Dopo la chiusura totale della scorsa settimana nei confronti degli sport di contatto, la Regione Lombardia ha rivisto la sua decisione concedendo, per lo meno, la possibilità di svolgere gli allenamenti in forma individuale nel pieno rispetto delle misure di sicurezza, tra cui il distanziamento di almeno due metri gli uni dagli altri. Non ci è dato sapere se su questo allentamento delle restrizioni abbia inciso la mobilitazione che nei giorni scorsi ha unito tante società di calcio, e non solo, pronte ad argomentare i motivi del proprio disappunto circa lo stop.
Tra queste, c’è anche la Sestese del presidente Alberto Brovelli, a cui abbiamo chiesto un commento sulle vicende dell’ultima settimana. Il messaggio più importante che traspare dalle sue parole riguarda i bambini, per i quali lo sport è e deve continuare ad essere un aspetto fondamentale nel proprio percorso di crescita.

Qual è la sua opinione sullo stop ai campionati? 
“Non entro in merito alla decisione, che spetta ad altre persone perché questo virus sta facendo disastri, però il modo in cui ci è stato comunicata ci ha spiazzati. Alle dieci di sera abbiamo saputo che dal giorno dopo non si sarebbe fatto più niente e non è stato bello. Due giorni prima era arrivato un comunicato che regolava l’accesso del pubblico fino al 15% della capienza massima e poi è stato sospeso tutto: vedo che non c’è coordinamento tra la regione e il governo e che ognuno dice la sua. Credo anche che sia stato scorretto dal punto di vista comportamentale che la Regione Lombardia prendesse una decisione legata al calcio senza consultarsi con i dirigenti a Milano, che mi sembrerebbe il minimo. Se decidono di chiudere tutto alle 23 non c’è nulla da ridire perché spetta solo a loro, ma entrando nel merito del calcio avrebbero dovuto contattare il Crl per valutare la situazione ed evitare che sorgessero discrepanze. In Lombardia ci sono 180.000 tesserati, quindi indipendentemente dal fatto che la decisione sia stata giusta o sbagliata doveva esserci un coinvolgimento. Probabilmente ai vertici non conoscono queste realtà e in generale la situazione è gestita in modo poco chiaro”.

Il fatto che nelle altre regioni il campionato continui rende il tutto ancor più difficilmente digeribile…
“A Sesto c’è un ponte che ci divide dal Piemonte e domenica a Castelletto e ad Arona giocavano a calcio, mentre noi non potevamo. Non so cosa succederà nelle altre regioni, comunque sono amareggiato”.

Come già successo questo inverno, la sospensione ha una data limite che potrebbe anche essere prorogata. Nel frattempo, però, si possono riprendere in un certo senso gli allenamenti. Cosa pensa al riguardo?
“Cercheremo di capire come riprendere ad allenarci, non dico seriamente, perché vista la situazione è impossibile, ma almeno in condizioni ragionevoli per fare il bene della squadra e dei ragazzi. La più grande incongruenza è che il calcio sia stato penalizzato pur essendo uno sport all’aperto, mentre per gli sport al chiuso nei giorni scorsi non sono sorti problemi. Con il distanziamento di due metri si potrà fare solo la parte atletica e nella migliore delle ipotesi sarà così fino al 13 novembre. A quel punto, immaginando la ripresa dei campionati, servirebbe un’altra preparazione per non incorrere in infortuni, quindi quando si potrebbe ricominciare? Di sicuro non si giocherà la quarta giornata a dicembre o gennaio, con il freddo e i campi ghiacciati. Sono davvero pessimista al riguardo”.

Da presidente e appassionato di calcio, qual è stato l’aspetto più difficile di questa situazione?
“La mia principale preoccupazione sono i bambini. Quando li ho ritrovati dopo il lockdown ho visto in loro tanto entusiasmo e tanta voglia di stare insieme. Con la prima squadra è un altro discorso perché il calcio dei grandi è diverso, ma il calcio dei piccoli è un’esigenza, proprio come andare a scuola, perché hanno bisogno di giocare e divertirsi. Poi con noi sono sotto controllo in un ambiente sicuro. Seguire tutte le norme del protocollo è impegnativo perché devi provare la febbre a 400 bambini e raccogliere tutti i certificati, ma così in caso di bisogno sappiamo dove sono stati. Se un mio tesserato risulta positivo, posso sapere qual è stato l’ultimo giorno in cui si è allenato, a che ora è arrivato, a che ora è andato via, con che allenatore e con che compagni è entrato in contatto. Meglio di così non si può, perché possiamo monitorare la situazione in tempo reale e avere tutti i dati degli ultimi quindici giorni. Se invece di fare l’allenamento i bambini andassero al parco giochi o in piazza, nessuno saprebbe mai cosa hanno fatto e con chi sono stati. Queste misure sono un impegno enorme da parte nostra e una grande responsabilità, ma è giusto che dopo la scuola e lo stress della mascherina possano svagarsi sul campo all’aria aperta. Poi teniamo presente che in società come le nostre, i bambini vengono dal paese, quindi anche se venisse vietato nuovamente l’uso degli spogliatoi e delle docce, non sarebbe un grosso problema visto che i genitori vengono a prenderli e se li portano subito a casa. Spiace che non possano fermarsi a vedere gli allenamenti, ma almeno sono tranquilli sapendo che i figli sono con noi al campo”.

Silvia Alabardi

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