Andrea Rota, 45 candeline da spegnere il 10 ottobre, a meno di clamorosi ripensamenti ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. La situazione legata al Covid, ma anche la carta d’identità e la voglia di cimentarsi in qualcosa di diverso gli hanno fatto prendere questa decisione che è arrivata naturalmente, senza rimpianti. Dopo decenni di onorata carriera anche nel calcio professionistico, il centrocampista vuole voltare pagina.

Com’è maturata questa scelta?
“Avrei voluto che questo fosse il mio ultimo anno di calcio giocato e, infatti, ho iniziato l’annata con la Solbiatese per continuare quell’ottimo percorso cominciato in Prima Categoria e terminato con la vittoria del campionato e il passaggio in Promozione seguito allo stop ai campionati dovuto all’emergenza sanitaria. Nel momento in cui tutto si è fermato ad ottobre, i miei piani sono un po’ cambiati e in questo momento do la priorità a passare dall’altra parte, ovvero ad allenare. Non sono rammaricato per aver chiuso il mio capitolo da giocatore proprio in questo periodo anche perchè la mia carriera è stata lunga e ricca di soddisfazioni. Si vede che doveva andare così e ora si apre una nuova pagina, o almeno lo spero”.

Hai già qualche contatto per la prossima stagione? Ti vedremo su una panchina della zona?
“C’è stata una chiacchierata con una società bergamasca durante la pausa di ottobre, ma non se n’è fatto più niente. Negli stessi giorni di ottobre, mi aveva contattato anche una squadra varesotta per giocare in Eccellenza, ma, al momento della ripartenza del torneo, la dirigenza ha deciso di non prendere parte al campionato. Ora voglio concentrarmi solo su una possibile esperienza da tecnico, ma di trattative in corso non ne ho. E’ possibile che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi mi arriverà un’opportunità”.

Che progetto ti stuzzicherebbe?
“Da vari anni ho conseguito il patentino valido fino alla Serie D come mister e come vice in Serie C, ma non ho mai allenato. Credo che allenare e giocare insieme non sia possibile se si vogliono portare avanti entrambe le attività al massimo e non sia nemmeno giusto e finora, dunque, ho preferito dare la priorità al giocare. Quanto ad allenare, mi sento poco portato per farlo con i bambini; mi piacerebbe una prima squadra o una Juniores. Sicuramente non sono malato di tattica, do uno sguardo a quell’aspetto ma mi piace di più lavorare su un discorso di motivazioni, di alchimia del gruppo, sul creare un ambiente in cui ci si diverta e si raggiungano assieme gli obiettivi. Però, non avendo mai avuto esperienza, sono conscio di poter sbagliare e di dover imparare moltissime cose”.

Qual è un allenatore a cui ti vorresti ispirare?
“Ne ho avuti tanti, e anche davvero bravi, ma se devo sceglierne uno dico Stefano Vecchi. L’ho avuto alla Colognese e negli anni ha vinto due scudetti e una Coppa Italia con la Primavera dell’Inter. Ora è al Sudtirol e ogni tanto ci sentiamo”.

Tornando indietro di qualche anno, nella tua carriera hai giocato anche tra i professionisti. Quali sono le tappe più importanti del tuo percorso calcistico?
“Ho avuto la fortuna di giocare per tre anni in Serie C: prima alla Pro Sesto in C1 e poi a Voghera e Viareggio in C2. Si parla però di qualche anno fa ed erano campionati molto diversi da quelli attuali. Le rose erano ancora formate non solo da giovani come adesso, ma anche da uomini di esperienza e di una certa importanza da cui ho imparato tanto. Le mie annate più belle sono state sicuramente quelle al Lecco, una piazza storica e con la fascia di capitano al braccio. E’ stato lì che ho vinto il mio secondo campionato: se il primo è stato a 20 anni a Voghera, a Lecco a 27 anni sono salito in Serie D. Gli ultimi due trionfi sono invece stati in età più matura: a 40 anni ho vinto l’Eccellenza con la Bustese e a 44 la Prima Categoria con la Solbiatese. Posso dire di aver chiuso in bellezza”.

Solbiatese, appunto. Per te è stato un ritorno in nerazzurro dopo la prima esperienza in Serie D nella stagione 2006/2007.
“Sì, quell’anno è stato il mio migliore dal punto di vista realizzativo perchè ho segnato ben 9 gol da centrocampista. Poi la società ha avuto qualche vicissitudine e a distanza di anni si è concretizzata l’opportunità di tornare a vestire quella maglia. Mi ha fatto molto piacere aver contribuito alla vittoria del campionato: insieme a Luca Chiaia eravamo i due più esperti in un gruppo di validi giovani di prospettiva. La Solbiatese è una società che ha ambizione e che, oltre a quella, ha le capacità di prendersi di nuovo un posto al vertice del calcio dilettantistico. Tra pochi anni sarà sicuramente in Serie D”.

Nell’album dei ricordi c’è anche la rappresentativa della Padania.
“E’ stata l’esperienza calcistica e umana più bella della mia vita. Dal 2014 in poi ogni anno ho partecipato a tornei internazionali con la Padania, una rappresentativa del Nord Italia che non ha nulla a che vedere con la politica. Ho visitato Paesi in cui non penso sarei mai andato come l’Armenia, la Georgia e la Lapponia e ho giocato di fronte anche a 15mila persone. Se in Italia questi tornei non hanno particolare rilevanza e appeal, in altre nazioni sono visti come dei veri e propri mondiali. Ho conosciuto persone che mi porterò sempre nel cuore e mi sono avvicinato a culture e modi di pensare diversi dai nostri. In più abbiamo anche vinto per due volte, una a Cipro e una in Ungheria”.

Tornando al presente, segui il campionato di Eccellenza? Chi vincerà?
“Sono contento che l’Eccellenza sia ripartita e questo fa bene da un punto di vista sociale perchè si ha la sensazione di poter tornare alla normalità. Dal lato agonistico, invece, è un campionato che ha poco valore senza le retrocessioni e con così poche squadre. Alla fine una tra Varesina e Brianza Olginatese la spunterà, sono loro le formazioni più attrezzate”.

Cosa ti senti di dire ai ragazzi che da più di un anno sono fermi?
“Capisco che questo sia un momento di difficoltà, ma mi auguro che ciascuno di loro possa trovare dentro di sé motivazioni e passione per continuare a praticare questo bellissimo sport. Se hanno ancora dentro di sé il fuoco è giusto che proseguano e coltivino i loro sogni; se il calcio è solo un passatempo di poche ore non ne vale la pena. In ogni caso, mi auguro che tutto possa gradualmente tornare a come eravamo abituati prima della pandemia”.

Laura Paganini

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