Gli anni passano. La Pro Patria no. Quale sia il segreto è (appunto) un segreto. Patrimonio della cultura pop bustocca con la Madonna dell’Aiuto, i bruscitti, il tarlisu e tutto il bias cognitivo comune a chi è nato sotto i 5 campanili. Perché Busto Arsizio e Pro Patria viaggiano (da sempre) a braccetto. Complici di un matrimonio celebrato formalmente il 28 febbraio del 1919 ma già copiosamente consumato attraverso realtà preesistenti (su tutte l’Aurora) di cui la Pro Patria et Libertate rappresentò la cittadina sintesi postbellica. Il football a Busto non nasce con la Pro Patria, ma con la Pro Patria trova la sua espressione storicamente più compiuta. Quella che pur non potendo rivendicare la primogenitura calcistica, ne può vantare l’inconfondibile lignaggio.  

Ma cosa rende a 102 anni di distanza la Pro Patria ancora simbolo indelebile del Made in Busto? Il solco della tradizione (certamente), il morbo della passione (senza dubbio), ma ancor di più (e sconfinando nel retorico) il fiume carsico della bustocchità. Quello che lega il presidente degli albori Carlo Marcora, al vertice della contemporaneità Patrizia Testa. Nel secolo abbondante di parabola sportiva, la Pro Patria ha funzionato quando è appartenuta a portafogli autoctoni. Quantomeno bustesi, se non proprio bustocchi. In una divagazione sul tema mogli e buoi, che ha vissuto rare (e spesso non notabili) eccezioni.

Busto Arsizio e Pro Patria. Dici l’una e pensi all’altra. E viceversa. E’ così da 102 anni e sarà così (chissà) per almeno altrettanti.   
Buon compleanno Pro Patria!                   

Giovanni Castiglioni  

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