Bella persona e, bella testa, Stefano Vanoncini. Radici piantate in un solido, direi genetico, pragmatismo bergamasco e rami che invece, nel corso degli anni, si sono propagati in giro per l’Italia. L’ottimo assistente di coach Paolo Moretti, 51 anni, sembra aver fatto suo “Ali di libertà”, favoloso CD di un rocker bravo e puro come Massimo Priviero, declinando i suoi sogni con un sottofondo: la ritmica “melodia” che scaturisce dai palleggi di un pallone da pallacanestro.
Inizia prestissimo la carriera di Vanoncini, uno che in panchina si muove con piglio e idee da predestinato: squadre giovanili e assistente in prima squadra a Treviglio, riconosciuta e prestigiosa scuola di basket. Poi, Stefano si mette in proprio per una quindicina di stagioni. Capo solo di se stesso e padrone delle sue azioni a Forze Armate a Vigna di Valle, Porto San Giorgio, naturale approdo adriatico per la prima esperienza da professionista; Bergamo; Campli, Vigevano, Borgomanero, Cento Casale Monferrato. Nel 2004 la svolta, anzi, la prima volta: vice di Andrea Mazzon a Napoli e in successione Montegranaro, 6 stagioni in due tornate (con Finelli, Pillastrini e Recalcati), Barcellona Pozzo di Gotto (con Cesare Pancotto), Reggio Calabria (con Benvenuto) e, infine, quest’anno a Varese. Esattamente al centro di questi viaggi, anno 2009, un’altra stagione da capo-allenatore, in A2, a Jesi.
“Annata sfortunata, sofferta, non conclusa perchè – dice Vanoncini , mi “segarono” prima. Nel nostro mestiere capita. Pure spesso. Non ne ho fatto un dramma e ho ricominciato la mia strada da assistente”.
staff tecnico pall vaMai mancata una panchina “vera” in tutti questi anni?
Sarei un ipocrita se ti rispondessi “No, mai”. E’ chiaro, a tutti quelli che fanno questo mestiere, a qualsiasi livello, piace decidere, essere al centro di un progetto tecnico e sentirsi sotto i riflettori. Però, nel corso degli anni ho maturato un approccio molto laico e, aggiungo, sereno alla professione. Ritengo che allenare sia un bellissimo mestiere, oltre che un modo simpatico, divertente, stimolante per guadagnarsi da vivere. Pertanto, quando nel cambio di prospettiva introduci una visione di questo genere, sai che quello che l’unica cosa che conta è lavorare e restare sulla giostra. Stare a casa ad aspettare una chiamata che forse non arriverà mai non fa per me. Esaurita questa lunga premessa, mi sembra corretto sottolineare un aspetto. Nel basket moderno, fatto di staff allargati, responsabilità e compiti molto condivisi, quello dell’assistente, forse non tutti lo sanno, è un ruolo importante, in particolare sotto il profilo tecnico. L’assistente è diventato, sempre di più, una figura di grande costante supporto al capo-allenatore. Per come la vedo io l’assistente deve aiutare il capo in modo sempre propositivo confrontando e sostenendo le sue idee. Dovessi usare un’immagine diversa da quella consueta, potrei dire che il vice dovrebbe aiutare il capo a realizzare i suoi sogni. A sua volta il capo, che deve occuparsi di tantissime cose, se è in grado di delegare alcune di queste e sgravato di alcune “incombenze” tecnico-tattiche, può occuparsi anche, e di più, delle relazioni coi giocatori perchè il parlare alla testa e al cuore dei ragazzi, capire, sostenere e incentivare le loro motivazioni è parte fondamentale del ruolo del capo-allenatore”.
Quali i tuoi buoni maestri in carriera?
Premessa doverosa: per mio modo di essere sono sempre aperto al dialogo e ho capito che essere in posizione d’ascolto, nei confronti di tutti, è sempre vantaggioso. Per queste ragioni ho imparato qualcosa da tutti anche perchè, giusto ricordarlo, ho avuto il privilegio di lavorare al fianco di grandissimi tecnici. Poi, è chiaro, Alex Finelli, Stefano Pillastrini e Carlo Recalcati coi quali sono rimasto di più mi hanno pssato molto del loro sapere e del modo di fare. Finelli, a Montegranaro, mi ha insegnato che il “coaching” va ben oltre la pallacanestro pure e dura. Stefano Pillastrini mi ha trasmesso l’etica del lavoro tesa al continuo miglioramento dei giocatori mentre Carlo Recalcati, mi ha insegnato l’arte del gestire i giocatori in due stagioni vissute in maniera molto complicata causa i guai finanziari del club. Due campionati nei quali Carlo ha elevato il “termine” gestire” ai livelli più nobili, tenendo insieme il gruppo come un grandissimo maestro e riportando sempre i giocatori al pragmatismo del lavoro quotidiano in palestra”.
Esaurita questo lungo excursus personale, come e perchè arrivi a Varese?
L’estate scorsa, in uscita dopo l’esperienza da assistente in serie A2 Silver a Regio Calabria, piazza di grandi tradizioni, ero nella lista dei papabili come vice di Paolo Moretti, appena arrivato in città. So che i dirigenti del club, Bruno Arrigoni e, appunto, Moretti, hanno valutato diverse candidature e alla fine hanno puntato sul sottoscritto. Alla chiamata di Varese, questa volta, ho risposto subito sì, senza esitazioni”.
Che tipo di allenatore è Paolino Moretti?
“Potrei cavarmela in due parole dicendo che carriera e risultati parlano già in suo favore . Tuttavia, vorrei completare il pensiero annotando che Paolino, come tutti coloro che sono stati grandi ex-giocatori, ha il dono di vedere come si sviluppa il gioco con gli “occhi speciali” di chi sul campo c’è stato. Moretti, come del resto Recalcati, come penso siano Sacchetti e alcuni altri, sanno cogliere aspetti psicologici, tecnici, tattici e mentali che noi allenatore “normalmente costruiti” sulla teoria non potremo mai possedere. Poi, Paolo Moretti, da persona seria, puntigliosa e attenta non si culla sui cuscini di questo indubbio vantaggio di partenza, ma continua a studiare, prepararsi, informarsi, confrontarsi, chiedere e imparare. Tutte le qualità che discriminano un buon allenatore da un coach “super” e, a mio parere, Moretti rientra in questa ristretta cerchia”.
Cosa fai per lui. O meglio, quali sono i compiti che ti ha assegnato?
In estrema sintesi: studiare gli avversari, scovarne punti di forza e debolezza, preparare le contromosse tecniche e tattiche da usare in partita e proporle a Paolo con una dettagliata relazione. Poi, dopo un ulteriore riunione tra noi, a lui toccano le scelte finali. Questo, ovviamente, è tutto bello e tutto funzionante quando è scritto sulla carta. Nella realtà le cose possono essere e sono assai diverse. Non a caso, nonostante i nostri sforzi ed il gran sbattimento, non siamo arrivati preparati come avremmo dovuto e voluto all’esordio in campionato e i motivi, infortuni acciacchi e via discorrendo, sono stati numerosissimi”.
E il tuo domani, com’è?
“Nel domani “quello lungo”, l’idea di fermarmi a Varese per qualche stagione mi renderebbe felicissimo, ma allo stesso tempo so che in questo lavoro c’è solo una certezza: avere sempre valigia, tuta e spazzolino da denti pronti per un altro trasloco insieme a Chiara, la mia compagna, e Matilde, 3 anni, mia figlia. Nel domani “quello breve” c’è la gara contro Sassari: semplicemente i Campioni d’Italia; semplicemente gli avversari più forti; semplicemente quelli che dando il mille per cento proveremo a battere. Semplicemente….”.

Massimo Turconi