Stefano Volpe è uno come tutti noi. Fox – così lo chiamano – aveva un sogno, e domani sera a 46 anni lo coronerà: giocare a basket. E quindi? C’è un (non molto) piccolo particolare: Stefano ha sconfitto la fibrosi cistica e tre anni fa ha subito un trapianto di entrambi i polmoni. Dopo essere anche stato in coma, ha deciso che era ora di dare una svolta, e buttarsi anima e corpo nel “suo” basket: ha ottenuto l’abilitazione e domani farà il suo esordio contro l’Eurobasket Besozzo nel campionato CSI. Cuore biancorosso, Stefano dimostra che con grinta, sudore e voglia si arriva dovunque, anche a stoppare una malattia del genere.

Ha già pensato a che emozione proverà?
“No. O meglio, ci ho pensato e ritengo che una sola emozione sia poco. Saranno molte più di una, perché ripenso – senza essere retorico, ma col sorriso sulle labbra – a quante notti ho passato in ospedale nella mia vita e al fatto che non mi aspettavo di realizzare questo mio desiderio. Giocare a basket – a livello penoso, sia chiaro-… anche perché, non avendo mai potuto fare nulla a livello agonistico, mi manca anche un background. Prima era controindicato per la cura della mia malattia. Ora invece fare sport oltre a una soddisfazione personale è addirittura una tra le vie più importanti per curare la fibrosi cistica”.

Com’era la sua vita prima del trapianto?
“Era la vita di un paziente. Molto pesante in realtà, è un dato oggettivo. Bisogna abbinare alla vita di tutti i giorni (famiglia, lavoro, passioni) dei momenti e un’attenzione particolare per la malattia. La fibrosi richiede tutti i giorni – come un allenamento – determinate cure pesanti a livello fisico. Fisioterapia respiratoria, farmaci. La giornata tipo è massacrante: ero incapace di deambulare ed essere autonomo anche nei gesti quotidiani. Ad esempio quando sono peggiorato e sono andato in coma dovevo Stefano Volpe detto Foxsottopormi a cure fisioterapiche durissime. Molte ore della mia vita erano impegnate in questo. La cura per la malattia non esiste ancora e la prospettiva di vita è di soli 40 anni. L’unica via per avere una vita normale è, come nel mio caso, il trapianto di polmoni”.

Fox e la pallacanestro: un amore infinito…
“Io sono nato in una famiglia non sportiva, ma ho sempre amato la pallacanestro. Ho iniziato un po’ più tardi di altri miei amici: dagli anni ‘70/’80 ho seguito le gesta dell’Ignis, fino ad arrivare ad oggi. Il basket mi è sempre piaciuto ma non ho mai pensato di poterlo giocare, se non quando avevo 20 anni e andavo al campetto. Ma mai avrei immaginato di praticarlo a livello agonistico”.

Quando ha capito che il suo sogno era giocare a basket?
MORETTI E VOLPE“Me ne sono reso conto ripresomi dal trapianto, due mesi dopo. Camminavo sulle Dolomiti a quote che prima non affrontavo – anche 3000 metri – e mi dicevo che poteva essere il momento giusto per fare uno sport di squadra. Avrei conosciuto altre persone, condiviso uno spogliatoio. Tutto quello che non ho potuto fare da piccolo”.

Quando ha ottenuto l’idoneità, cosa ha pensato?
“Che è un miracolo. È stato Giulio Clerici a controllarmi, e a dirmi che ho superato brillantemente ogni aspetto dell’esame. Come una persona normale. L’idoneità sarà il classico pezzo di carta, però ce l’ho e ce l’ho fatta. Ho condiviso l’emozione coi nostri medici, per loro è oggetto di soddisfazione vedere questo risultato”.

Anche Wright ha un problema molto grave, ma è un giocatore professionista. Cosa potete insegnare voi due?
“Nonostante le patologia non siano leggere, con una botta di fortuna, grinta e volontà ce la si può fare. Sicuramente l’impegno ti porta a crederci ogni giorno di più e ti conduce a vincere tante battaglie e magari anche la guerra. Non bisogna mai mollare, è proprio vero. A volte è più grande la paura rispetto a ciò che temiamo. Conta crederci, come in tutte le cose. Spero che comunque Wright dimostri di essere meglio di me a basket…”.

Cosa si porta a casa da questa avventura a lieto fine?
“Una convinzione e delle certezze. Dobbiamo sempre alzare l’asticella dei sogni ma sempre prendendo rischi calcolati. Il mio obiettivo non è andare avanti a giocare fino a 70 anni – ovviamente – ma poi si possono aprire altre porte e altri sogni. Magari questa esperienza può essere un punto di arrivo dal lato sportivo, ma non sull’aspetto umano. Mi darà la carica a raggiungere altri obiettivi”.

Possiamo dire che lei ora è felice?
“Assolutamente sì, certo. Anche se la felicità non passa sempre e solo dalla salute. Incredibile ma vero, ci sono momenti in cui soffri tanto ma allo stesso tempo puoi essere felice perché sei circondato dai tuoi affetti. Almeno, a me è successo così. Mi hanno sostenuto in tanti: in primis la famiglia, poi i colleghi e lo sport varesino. Felicità è pur sempre una parola grossa. Comunque sì, posso dire che ora sono sereno”.

Appuntamento domani a Malnate alle 21.00. Monte dei Fiaschi-Eurobasket. Per Fox e per lo sport.

Luca Mastrorilli