È un suono che più volte, nel corso degli anni, ha fatto capolino tra le mura dello spogliatoio di Masnago. Oggi capita di sentirlo parlando con Luca Campani. La caratteristica cadenza  del dialetto reggiano però nel passato si è udita ancor più frequentemente. Anzi, forse quella di Reggio Emilia, insieme a quelle veneto-friulane, è stata una delle province italiane che ha offerto il maggior numero di giocatori alla Pallacanestro Varese.

Beh, qualcuno non è che abbia lasciato il ricordo di grandi successi… magari più per una situazione di contesto che per proprie incapacità. Ricordate Piero “Papero” Montecchi?  Nato proprio a Reggio Emilia nel 1963, giunse ai piedi del Sacro Monte in quell’estate 1992 che avrebbe dovuto essere quella della ricostruzione dopo la terribile delusione della prima retrocessione nella storia varesina, firmata Theus e Wilkins. Si mise insieme un quintetto “ricco” per la serie A2, in cui uno degli uomini di punta era quell’esterno dal fisico possente, reduce dalle vittorie con l’Olimpia Milano. Finì con Montecchi sulla soglia del palasport alle prese con i tifosi esasperati per l’ennesima sconfitta interna, subita contro Venezia nella gara dei playout decisiva per il ritorno in A1.

Altri esterni targati “Statale Emilia”, in epoche fra loro diverse, hanno invece lasciato ricordi migliori. È il caso di Giorgio Cattini, classe 1956 da Novellara, che visse buone stagioni in maglia Divarese a cavallo tra il 1985 e l’87. E ancora, Alessandro Davolio, pure lui nato a Novellara ma nel 1975, che a venticinque anni fu chiamato a puntellare la squadra nei tornei successivi a quello dello scudetto della stella 1999.

La memoria va però soprattutto a un giocatore speciale, cui la sorte fu infida: Claudio Malagodi, guarda caso anche lui con l’indicazione di Novellara quale città natale sulla carta d’identità, può essere annoverato come fra i migliori tiratori nella storia del basket tricolore. A Varese sfiorò soltanto la gloria. Lui, ala di 2 metri, a diciott’anni segnò un canestro in quella partita contro il Simmenthal del 27 aprile 1969 che valse il primo titolo italiano della “Valanga Gialloblù”. Dopo essere stato a referto anche nel trionfo della Coppa dei Campioni ‘70, il suo percorso cestistico proseguì altrove: fu mandato a Udine in cambio di Iwan Bisson.
La sua mano era come un colt, per citare il titolo di un libro a lui dedicato, ma la sua vicenda umana finì tragicamente a 36 anni in un incidente stradale. Proprio come coach Pentassuglia, suo mentore nelle stagioni migliori per lui, quelle trascorse in maglia Brindisi.

Antonio Franzi