11 Maggio 1999. Basta la parola. A Varese tutti sanno che significato ha quella data. Dire 11 Maggio 1999 è come dire 25 dicembre, Primo Maggio, 25 aprile 1945. E’ pronunciare una data storica, quella del decimo scudetto conquistato dalla Pallacanestro Varese. Lo scudetto della Stella. Davvero, non serve aggiungere altro.

Quindi, usando una formula che mi è cara – per tutti quelli che non c’erano e per chi, in quel giorno lì, inseguiva la sua chimera -, ecco per i nostri affezionati lettori la riscoperta di un diario, il mio e quello di altri, di quella giornata fantastica. Un diario “quasi in diretta” che racconta di una delle più lunghe, esaltanti, indimenticabili giornate della nostra vita.

“Nel tardo pomeriggio mi avvio verso Varese, il Campus, il PalaIgnis. Lentamente, cercando di assaporare i colori di una primavera tardiva. Non uso l’autostrada perché, in questa stagione, le dolci curve, i saliscendi inframmezzati da macchie verdi che partendo da Cavaria portano fino a Gazzada sono uno spettacolo di cui godere. Un tiepido venticello soffia tra i rami, nei boschi, depositando a terra l’accattivante e intenso profumo di tiglio. Come in un deja vù, rivedo passare davanti la primavera 1978, finale tra MobilGirgi e Sinudyne. Così l’aroma di tiglio si associa indissolubilmente ad un altro intenso profumo: quello di  scudetto. 
Quando arrivo all’imbocco della salita di Via Pirandello che porta al cancello del Campus capisco che non è nemmeno il caso di tentare un salto in sede. Una coda infinita, un lungo serpentone si snoda per tutta la salita, prosegue nel piazzale fino ad arrivare dentro al Campus. Centinaia di persone in attesa, con la speranza di poter trovare un posto sulle tribune del Centro e, da lì, assistere alla finalissima trasmessa su un mega-schermo.
Allora, scendo in fretta al PalaIgnis. All’ingresso del parcheggio del palazzo dello sport incrocio lo sguardo di Giancarlo Bottelli e, a metà tra convinzione e speranza, gli chiedo: “Botte, ci siamo ?…”.  Bottelli dapprima non risponde, poi, con tutto l’entusiasmo possibile, mi dice: “Vai tranquillo, questa sera, non ce n’è per nessuno…!”. 
Quando entro al palazzetto, per la prima volta in vita mia, prendo contatto col significato della parola “Pandemonio”. Quante volte, anni prima, credo fosse l’epoca delle Finali NBA tra Boston Celtics e Los Angeles Lakers, avevo sentito urlare nei microfoni da Dan Peterson: “Signore e signori, in diretta dal Boston Garden– oppure -, in diretta dal Forum di Inglewood: pandemonio”.
Ecco, ore 20 circa dell’11 maggio, “quel” pandemonio è sotto i nostri occhi, dentro le nostre orecchie, pulsa nei nostri cuori, martella, col suo incredibile rumore, le nostre tempie.

GIANNI  CHIAPPARO
“Sembro un parastatale in cerca di occupazione: girovago per la sede da una stanza all’altra, do un’occhiata ai giornali che peraltro ho già letto almeno tre volte e conosco ormai a memoria. 
Riguardo le decine di fax che arrivano a getto continuo con richieste di accredito e di biglietti mentre Ilaria, che mi vede passeggiare nervosamente, mi dice: “Gianni, dammi retta, stacca un paio d’ore e vai a casa”. Invece, esco dalla sede e vado a piedi al palazzetto dove la squadra sta facendo allenamento. Scelgo il percorso lungo perché, penso, quattro passi da solo mi faranno solo bene. Ma, per la prima volta dall’inizio dell’attività, quindi da quell’ormai lontanissimo primo luglio ’98, penso: “Cosa succederà se questa  sera dovessimo vincere lo scudetto? Ma il pensiero dura solo un paio di secondi ed è subito coperto dalle preoccupazioni: i biglietti che non bastano, le migliaia di trombe che da lì a poco inonderanno il palazzo di suoni, le stelle d’oro già preparate e pronte per essere lanciate dalla volta del soffitto”. 
Corridoio dei passi perduti anche per Edoardo Bulgheroni che, tornato a tutta velocità dal Piemonte, passa per la sede, getta un occhi distratto a fax, giornali e appunti e, nervoso la sua parte, imita Gianni Chiapparo, scegliendo di raggiungere Masnago con una passeggiata in senso opposto a quella di Gianni

La squadra è già pronta, ben prima dei 75 minuti canonici. Nel tunnel c’è un via vai di gente, tutta indaffarata, ma rispetto alle altre volte, non ci sono in giro giocatori. Solo Pozzecco, ogni tanto, si affaccia alla porta, abbozza un poco convinto: “Com’è là fuori?”, ma non si dà il tempo per ascoltare la risposta e si richiude dentro in fretta. L’atmosfera nel palazzo è indescrivibile: le trombe regalate da Riccardo Belli e dai fratelli Pirazzi della CIPIR, i cori dei tifosi, i tricchetracche e ogni genere di rumore contribuiscono ad alzare a livelli assurdi i decibel all’interno di Masnago. 

CRISTIANO ZANUS FORTES
“La prima sensazione fisica, ogni volta che mi capita di ripensare a quella fantastica serata, è legata al rumore, al chiasso assordante, ai decibel udibili dentro al palazzetto. Ricordo che, durante il riscaldamento pre-partita, stavamo facendo stretching e nonostante fossi vicinissimo ad un paio di compagni, non si riusciva assolutamente a comunicare. Bisognava parlare a voce altissima, occorreva gridare e malgrado tutto ciò chi ti stava a fianco non riusciva comunque a sentire. Percepivo la mia voce nella cassa toracica, ma nemmeno io, a causa del baccano, riuscivo a sentire le mie parole. Una sensazione, stranissima, mai più provata in seguito in vita mia…”. 

Quando, alle 20.30 l’arbitro Teofili alza la palla due, è tripudio mai sentito e mai visto prima. La gara parte subito bene per i Roosters perché, purtroppo per Treviso, Pando Bonora, impegnato in difesa su Pozzecco, dopo un minuto e quarantaquattro secondi si infortuna alla caviglia destra: portato fuori a braccia, non rientrerà più.
Ma al minuto numero otto, il “simpatico” Marcelo Nicola, nel tentativo di riportare in parità i conti in cabina di regia, scende da un rimbalzo con i gomiti larghi, un po’ troppo larghi, e ricade sul naso di Pozzecco: sangue che scende copioso dal volto di Poz e diagnosi immediata del dottor Mario Carletti: frattura del setto nasale.
Gianmarco, stordito per il cartone, resta a terra. Qualche suo compagno, preoccupato, si mette le mani fra i capelli. Il palazzo è nel panico totale con fischi, cori, insulti a iosa per il giocatore argentino che, non contento, sfida i Roosters e sembra volerli giustiziare tutti. Due minuti dopo, con Carletti e Galleani solerti nelle cure del caso, Pozzecco con la maglia insanguinata chiede di rientrare e, stavolta, non c’è bisogno di tirare la giacca di Recalcati. 

Treviso guida nel punteggio (11-16), De Pol sorpassa (21-20) e Pozz, con due assist per Mrsic, firma il parziale che chiude il primo tempo: 43-35. Nella ripresa la cavalcata di Varese diventa impetuosa, con una tripla ciascuno di Mrsic, Pozzecco, Vescovi e De Pol il parziale si gonfia fino ad un esaltante +19 (68-49) e, al 35’, i cinquemilatrecento di Masnago tirano fuori dalle tasche un ideale ago e filo e cominciano, tutti quanti, a cucirsi la stella sul petto. Il colpo di coda di Henry Williams (11-2 pro-Benetton), non preoccupa più di tanto i Roosters che, già al 38’, si abbracciano, iniziano a darsi i cinque alti, esultano, si girano verso il pubblico a braccia alzate. 

A pochi secondi dalla fine, Scudetto e Stella ormai in tasca, scatta l’invasione di campo. Subito dopo, dalle volte del PalaIgnis, cadono le prime stelle d’oro e, quando, sui tabelloni luminosi si accende la scritta Roosters Campioni d’Italia 1999 sale, altissimo, l’urlo libero e liberatorio di tutta la folla.

Per le strade di Varese, intanto, si è già scatenata la festa. La stessa che imperversa nei tunnel e nello spogliatoio varesino. Di tantissimi momenti indescrivibili e indimenticabili, mi piace ricordarne solo uno: l’abbraccio, davvero commovente per carica umana e sentimenti trasmessi, tra Toto Bulgheroni e Cecco Vescovi. Sotto i miei occhi i due, incontrandosi nell’androne, si abbracciano a lungo ed entrambi, tenendo tra le mani il viso dell’altro, insieme esclamano: “Toto ce l’hai fatta ! Cecco, ce l’hai fatta!”. Poi, insieme: “Ci siamo riusciti, finalmente!”.

Giusto, dunque, chiudere qui. Con questa fotografia, un’istantanea che rimarrà per sempre fissata nella memoria dei due uomini che rappresentano l’inizio, la sintesi, la fine di quella fantastica avventura. Tutto, infatti, partì dalla lontana estate del 1981. Toto, insieme ad altri imprenditori varesini, cooptati per una famosa cordata, salvò la squadra da un fallimento e divenne presidente della Pallacanestro Varese. Come già suo padre prima di lui. Come i suoi figli dopo di lui. Cecco, allora diciassettenne di belle speranze, si affacciava timidamente alle soglie della prima squadra.
Diciotto anni dopo, la sera dell’11 maggio 1999, con quel commovente, intenso, affettuoso abbraccio si chiudeva un magico cerchio fatto “solo” di tanto amore per la pallacanestro…    

GIANMARCO  POZZECCO
“Uno degli aspetti più belli di quella vittoria fu l’aver riconquistato l’affetto e l’interesse di tanta gente che ormai da anni non frequentava più il palazzetto. Il nostro successo catturò tutti: i vecchi che parlavano e ricordavano sempre e solo le vittorie di Ignis-MobilGirgi-Emerson; e i giovani appassionati che, scuserete il termine, si erano proprio rotti le palle di sentire raccontare degli scudetti vinti negli spareggi, o delle Coppa dei Campioni vinte a Serajevo, Anversa o Ginevra. In città, allora, circolavano nomi nuovi e anche per questa ragione eravamo davvero felici”.

Queste sono solo alcune delle testimonianze di quel giorno il cui ricordo, nel cuore e nella mente di tutti, rimarrà fissato come “The Day”. Un giorno, il fatidico 11 maggio, che ogni anno, è cosa nota, è immancabilmente celebrato da tutti i protagonisti che, allo scopo, hanno creato uno speciale gruppo di Whatsupp. E da questa mattina fino a tarda sera sarà un continuo, interminabile, affettuoso scambi di messaggi, ricordi, sensazioni. Da Toto, Edo e Tony Bulgheroni a Gianni Chiapparo, da Charlie Recalcati a Sandro Galleani, da Gianmarco Pozzecco a “Manera” De Pol, da Andrea Meneghin a Gek Galanda, da “Giado” Giadini e Veljko Mrsic,da Alessandro Bianchi a Marco Van Velsen,da “Doc” Mario Carletti all’ultimo dei dipendenti della sede, tutti al riguardo avranno almeno una parola, un pensiero, un “emoticon”. Perchè, è verissimo, quel bellissimo martedì di 21 anni fa ha cambiato per sempre le loro vite, ma, un po’, anche le nostre.   

Massimo Turconi

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