Matteo Ponti è stato, indubbiamente, uno dei protagonisti della scorsa stagione con il Città di Varese e il mercato estivo lo ha portato a vestire la maglia del Laveno Mombello, in Seconda Categoria. Ma il cuore biancorosso non ha mai smesso di battere e così, Matteo, si è buttato in una nuova esperienza: da due partite, infatti, commenta le sfide di Serie D del Città di Varese. La sua passione per il calcio non si ferma a questo: l’attaccante allena gli U13 nazionale in Ticino e, mentre in Italia è tutto fermo, nella vicina Svizzera c’è una realtà ben diversa.

Iniziamo da questa breve stagione con il Laveno, come ti stavi trovando?
“Fuori dal campo è un gruppo fantastico e, abitando ad Induno, è stata la cosa che serviva per farmi fare così tanti km senza farmelo pesare tanto. Dentro lo spogliatoio dovevamo migliorare, soprattutto nei momenti negativi perchè non sempre li interpretavamo nei migliori dei modi”.

Come hai preso questo secondo stop?
“Me lo aspettavo perché con questa situazione lo sport in Italia è sempre stato il primo ramo ad essere fermato. Mi dispiace. La realtà svizzera è diversa sotto questo aspetto, non so se per un fattore culturale o altro, ma lì abbiamo iniziato a metà luglio e sia gli allenatori e sia i ragazzi sono tutelati. Continuiamo ad allenarci, anche se il campionato è sospeso perché non ci possono essere interazioni con altre squadre ed è già stato fissato l’inizio del girone di ritorno al 6 febbraio. Mi sento fortunato a poter andare avanti in una situazione del genere. Ho vissuto in Spagna e Norvegia e non concepisco come in Italia ci sia questa differenza con gli altri paesi e non so se è per una mancanza di cultura sportiva, ma è una situazione pesante, soprattutto per il settore giovanile. I ragazzi hanno perso un affetto importante per la loro formazione, è un danno difficilmente recuperabile perché questo tempo non te lo ridà più nessuno”.

Continuando sul filone Svizzera, avete particolari protocolli da adottare o non è cambiato molto?
“Dobbiamo essere precisi nel rispettare tutte le norme di distanza. Fortunatamente abbiamo tre spogliatoi dove i ragazzi si cambiano, arrivano con le mascherine e una volta in campo si allenano con i contatti del caso. È vero che ti manca la partita ma almeno dai una continuità al lavoro. Se c’è un bambino che, ad esempio, ha avuto un contatto con un positivo, segnaliamo la cosa ma il gruppo continua ad allenarsi. I bambini a scuola fanno ginnastica e per questo, sotto i 15 anni gli allenamenti sono normali, mentre sopra fanno allenamenti individuali”.

Qual è la parte che più ti piace dell’allenare?
“Non fare gli errori che hanno fatto con me in passato, quindi avere un senso di rivalsa. Ad esempio, tutelare ragazzi che magari non hanno quella struttura fisica che si richiede. Nel mio inconscio, però, comincio ad avere quella voglia di iniziare a lavorare con i grandi. Mi piacerebbe allenare una Juniores di un certo livello, perché lì i ragazzi sono all’apice del settore giovanile. Quest’estate mi era stata promossa la Juniores Nazionale del Varese ma avevo già il contratto in Ticino e per ovvie ragioni non ho accettato, altrimenti lo avrei fatto al 100%, sarebbe stata un’offerta irrinunciabile”

Tornando al nostro calcio, come si potrà riprendere?
“Partendo dal presupposto che il virus non scomparirà dall’oggi al domani e quindi ci dobbiamo convivere, bisogna partire da questo per costruire dei protocolli e ipotizzare un inizio. Bisogna garantire continuità e, soprattutto, credibilità. A Laveno eravamo puntigliosi nel rispetto delle regole, poi sono iniziate a saltare delle partite e non tutte le società rispettavano il protocollo.
A livello di prima squadra per me è impensabile recuperare un campionato intero, abbiamo tutti altre attività e così diventerebbe una cosa più grande di noi. C’è da dire che non siamo abituati a questo tipo di sosta e neanche ad iniziare una preparazione da zero in inverno e, su questo, non sono ottimista. Io sono per giocare un solo girone; a gennaio e febbraio potrebbe anche nevicare e cosa fai? Inizi a rinviare pure le partite per la neve? È un caso molto complicato, con tante variabili ed è impossibile ipotizzare di disputare un campionato per intero. Speriamo che prendano una strada senza rimanere nel limbo”.

Parliamo ora del Città di Varese, a distanza di mesi come ricordi quell’esperienza?
“Con enorme piacere e ricca di emozioni. Guardando le statistiche che abbiamo fatto, sono stato l’ultimo marcatore del Città di Varese dopo 280 giorni, e nelle mie idee di calciatore mai avrei pensato una cosa del genere. Varese è una grande realtà, è la mia città e pensare di aver fatto così bene, a prescindere dalla categoria, ed essere ricordato con affetto mi fa piacere”.

Da due partite fai il commento tecnico alle partite del Città di Varese, com’è nata questa cosa? Ti piace?
“Dopo che hanno deciso per le partite a porte chiuse, la Lega ha fornito un’applicazione per condividere su Facebook le partite e metterle a disposizione del pubblico senza commento e Andrea Menon ha proposto alla società la telecronaca. Nella sua idea c’era quella di inserire me come voce tecnica e dopo averci pensato un po’ ho accettato. Per me Andrea è una figura di riferimento e da questo punto di vista ho stima in lui. La prendo come una palestra comunicativa, volevo risentirmi dopo la partita per capire cosa dicessi e come e questa cosa mi ha anche permesso di avvicinarmi al Mister, che apprezzo moltissimo e viverlo a 360 gradi”.

E domenica è arrivata anche la prima vittoria. In breve, da te che l’hai vista al di fuori, che percorso è stato per arrivare ai tre punti di domenica?
“Il problema è la continuità perché non avendola riparti da capo ogni volta. Il Città di Varese gioca un calcio propositivo e pieno di dettagli ed è stato sfortunato a non capitalizzare, hanno pagato troppo rispetto a quello che hanno prodotto. Per questo non ero stupito della vittoria perché avevo visto la crescita nelle ultime uscite”.

Roberta Sgarriglia

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