Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato. Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta.
Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.

La foto di oggi mi trasmette una prima, grandissima, considerazione: quanta Varese, anzi quanta “bella Varese” c’è in questa immagine: quella della Cagiva Pallacanestro Varese che, quasi in carrozza, vinse la serie A2 nell’anno domini 1993-1994.

Bianchi “Dacio”, Biganzoli Daniele, Bulgheroni Tony, Conti Paolo, Meneghin Andrea, tutti citati in ordine alfabetico, tutti di purissima formazione tecnica varesina (sia PallaVa, sia Robur et Fides). Anche Paolo Conti che, cresciuto nel CMB Rho, affina le “armi” in Pallacanestro Varese e ormai da tre anni risiede in città.

La sottolineatura sulla bosinità di quel gruppo rappresenta un elemento indispensabile per capire la struttura mentale di quella squadra perché il marchio “Made in Varese” costituirà il “cemento” a presa rapida su cui edificare la fantastica, per certi versi clamorosa, stagione vincente che riporterà la Cagiva Varese in serie A. Una stagione raccontata per i nostri lettori dal “cervello” di quel gruppo: Daniele Biganzoli.
“Clamorosa credo sia l’aggettivo adeguato e del tutto calzante per descrivere quella meravigliosa annata. Per ricordarla – segnala subito Daniele -, bisogna però fare un passo indietro e riportare indietro l’orologio del tempo alle due stagioni precedenti, contrassegnate da una profondissima, quasi palpabile delusione. Mi riferisco ai campionati dei Theus e Wilkins, tanto per fare due nomi, e a quello del 1992-’93 dei Brusamarello, Masetti, Montecchi, Rogers. Campionati in cui i cosiddetti “grandi nomi” oltre a toppare in modo evidente l’obiettivo creano un forte scollamento tra squadra e tifosi. Così i nostri dirigenti, ovviamente indispettiti da un andazzo umano e tecnico improduttivo, durante l’estate cambiano completamente rotta mettendo nelle mani di coach Dodo Rusconi un gruppo giovane, sulla carta futuribile e ad alto indice di varesinità indicando al coach e a noi giocatori due traguardi: crescere e nel medio termine, quindi 2-3 anni, tornare nella serie maggiore”.

Invece voi, per uno di quei “miracoli” che spesso accadono nello sport, bruciate le tappe e dominando il campionato tornate il serie A al primo colpo.
“Se non è stato miracolo, diciamo che ci siamo andati davvero molto vicini perché – annota con orgoglio “Biga” -, ricordo benissimo che la nostra squadra non solo non appare in nessuno dei “ranking” pre-stagionali stilati dai soliti “esperti”, ma il più delle volte anche gli avversari, dopo averci guardati, esibiscono sorrisini di compatimento quasi a voler significare: “Ma dove volete andare??”. Invece noi sorprendendo tutti, anche un po’ noi stessi per essere onesti, non solo “andiamo”, ma addirittura voliamo in serie A sulle ali dell’entusiasmo e di un pallacanestro in grado di unire estetica e razionalità; intensità e leggerezza”.

komazec 2Una squadra costruita intorno ad Arijan Komazec.
“Komazec, in quella stagione, rappresenta una vera propria sorpresa nella sorpresa perché, al di là dei quarti di nobiltà e della fama che un po’ lo aveva preceduto, è giusto ricordare che a Varese approda un giocatore tutto da riscoprire, ricostruire e rivalutare, sia tecnicamente, sia umanamente. A questo proposito ricordo un inizio tutt’altro che facile perché all’esordio ufficiale in Valtellina un arbitro si accanisce contro di lui e nei primi possessi gli fischia per tre volte consecutive passi di partenza. Komazec reagisce tirandogli una pallonata che per fortuna non colpisce il bersaglio, ma tutti noi pensiamo subito: “Cominciamo bene, raga!!”. Col passare delle settimane le cose migliorano, ma soprattutto Komazec, da uomo intelligente, capisce che la nostra squadra, grazie al clima sereno e alla grande amicizia, può essere la tappa del suo rilancio definitivo. Insomma, viaggiando su idee condivise noi capiamo di aver fra le mani in fenomeno di prima grandezza, mentre Arijan capisce di avere fra le mani una grande opportunità. Quella squadra però, ci tengo a sottolinearlo, non è solo Komazec. Al contrario, Arijan rappresenta il diadema centrale di una collana fatta di tante “perle”: la vitalità e la duttilità di Bulgheroni e Bianchi nei ruoli di play-guardia; la classe e il talento di Andrea Meneghin, giocatore straordinario che in quella stagione si afferma come uno dei top-player italiani, idem dicasi per Paolo Conti eccellente per atletismo, dinamismo e rendimento; per non parlare del terzetto di nostri lunghi – Esposito, Savio e Buford -, uno più prezioso, utile e intenso dell’altro -. Per farla breve: una perfetta alchimia tecnico-tattica-mentale per una delle stagioni più belle e soddisfacenti della mia carriera in un gruppo davvero affiatato in campo e fuori. Noi, infatti, grazie ad una certa omogeneità, trascorriamo tantissimo tempo insieme anche lontano dalla palestra e tra noi c’è grande intesa e solidarietà”.

komazec 1Un episodio, uno solo, di Komazec-giocatore?
“Ridurre ad un solo “frammento” Arijan, uno che segnava 30 punti di media senza “rubare” un tiro alla squadra,  mi sembra davvero ingeneroso, ma se proprio devo ti racconto di come Komazec, per primo, mi fa capire qualcosa di più sulla famosa “mentalità slava”. Al ritorno del “massacro di Pila” – quindici giorni di preparazione senza toccare palla facendo su è giù per le montagne della Val d’Aosta nemmeno fossimo degli stambecchi -, facciamo uno dei primi allenamenti a Masnago. Alla fine di altre due ore di fatica terribile, Komazec mi chiede: “Ehi Biga, puoi restare a tirare un po’ insieme a me??”.  Io rispondo: “Sì, certo, Arijan, nessun problema”, pensando che il termine “ un po’ ” contemplasse una decina di minuti, non oltre. Invece Komazec, mentre io gli passo la palla, inizia a sfracellare il canestro in tutti i modi: da 2 e da 3 punti con una serie di movimenti che, lo scopriremo più avanti, rientrano nella sua “routine” quotidiana. Komazec si “spara” uno dietro l’altro mille tiri: 500 per ogni lato del campo. E i miei dieci minuti diventano oltre un’ora. Però, in quel momento, capisco perché lui è diventato un campione assoluto, una stella del basket europeo”.

Torniamo al campionato che, lo ricordo bene, inizia con una “sassata”.
“Dopo un buon pre-campionato all’esordio vinciamo in casa contro Udine, ma alla prima trasferta, a Desio, affrontando una delle favorite, becchiamo un “ventello”, la sconfitta più pesante della stagione. Il martedì, alla ripresa degli allenamenti “il Dodo” ci uccide: tre ore di suicidi, gradoni, scatti e ogni altra crudeltà cestistica possibile e immaginabile. Al rientro in spogliatoio noi giocatori privi di fiato e letteralmente spaccati in due, ci siamo guardati in faccia l’un l’altro e ci siamo detti: “Mai più una roba del genere. Mai più”. Da lì in avanti ne abbiamo vinte 10 di fila e pian piano abbiamo fatto il vuoto dietro le nostre spalle”.

L’ultima immagine del quel magico 1993-1994?
“Il palazzetto stracolmo per Cagiva-Foor Padova, la gara che, di fatto, ci consegnò la matematica promozione in serie A. Grande serata, grandi abbracci, grandi lacrime, grande emozione, grande gioia. Insomma: tutto grande. Tutto bello. Tutto da ricordare. Tutto – conclude in tono soddisfatto Daniele, oggi brillante general manager al Basket Oleggio in DNB -, ancora nel mio cuore”.

Massimo Turconi