Venticinquenne di Olgiate Olona ben noto nel mondo del calcio dilettanti, Nicolò Dall’Omo si è trasferito ad Amsterdam ai primi di febbraio per lavorare nel settore dello sport marketing presso Adidas. Poche settimane dopo la sua partenza, l’Italia è stata colpita dall’emergenza Coronavirus. Se in un primo momento l’Olanda sembrava essere stata risparmiata dall’ondata di contagi, da metà marzo il numero di casi ha iniziato ad aumentare rapidamente, tant’è che Nicolò sta pensando di tornare a casa e aspettare che la situazione si stabilizzi.

Che clima si respira ad Amsterdam?
“L’arrivo del virus in Europa era stato preso un po’ alla leggera. Gli Olandesi non erano molto preoccupati perché lo consideravano una semplice influenza. Io, invece, avevo capito che era qualcosa di più grave, sentendo anche le notizie che arrivavano dall’Italia, e già allora evitavo gli assembramenti. Ai primi di marzo l’atmosfera era ancora tranquilla e c’erano stati solo pochi casi. Ora tutti si sono resi conto che non è una malattia da sottovalutare e il clima è cambiato. Io ho già vissuto in questo Paese anni fa e ho piena fiducia negli Olandesi perché sono un popolo che segue alla lettera le indicazioni. Ad esempio, qui è ancora consentito uscire di casa e trovarsi con altre persone, a condizione di mantenere la distanza di un metro e mezzo, e difatti è quello che si vede per le strade o al parco”.

Quanto è difficile rientrare in Italia in questo momento?
“I voli garantiti partono da Bruxelles. Fino al 30 aprile ce n’è uno al giorno, ma i treni da Amsterdam a Bruxelles sono pochi e oltretutto l’aereo arriverebbe a Roma. Da lì sarebbe molto complicato prendere i mezzi pubblici, quindi preferirei trovare altre opzioni che mi permettano di atterrare a Milano e limitare al minimo gli spostamenti in un momento così delicato. Avendo intenzione di rientrare, già da qualche settimana mi sto isolando il più possibile perché non voglio mettere a rischio la mia famiglia”.

Come giudichi la risposta del governo olandese all’emergenza e com’è la situazione a livello di contagi?
“All’inizio mi ero un po’ spaventato per le dichiarazioni del primo ministro sull’immunità di gregge, ma fortunatamente nei giorni successivi si è reso conto dell’effettiva gravità della situazione e ha iniziato a prendere provvedimenti. Da metà marzo le aziende hanno optato per lo smart working e da qualche settimana chi vuole recarsi in ufficio deve compilare un modulo in cui dichiara di avere valide ragioni per farlo. I negozi, invece, sono ancora aperti, ma hanno adottato varie misure per limitare i contatti. All’interno sono attrezzati in modo da non fare avvicinare la gente, ad esempio con teli trasparenti tra venditori e clienti; all’esterno si fa la fila mantenendo la debita distanza, che è segnalata per terra con strisce di nastro adesivo. Da questo punto di vista gli Olandesi sono molto precisi e rispettano le regole, eppure i casi stanno aumentando giorno dopo giorno, quindi credo che prima o poi dovranno chiudere tutto. Il virus è arrivato più o meno un mese dopo rispetto all’Italia e vedo che stanno provando a contenerlo, ma forse si sono mossi troppo tardi. Ad oggi i contagi confermati sono più di 26.000 e i decessi 3.000 circa. A mio avviso l’emergenza andrà per le lunghe e proprio per questo vorrei tornare momentaneamente in Italia, dove piano piano la situazione sembra migliorare”.

Il tuo lavoro ha risentito di questa emergenza?
“È da quasi un mese che me ne occupo da casa. Visto che il mondo del calcio è fermo, la quantità di lavoro è calata, ma Adidas promuove molte iniziative sui social, e infatti in questi giorni sto monitorando varie attività di questo tipo. Già a fine febbraio ricevevamo dall’azienda i primi messaggi di prevenzione del Covid, come lavarsi spesso le mani, evitare i contatti con possibili contagiati o mettersi in quarantena per 14 giorni nel caso si tornasse da un viaggio in Italia. Poi dal 16 marzo ci è stato detto di non andare più in ufficio e ora possono farlo solo i dirigenti per le emergenze”.

Quando si è fermato lo sport? Tu ti stavi allenando?
“I campionati dei professionisti e i tornei amatoriali sono stati sospesi subito, con le stesse tempistiche dell’Italia. Io giocavo le partite organizzate dall’azienda e mi allenavo con varie squadre per tenermi in forma. Ora che è tutto bloccato posso solo andare a correre e fare esercizi a livello fisico”.

In Italia hai giocato con la Besnatese fino a due giornate prima dello stop, disputando un’ottima stagione. Quali erano le tue speranze per la squadra?
“Ci tenevo che la squadra arrivasse ai playoff e in tal caso avevo in programma di tornare apposta in Italia per essere di sostegno ai miei compagni. Per come abbiamo disputato il campionato potevamo farcela benissimo. La sconfitta con il Fagnano a fine gennaio ci aveva demoralizzato un po’, ma poi eravamo tornati alla vittoria con il CAS e secondo me anche contro il Sedriano, la prima partita ad essere stata sospesa, sarebbero potuti arrivare i tre punti. Avevamo già affrontato le squadre più pericolose, come Gavirate, Morazzone, Uboldese e lo stesso CAS, e le partite che ci mancavano, tranne Meda e Base 96, erano abbordabili. Sono sicuro che avremmo potuto qualificarci e farlo con una squadra come la Besnatese sarebbe stato ancora più bello. Posso dire che è una delle migliori società in cui abbia mai giocato, con una serietà, professionalità e organizzazione che si trovano solo nelle squadre di categorie superiori con una maggiore potenza economica”.

Nonostante la proroga della quarantena fino al 3 maggio, non è stata ancora presa una decisione ufficiale sulle sorti del campionato. Secondo te quale sarebbe la soluzione più corretta?
“Io spero che prima o poi si possa tornare in campo e concludere la stagione senza il rischio di ammalarsi, perché ora naturalmente la priorità è la salute. Sento che molti propongono di annullare il campionato, ma secondo me è un’opzione impensabile. Considerando i sacrifici fatti dalle squadre, io piuttosto lo sospenderei per tutto il tempo necessario per poi riprendere da dove eravamo rimasti, posticipando la prossima stagione. Azzerare tutto quando mancavano solo nove partite sarebbe assurdo. D’altro lato, sorgerebbe anche il problema dei rimborsi spese delle società, quindi si dovrebbero congelare i contratti, visto che scadono in estate. Questa in realtà è la mia speranza e mi sembra anche la soluzione più logica, ma allo stesso tempo so che è molto utopica. A livello organizzativo sarebbe sicuramente più facile promuovere la prima e far retrocedere l’ultima, ma non lo trovo molto corretto. Supponiamo che in un girone ci fossero pochissimi punti di distanza tra la prima e la seconda in classifica e che questa, fino allo stop, avesse giocato contro gli avversari più forti, mentre la capolista contro quelli più deboli: non sarebbe giusto farla salire automaticamente di categoria. I fattori da considerare sono molti e non è una situazione semplice”.

Silvia Alabardi