Le date non coincidono, la ricorrenza sì. L’anno passato di questi tempi (il Lunedì dell’Angelo cadeva il 17 aprile), Ivan Javorcic veniva presentato come nuovo allenatore della Pro Patria. Avvento sulla panchina dello “Speroni” reso necessario dalle dimissioni di Bonazzi seguite all’inopinata sconfitta interna con il Levico. Ad un anno (o 350 giorni) di distanza, l’occasione torna utile per capire cosa c’è di Javorcic (e dello javorcismo) nella squadra che si appresta ad alzarsi sui pedali per la volata finale con traguardo la Serie C.

Ivan Javorcic nuovo allenatore ProIl giorno della sua vernice lo spalatino vellicò prima la pancia del popolo tigrotto (“Sono qui perché cerco emozioni forti. A questo punto della stagione non avrei avuto problemi ad aspettare ancora. Ma ho scelto con grande entusiasmo di accettare la proposta”), dando poi fondo al suo credo pallonaro: “Non conterà il modulo ma l’atteggiamento. Voglio intensità, aggressività, gioco collettivo, altruismo, solidarietà e pensiero unico. Ed uscire dal campo sempre da vincenti”. Cioè, ragione e sentimento. In parti uguali ed in ordine inverso. Queste le parole. Per i fatti, c’era solo da pazientare.

Se sul piano dialettico infatti il “pensiero unico” è rimasto il Sacro Graal di Ivan Drago (sebbene integrato dal concetto di “resistenza alla concentrazione” e dal recente meraviglioso ossimoro di “emotività lucida”), sul fronte pratico il suo calcio resta ancorato a principi di gioco chiarissimi sin dalle prime uscite. E sigillati dal match pre pasquale con la Bustese. Per certi aspetti il vero, autentico, manifesto dello javorcismo. Un centrale difensivo pensante (Zaro), gli altri due spingenti; un regista (Pettarin) utile anche in funzione anti trequartista avversario; una mezzala di lotta (Gazo), e una di governo (Disabato); un esterno in grado di portare la difesa a 4 (Cottarelli), l’altro (Galli), abile nell’avanzare la posizione subito dietro il 9 biancoblu di turno; una punta di qualità capace di giocare anche a 50 metri dalla porta (Le Noci più di Santana, infortuni a parte); un centravanti (Gucci) con aggressione dello spazio e gioco spalle alla porta nelle proprie corde. Sintesi magari semplicistica. Ma non così distante da pensieri e parole del croato.

Resta sullo sfondo l’ancora irrisolta orticaria per i confronti diretti (soli 3 punti in 6 gare contro le prime 5). Un deficit che (se abbiamo imparato a conoscerlo), il tecnico tigrotto non disdegnerebbe di sanare attraverso uno spareggio in coda alla stagione. Perché nel suo calcio le scorciatoie non esistono. Anche questo è lo javorcismo.                               

Giovanni Castiglioni
(foto di Giovanni Garavaglia)