Fonti accreditate e assolutamente sicure segnalano che durante un recente prelievo dalle vene di Martino Rovera, brillante ex-giocatore del brillantissimo gruppo 1982, sia sgorgato sangue giallo-blu. Immaginatevi dunque la sorpresa dei medici nel constatare questo stranissimo fenomeno.
Battute a parte se oggi c’è un uomo che incarna al 1000% lo spirito Robur et Fides e, nelle pieghe di questo sentimento, l’assoluta fedeltà ai quei colori, a quegli ideali, a quel gruppo, è proprio Martino la cui vita da trent’anni buoni si sviluppa lungo un tragitto che si snoda da piazza Cavour, arriva a via Marzorati e dopo aver costeggiato via Dandolo approda al Campus di via Pirandello. Un tragitto lungo il quale si sono intrecciati vita, pallacanestro, passione, sudore, impegno, gioia, felicità, profondissime relazioni umane e, solo sporadicamente, qualche delusione. Un “gran boucle” che Martino, cestista di alto livello, ma per sua orgogliosa ammissione “grandissimo ciclista”, avrà percorso milioni di volte pedalando forte. Deciso. Determinato ad inseguire, idealizzare, cullare i suoi sogni. Tutti realizzati, alla fine “della tappa”.
Non fosse altro perchè quel ragazzino ricciolino e tanto gracile, entrato timidamente a far parte dei gruppi Robur alla fine degli anni ’80, ne è uscito come acclamato Capitano della squadra di serie B, rispettato e amato da tutti in forza di straordinarie qualità tecniche e umane. Martino, per tutto ciò è giustamente considerato una personaggio iconico di un gruppo, l’82 Robur, il cui ricordo fa ancora brillare le pupille di tanti tra tifosi, addetti ai lavori e nostalgici.

“Un gruppo che come spesso capita – racconta in tono emozionato Rovera -, nasce e si sviluppa in maniera del tutto naturale. Prima compattando alcuni bambini che provengono dal minibasket. Poi cresciuto e migliorato aggiungendo man mano ragazzi reclutati dalla Robur et Fides in stretto ambito provinciale. Uno per tutto Simone Gatti che la società scova in quel di Binago. Il nostro percorso inizia dunque nel minibasket e gli istruttori sono Edoardo Colombo Garoni e Andrea Schiavi e prosegue nella categoria Propaganda e Ragazzi con coach Fabrizio Natola. Questi sono i primi due campionati che accendono i riflettori sul nucleo degli ’82 appiccicandogli addosso l’etichetta di “gruppo vincente” perchè in queste categorie facciamo il vuoto vincendo tutto quello che c’è da vincere: 3 Trofei Garbosi consecutivi e, appunto, due titoli di campioni regionali nel Propaganda e Ragazzi”.

Quali sono le caratteristiche che vi rendono speciali?
“Fin dalle prime partite vere il nostro gruppo sembra volersi legare strettamente a quella che definirei “tradizione roburina”. La squadra, ad eccezione di Simone Gatti, è piccola, velocissima, ipereattiva e ha nel DNA la grinta difensiva necessaria per emergere e superare avversari che, mediamente, sono tutti più fisicati di noi. Poi, non vorrei fare della retorica spicciola, ma tutti noi sentiamo dentro il richiamo del “Robur Pride”: un senso di appartenenza che non ci abbandonerà mai lungo tutto il percorso giovanile”.

Elementi a dir poco determinanti per riportare in via Marzorati uno scudetto che mancava da ben 32 anni.
“Determinanti, è vero, ma non ancora sufficienti perchè – spiega Martino – per chiudere alla perfezione il cerchio serve la presenza di coach Alberto Zambelli. “Coach Z” rappresenta il classico uomo giusto al momento giusto. Il tecnico che, grazie alle sue tante qualità riesce ad estrarre il meglio da ognuno di noi. Zambelli, oltre all’indiscutibile bravura tecnica, ci regala una saggia gestione del gruppo e un ottimo feeling interpersonale con tutti i giocatori. Alberto, senza farla troppa lunga, è un giovane tra i giovani, parla il nostro stesso linguaggio, ha grande passione e trasmette la nostra stessa energia. Anzi, è addirittura capace di aumentarla. Infine, aspetto di grande rilevanza, come noi è roburino fino al midollo”.

Alcuni dicono: il momento di vincere si “sente”. Sei d’accordo con questa affermazione?
“Totalmente d’accordo. A questo proposito ti racconto un aneddoto. Durante uno dei primi allenamenti della stagione 1996-1997, quella dello scudetto, nel cambio d’ora incrociamo alcuni ragazzi della squadra Juniores. Mentre ci si cambia, tra una considerazione e l’altra, un paio di noi, passando magari per sbruffoni, dicono agli Junior: “La sapete la novità? Quest’anno noi andiamo a vincere lo scudetto”. Tutto ciò per e dire che ormai avevamo raggiunto un altissimo livello di sicurezza e di fiducia in noi stessi. E, non a caso, quella stagione è solo un costante e ostinato cammino di avvicinamento alla meta. Lungo la strada abbattiamo tutti gli ostacoli. Battendo Pallacanestro Varese, Basket Desio e Tumminelli Milano ci assicuriamo la supremazia in Lombardia e in seguito superiamo agevolmente anche l’interzona che si gioca a Ferrara”.

Quindi, mai un intoppo? Mai un classico incidente di percorso?
“Una sola caduta, in quell’annata clamorosa. Una caduta fragorosa e potenzialmente molto pericolosa: quella subita contro la Virtus Bologna proprio nella partita d’esordio delle Finali Nazionali di Bormio. Dopo una stagione da imbattuti, quello stop ci arriva in faccia come una fucilata. Al ritorno in spogliatoio ricordo solo occhi lucidi, volti preoccupati e sguardi un po’ persi nel vuoto. Del resto, come comprensibile, siamo ragazzini di 14 anni e, si sa, reagire alle sconfitte a quell’età non è facile. In quel frangente sale però a galla la tranquillità di “Coach Z” perchè Alberto, usando parole semplici ma profonde, allontana tutte le nostre paure, toglie la pressione e imprime al gruppo la carica giusta per ripartire. Così, dopo aver battuto Fidenza, Livorno, Modica e la Scavolini in semifinale, per la finalissima ci ritroviamo di fronte ancora la Kinder Bologna, squadra fortissima che schiera giocatori importanti come Barlera (pivottone che, purtroppo, ci ha lasciato nel 2009 a causa di una leucemia, ndr), Brkic, Pulvirenti e Ghedini. Tra noi e i bolognesi ne esce una partita avvincente, che ancora oggi è ricordata come una delle più belle mai giocate nella storia della finali nazionali Allievi. La gara, tiratissima, finisce 81-77 per noi con Marchino Passera nelle vesti di assoluto protagonista, bravo a fiondare 26 punti nel canestro bolognese e a spiegare pallacanestro ai virtussini. Il nostro eccellente gioco corale oltre a sostenere gli sforzi di Marco permette a tutti di offrire un contributo e il nostro scudetto, al di là del tabellino conclusivo, è il frutto dell’impegno profuso da ognuno di noi”.

Ricordi a caldo: quali i più importanti?
“La festa e le lacrime di alcuni genitori. L’abbraccio forte e commosso al mitico Gianni Asti che, come sempre, voleva essere vicino a noi. I nostri pianti e quello, decisamente inaspettato, di Andrea Munari che ai nostri occhi era un duro, uno di quelli che non “deve chiedere mai”. Invece alla fine della partita Andrea era in un angolo che piangeva come un vitello. I “cinque alti” che volano come le farfalle e, infine, una notte passata a parlare, a ridere, a ricordare. Una notte in cui nessuno è riuscito a dormire”.

Dopo la conquista dello scudetto, com’è stato il futuro di quel gruppo?
“Tutti ovviamente ricordano quella grandissima e straordinaria vittoria, ma io penso che il vero exploit lo abbiamo messo in scena l’anno successivo quando a livello Cadetti, insieme ai pochi 81, solo 4 – Pol, Mistò, Mongardi e Bertolini -, siamo arrivati terzi alle finali nazionali disputate a Salsomaggiore. Invece, l’immensa delusione è quella datata 1999, anno in cui partiamo da favoriti e invece usciamo ai quarti di finale. Una delusione che si trasforma in disperazione purissima quando il nostro amato “Coach Z”, dopo averci radunati in una stanza dell’albergo, ci comunica che con quella gara avrebbe interrotto la sua collaborazione con la Robur perchè in procinto di passare ai Roosters per fare l’assistente di Cedro Galli in serie A”.

Intanto, parallelamente ai campionati giovanili, inizia la tua carriera senior, giusto?
“Esattamente così: insieme a coach Natola continuiamo la strada a livello Juniores, mentre con coach Carlo Colombo comincia la mia esperienza in C1 con il “Campus Lab”. Grazie ad un allenatore davvero bravo e attento alla crescita dei giovani come Carlo mi faccio le ossa mettendo in cascina due stagioni determinanti per il mio futuro. Nel secondo anno di juniores ci allena invece coach Franco Passera, al quale, essendo anche tecnico della prima squadra, devo riconoscere il merito di avermi fatto esordire in serie B. In ogni caso al termine di 24 messi davvero impegnativi sul fronte giovanile e senior, la casa madre Robur mi chiama per giocare al piano di sopra agli ordini, pensa te, di coach Alberto Zambelli, a sua volta promosso alla guida dei senior. Il primo anno “vero” in B2 è assolutamente fantastico perchè ho la fortuna di giocare al fianco di Cecco Vescovi, un vero “professore” che usando il bastone e la carota mi insegna tutto quello che serve. In particolare l’importanza del gioco senza palla”.

Dopo il corso di alta specializzazione con Cecco, esplodi.
“Il 2006 è l’anno della mia definitiva affermazione perchè gioco al top in campionato e nelle finali di Coppa Italia porto a casa il titolo di MVP. Del lunghissimo periodo che va dal 2006 al 15 maggio 2015, data del mio ritiro dal palcoscenico agonistico, ho il ricordo di una decina d’anni meravigliosi sotto tutti i punti di vista. Certo, non sono mancate le “mazzate” sui denti e le dolorosissime sconfitte che, idealmente, rappresentano delle cicatrici sulla pelle. Tra queste, brucia ancora quella rimediata contro Bergamo nella finalissima del 2011. Però, il bilancio finale e definitivo è largamente positivo perchè ho giocato per i miei colori, tra la mia gente, a casa mia e per il club in cui sono cresciuto, maturato, diventato uomo e, vera soddisfazione, ho giocato da Capitano. Oggettivamente non avrei potuto pretendere di più e di meglio”.

Neanche un piccolo rammarico? Per esempio quello di non aver tentato la carta del professionismo? Sai bene che, in tempi non sospetti, ho fatto un tifo spudorato per te e mi sembrava impossibile che si facesse arrivare dall’Argentina “tale Federico Marin”, bravo ragazzo per carità, e si ignorasse un “tale Martino Rovera” che, se posso ribadirlo, avevamo già in casa. Bello, pronto e motivato…
“Il pensiero al professionismo mi è passato davanti almeno in un paio di occasioni ma, evidentemente, da un lato il famoso “treno” non si mai è fermato e dall’altro avrei dovuto rinunciare a troppe situazioni consolidate. Insomma: il gioco non valeva la candela nè per me, nè per il mondo Robur in cui ricoprivo già ruoli tecnici. Quindi, con un briciolo di filosofia dico: pazienza, significa che doveva andare così. Piuttosto, a consuntivo, il rammarico vero è quello di non aver mai vinto un campionato senior con la Robur, pur essendo arrivati diverse volte ad un passo dal grande colpo”.

Hai accennato ai ruoli tecnici, quelli che anche oggi ti vedono presente in R&F.
“Negli anni scorsi sono stato responsabile del settore giovanile, mentre oggi sono responsabile del settore minibasket. Però, in chiave futura, sto seguendo un Master all’Università Bocconi che mi preparerà per un ruolo da manager dello sport. Una figura con tante competenze e capacità gestionali che nello sport moderno avrà sempre più importanza”.

Torniamo al principio, a quel magico gruppo ’82.
“Un gruppo che è rimasto ancora unito e legato da sincera amicizia e da tanti bellissimi ricordi. Personalmente mi porto dentro l’immagine dell’assistente Alessandro Bernardi, dell’accompagnatore Sergio Bignamini e di tutti i miei compagni in particolare Marchino Pozzi e Alessandro Pozzi con i quali ci frequentiamo anche oggi. Poi, quando si parla di gruppo ’82, non posso non citare Alberto Zambelli, mio fratello maggiore, e Gianni Asti, una sorta di secondo papà. Se invece devo rivolgere un pensiero che comprenda tutta la mia avventura in Robur, questo non può che andare al dottor Cesare Corti che mi ha sempre seguito, sostenuto e incoraggiato. A questo proposito vorrei chiudere con due “pennellate” nelle quali, per molti motivi, si racchiude tutta la mia gioia di “roburino DOC”. La prima è dedicata a mio papà Angelo, che da qualche anno fa parte del Consiglio Direttivo della società. La seconda è per mio fratello Filippo con cui ho avuto il piacere e l’onore di giocare in Robur proseguendo così la gloriosa e lunga tradizione dei fratelli in gialloblu”.

Oggi c’è ancora basket giocato nelle tue mani?
“Pochissimo, in verità, e solo in circostanze speciali, ovvero quando si tratta di giocare con amici selezionati. In realtà, lo sport praticato oggi è il ciclismo, un amore che ho ereditato dal mio fantastico nonno Ernesto. Una passione che, mio malgrado, nel corso della carriera cestistica ho sempre dovuto mettere da parte. Adesso però che non ho più il basket “fra le scatole”, appena posso prendo la bici e macino centinaia di chilometri sui percorsi della Tre Valli Varesine. Mi travesto da Vincenzo Nibali, il mio idolo, e ad ogni salita, dopo  ogni curva, vedo il volto di nonno Ernesto che mi incita e virtualmente mi urla “Non mollare, Tino!”. E io pedalo e sono felice”.

Massimo Turconi

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