguire, però l’evento in sé rimane. Me lo porterò dietro per tutta la vita e ci mancherebbe, poi vediamo quando sarò lì. Sarà un’emozione grande, bisogna lavorare perché non è che una volta raggiunta la qualifica ci si ferma, abbiamo ancora qualche giorno prima della partenza e dobbiamo affinare le ultime cose”.

E’ ufficiale la notizia che non ci sarà il pubblico sugli spalti a causa della pandemia che è tornata ad imperversare in Giappone. Quanto peserà il fatto di non avere tifosi alla gara?
“L’abbiamo sperimentato quando abbiamo fatto a Losanna la tappa di Coppa del Mondo. In finale c’eravamo con solo noi, la nostra allenatrice, l’altra squadra ed il loro allenatore. Fa strano, perché è vero che quando siamo in gara abbiamo bisogno del silenzio e della concentrazione, ma è altrettanto vero che avere un campo gara completamente silenzioso, dove si sentono tutti i rumori mentre incocchi la freccia o respiri prima di tirare fa effetto. Diciamo che il silenzio fa rumore ed è strano, perché il tifo fa piacere, ti carica, ti tiene sveglio e quindi secondo me mancherà un po’”.

Qual è l’obiettivo concreto reale che ti poni andando a Tokyo e quello che vi ponete come squadra?
“Sicuramente come squadra è più facile arrivare a medaglia. Avremo anche l’opportunità di gareggiare tutte e tre singolarmente e poi ci sarà il mix uomo donna dove bisognerà capire il criterio con il quale si verrà scelti; solitamente è riferito a chi fa più punti il girone della qualifica, ma poi spetta allo staff decidere. Noi ad oggi siamo seconde nella ranking mondiale, quindi sicuramente questo un po’ di spinta e carica ce lo dà. Non faccio pronostici, e ci mancherebbe, però sarebbe bello tornare a casa con una medaglia, qualunque essa sia”.

Alessandro Burin

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