Per risalire al più presto è necessario avere una rosa ricca di leader sia a livello tecnico sia soprattutto a livello mentale, e Matteo Ponti rappresenta sicuramente un figura di riferimento a tal proposito. L’attaccante del Città di Varese, classe ’90, fino allo scorso anno in forza alla Valceresio, si è unito in agosto alla corte di mister Iori e con i suoi 19 gol ha contribuito a portare i biancorossi in vetta alla classifica.
“All’inizio non sapevo cosa aspettarmi; diciamo che avevo messo in conto di essere il leader tecnico, ma sapevo che il problema sarebbe stata la sfera emozionale e mentale; a Varese devi vincere. Lo scoglio è stato proprio quello: riuscire a portare i giocatori meno esperti ad avere una mentalità tale da poter stare in questa squadra. Bisognava a tutti gli effetti entrare in un’ottica professionistica, per cui bisogna mantenere un certo stile di vita anche fuori dal campo. La categoria è solo un qualcosa scritto sulla carta, mentre giocare per una società come il Città di Varese significa molto di più”.

A livello personale sei in linea con le tue aspettative?
“A dir la verità anche da questo punto di vista non sapevo di preciso cosa aspettarmi, anche perché lavorando a Lugano non avevo la certezza di poter essere presente ad ogni partita. Fortunatamente sono riuscito a giocare 11 partite su 13 con un bilancio più che positivo di 19 gol. Sicuramente potevo fare qualcosa di più a inizio stagione, anche se non stavo benissimo, ma nella seconda metà del girone d’andata ho tenuto una media di due gol a partita. A inizio campionato tutti sparavano cifre sui 40/50 gol (ride, ndr), ma personalmente punto a superare il mio record di 25 gol”.

Nel girone di ritorno il tuo obiettivo sarà dunque quello di segnare almeno sette gol; cos’altro ti aspetti?
“I sette gol sono chiaramente un obiettivo personale, anche se spero di segnarne di più. Poi nutro la speranza di rigiocare all’Ossola, perché la sconfitta contro il Don Bosco davanti a più di 800 persone non mi è proprio andata giù. È stata una sconfitta che ha mosso in noi un qualcosa di più forte che ci invoglia a raggiungere i nostri obiettivi; siamo stati punti sull’orgoglio e non nvediamo l’ora di aver l’opportunità di riscattarci”.

Ti aspettavi un campionato più facile? Condividi la sensazione che molte squadre contro di voi cerchino di dare qualcosa in più?
“Ovviamente a questi livelli non è facile conoscere gli avversari, per cui sulle altre squadre non sapevo nulla; ciò che m’interessava era conoscere i miei nuovi compagni il prima possibile. Per quanto riguarda la seconda domanda devo dire che secondo me è così, ma in questo non vedo assolutamente nulla di male. È normale cercare di dare anche più del massimo contro squadre importanti, soprattutto davanti a tanto pubblico, e in questo bisogna fare un applauso ai nostri tifosi che ci seguono in tantissimi ovunque andiamo. Nella mia carriera mi è anche capitato di stare dalla parte opposta, per cui sì, credo fortemente che quando giochi contro la prima della classe, con un tifo del genere, sei per forza di cose motivato a dare il 200%”.

Facendo un passo indietro, l’estate scorsa stavi anche pensando di smettere; cosa ti ha fatto cambiare idea?
“Ci ho pensato. Dopo la splendida annata in cui sono stato capocannoniere di Prima Categoria con 25 gol, vincendo anche il Pallone d’Oro di VareseSport 2017, non ho avuto una stagione facile: alla terza giornata mi sono infortunato gravemente alla caviglia per cui ho collezionato pochissime presenze riuscendo comunque a segnare 6 gol. I rapporti con la Valceresio non sono terminati nel migliore dei modi, mi aspettavo un altro trattamento, per cui mi sono preso una pausa di riflessione per decidere. Lavorando in Svizzera avevo anche offerte straniere e durante le vacanze sono stato contattato da parecchi club; ad esempio Bosto e Cassano mi hanno chiamato mentre ero in Malesia. Complice la lontananza non avevo seguito molto le vicissitudini nostrane, finché mentre ero in Sardegna mi ha mandato un messaggio Mattia (Iori, ndr), con cui avevo giocato alla Valceresio, dicendomi che suo padre mi avrebbe presto chiamato. Da lì sono cominciati i contatti col Città di Varese, in primis con Amirante che mi ha spiegato il progetto. Non nascondo che all’inizio ero molto scettico: zero giocatori, nessuna base di partenza e tutte le voci negative che circondavano la squadra. Inoltre ero consapevole che accettando avrei subìto parecchie pressioni derivanti dalla piazza ambiziosa, mentre in altri club di Promozione o Prima Categoria questo non sarebbe successo. Per cui mi sono preso ancora del tempo finché ho capito che il destino in qualche modo aveva già deciso per me, e intorno alla metà di agosto ho accettato. Ora, a Gennaio, sono certo di aver fatto la scelta giusta; non sto qui nemmeno a dire il numero di offerte che ho ricevuto nella sessione invernale di mercato, perché se è vero che ho temporeggiato fino all’ultimo è altrettanto vero che ora sono coinvolto al 100% nel progetto e non lo abbandonerò in corsa”.

Che squadra è dunque il Città di Varese e qual è il clima all’interno dello spogliatoio?
“La società è riuscita a costruire un’ossatura forte e parte del merito è anche nostra perché siamo riusciti ad ambientarci subito. Qualcuno lo conoscevo, ad esempio con Beretta avevo giocato in Promozione e con Iori in Prima Categoria, mentre altri sono arrivati grazie a passaparola come Luglio, che sono riuscito a convincere in qualche modo. Siamo un bel gruppo, siamo uniti, ci vogliamo bene e, cosa ancor più importante, non ci sono invidie all’interno dello spogliatoio; siamo tutti votati alla causa comune”.

Detto della squadra, negli ultimi anni il nome “Varese” è sempre stato circondato, a ragione, da diffidenza; a livello societario cosa è cambiato?
“La società è assolutamente seria e competente. Hanno rispettato tutte le promesse dalla A alla Z, inclusi piccoli dettagli che fanno la differenza: a tutti hanno pagato la visita medica, ci hanno fornito un campo, un’organizzazione, una preparazione degna di tale nome grazie all’esperienza di Dario Rossi e una mentalità da grande squadra. In più sono stati impeccabili dal punto di vista umano, dato che nei momenti di difficoltà sono sempre stati in prima linea per rincuorarci. Dopo la sconfitta col Don Bosco ero veramente abbattuto e sia Pertile sia Amirante mi hanno chiamato, esortandomi a sfogarmi; in quell’occasione gli ho chiesto di poter in qualche modo giocare nuovamente all’Ossola per riscattarci. E poi hanno messo alla guida di tutto un uomo come mister Iori che vive il calcio a 360° indipendentemente dalla categoria; lui forse non dà a vedere quanto ci tiene e la passione che ci mette perché si presenta come un duro, ma la sua presenza è fondamentale per tutti, anche solo attraverso il quotidiano dialogo. E la sua passione e voglia di fare ci contagia, dato che anche durante la sosta ci siamo allenati e non vediamo l’ora di ripartire”.

Se in futuro dovesse prospettarsi la possibilità di una fusione societaria come la vivresti?
“Personalmente credo che fare una fusione non abbia senso: chi ha deciso di creare questa società ha tutte le carte in regola per conquistarsi ogni cosa sul campo, salire gradualmente conquistando la fiducia di tutti. E la fiducia è un qualcosa che tutti noi dobbiamo trasmettere all’esterno. Mi è molto dispiaciuto leggere e sentir dire da addetti ai lavori che siamo pagati per giocare al Città di Varese: posso garantire di non aver preso nemmeno un euro e, per quanto sia coperto dal mio lavoro, posso assicurare che non tutti lo farebbero. E questo discorso vale per tutti i miei compagni; l’unica cosa che ho chiesto è di avere un po’ di flessibilità su allenamenti e partite dato che per motivi lavorativi non ho la certezza di essere sempre presente”.

Per concludere, cosa diresti ai tifosi del Città di Varese?
“Un grande, sincero e sentito grazie. Li ringrazio soprattutto dal punto di vista personale per l’affetto che mi hanno dimostrato, perché una volta accettata la scelta del destino ciò di cui avevo più bisogno era uno stimolo emotivo. Lasciare un bel ricordo e poterselo portare dentro è la cosa più bella che ti può dare un ambiente e qui ho trovato tutto ciò che cercavo. Per questo li ringrazio e spero di rivederli all’Ossola, se e quando ci giocheremo, in modo da toglierci tutti insieme quel sassolino dalla scarpa. Per il resto cosa posso dire? La vittoria del campionato non è una speranza, ma un qualcosa che dipende da noi e lotteremo per regalar loro questa gioia”.

Matteo Carraro