Se fosse un libro la vicenda umana di Paolo Conti, assistente di coach Paolo Moretti, sarebbe certamente “Anatomia dell’irrequietezza” del grande Bruce Chatwin perchè, come nel libro del grande scrittore inglese, Paolino mi racconta l’inquietudine dello “stare” che fa da esatto contraltare all’entusiasmo dell’andare. Del cambiare. Dello sperimentare.

Non a caso la prima domanda che rivolgo a Paolo è: “Hai deciso cosa fare da grande?”. Non a caso la prima risposta, molto sincera, è: “Non lo so ancora. So solo che, adesso, sto vivendo questa bellissima avventura. E, per ora, mi basta”. Irrequietezza “storica”, quasi atavica, quella di Paolo. Figlia di un’intelligenza vivace che non si piega alle regole dettate dalla consuetudine, di una curiosità e di una voglia di cambiamento che nel corso degli anni lo hanno spinto talvolta anche in direzioni difficili da comprendere. Come quando, stanco della serie A, del professionismo, di un certo mondo, lasciò Imola per andare a lavorare in Elmec, attirato dal suo amore per la tecnologia. Come quando, dopo  pochi mesi di lavoro impiegatizio, mollò tutto per tornare sul parquet, lo ricorderete certamente, con la maglia della Metis Varese. Come quando, altro giro altra corsa, nel 2010 per amore del gioco scese in B2 alla Robur et Fides. Come quando, è passato recente, è riuscito a trasformare la sua passione per il triathlon in un’occasione professionale. Ed eccolo dunque nelle vesti di preparatore fisico per squadre giovanili. Come quando, è storia di oggi, sceglie di abbracciare un ruolo più tecnico ed entra nello staff di coach Moretti.
Hai raccontato bene il mio curriculum ed è vero – conferma Paolo -, che in diversi momenti della mia vita sono stato un po’ sognatore e molto “prigioniero”  di passioni divoranti ma, lo ammetto, poco concrete. Però, negli ultimi anni, la realtà del quotidiano mi ha richiamato, per così dire, all’ordine. Così, dopo qualche stagione trascorsa come allenatore-preparatore fisico di squadre giovanili, l’estate scorsa ho colto al volo l’occasione di lavorare nella pallacanestro senior. Opportunità nata abbastanza per caso quando, con l’uscita di scena contemporanea di Ducarello e Jemoli, si sono aperti spazi nell’organico. La società, che ringrazio, mi ha offerto questa “chance” ed ora eccomi qui a vivere un ruolo, quello di secondo assistente in serie A, che fino a pochi mesi fa nemmeno avrei sognato”.

Primo impatto dall’altra parte della barricata?
Impatto clamoroso perchè dall’oggi al domani mi sono trovato a lavorare al fianco di due “mostri” del basket come Moretti e Vanoncini. Due tecnici completamente, totalmente differenti fra loro. Da un lato Moretti che, come tutti i grandi ex-giocatori, vede in modo diverso lo sviluppo della partita e “sente” lo spogliatoio con un “feeling” speciale, ma è capace di mettere puntigliosità e accuratezza in ogni scelta tecnica e tattica. Dall’altro lato Vanoncini, un “Professore” di pallacanestro (non a caso lo chiamiamo così…), bravissimo nel leggere le situazioni e nel preparare le gare. Stefano, però, rispetto a Moretti è, per sua stessa ammissione, un allenatore “tutto pallini e crocette” (simboli grafici di attacco e difesa, ndr) e, credo lo abbia già detto in diverse occasioni, invidia benevolmente il vantaggio “naturale” goduto dagli ex-giocatori. Di fatto, per quello che posso dire, Moretti e Vanoncini sono complementari uno all’altro e si integrano a meraviglia”.

E tu, come ti inserisci in questo duo?
In teoria, da ex giocatore di serie A, dovrei essere più vicino alla filosofia di Moretti, ma in realtà so benissimo di essere distantissimo da entrambi perchè non possiedo ancora il “sesto senso” di Moretti, né la solidissima preparazione di Vanoncini. Così, vado in palestra quotidianamente con l’umiltà di chi sta facendo un apprendistato di altissimo livello, con l’entusiasmo del debuttante e la consapevolezza di chi sa che deve percorrere ancora tantissima strada. Questo perchè, tanto per fare un esempio, oggi nel passare allo scanner gli avversari riesco a vedere 2, al massimo 3 giocatori, mentre Paolo e Stefano, dopo una prima occhiata hanno già capito tutto e sanno già come andrà a finire”.

Quali, idealmente, i tuoi maestri?
Citare Ettore Messina, che ho avuto il privilegio di avere come allenatore in Nazionale, mi sembra del tutto ovvio. Accanto a Messina piazzo due allenatori di sistema come Blatt e Trinchieri e soprattutto Meo Sacchetti, un caro amico col quale mi confronto molto spesso. Tuttavia, nella classifica dei miei grandi, un posto specialissimo è riservato a coach Dante Gurioli, mio primo allenatore ai tempi del CMB Rho e insegnante di fondamentali come nessun altro”.

Cosa ti piace di più del grande Meo?
Al di là delle considerazioni tecniche, peraltro note, penso che Meo, più di chiunque altro in Italia, abbia la capacità di trasmettere serenità ai giocatori anche quando questi ultimi vivono una situazione di grande difficoltà”.

Un passo indietro nel tuo passato di giocatore. Quale il momento più bello della tua carriera e quali le “nomination” per allenatore compagni di squadra?
Come momento scelgo la promozione in A2 con la Cagiva Varese: un’annata favolosa, divertente, vincente, vissuta con un gruppo di giovani di talento e un coach, Dodo Rusconi, che ho molto rivalutato nel corso degli anni per la sua capacità di andare all’essenza del gioco. Come compagni di squadra scelgo Sacchetti, Andrea Meneghin, Vescovi e Walter Magnifico per le mie stagioni pesaresi”.

Quale, invece, parlando di gioco, la tua inclinazione?
Beh, costruire un attacco e vederlo sviluppato sul campo esaltare le caratteristiche dei giocatori che hai a disposizione penso sia bello e davvero stimolante. In questa fase del gioco sto imparando moltissimo da Paolo Moretti che è molto scrupoloso e, forte del suo motto “tutto deve avere un senso”, non lascia nulla al caso; cura le spaziature e i movimenti fin nel più piccolo particolare ed è iper pignolo”.

Fin qui, bella e gratificante, c’è la teoria: poi, alla prova del campo, le cose sono andate diversamente. Che idea ti sei fatto in merito?
Abbiamo avuto mille problemi ed ora, molto faticosamente, tra alti e bassi preoccupanti e sbattendo il naso a destra e a manca, siamo alla ricerca di un “benedetto” equilibrio tecnico, mentale e psicologico. Alla fine il va e vieni di tanti giocatori ha finito col creare più problemi che benefici e, alla lunga, anche la vicenda-Ukic si è rivelata un “boomerang” dannoso per la squadra. Oggi la situazione è molto semplice nella sua cruda limpidezza: siamo una squadra dal valore mediocre che, però, sta tentando di darsi una mentalità operaia e sta imparando a soffrire. Un gruppo di “colletti blu”, senza stelle o presunte tali, nel quale tutti hanno responsabilità e compiti precisi e ognuno deve darsi da fare per offrire un contributo. Ogni tanto, come successo a Pistoia o in casa contro Cremona, ne siamo capaci, mentre in altre circostanze, vedi Venezia o domenica scorsa a Reggio Emilia, usciamo troppo presto dalla gara sotto il profilo mentale e combiniamo solo disastri”.

Sai bene che nel derby di oggi contro Cantù i tifosi, da voi, si aspettano il mille per cento…
Avranno anche il duemila per cento perchè tutti i ragazzi, dopo lo scoppola di Reggio Emilia, hanno grandissima voglia di reagire. Certo, “becchiamo” Cantù in un periodo delicato perchè anche loro, col cambio di allenatore, hanno dentro qualcosa in più, ma ho fiducia che le nostre motivazioni saranno nettamente superiori. Insomma: mi auguro, penso, spero e credo che scenderemo in campo con molte più “palle” di loro”.

 Massimo Turconi