Il mare che non dorme mai. Il mare, da sempre e per sempre.  Il mare, che per i bahiani è specchio per i capelli d’oro di Yemanja. Il mare è il mio personale sollievo. L’acqua, dolce o salata che sia, intrattiene con me rapporti di amicizia ed amore, le onde mi dribblano in continuazione, a volte entro in anticipo, spesso mi scavalcano e mi depongono, novello Odisseo, sulla rena, in perenne ricreazione con quei Feaci dei miei amici
Non sono ancora pronto per i monti, le passeggiate, lo stormire delle fronde, il cinguettio degli uccellini, il silenzio, i tramonti sulle vette. Di certo Giovanni Pascoli, se tornasse, mi dedicherebbe ampi stralci della sua poetica, la meraviglia delle piccole cose, lo stupore di un salto tra i flutti.
Il mare. Torno con l’occhio della mente ad undici anni fa, una torrida estate del 2004, pregna di umidità e terrore di perdere la squadra di Calcio della città, un deja vu dei tempi recenti se non fosse per lo stile. Il mare potè attendere. Né tuffi, né bracciate, né burle tra le onde, ma frenetiche riunioni e corse in moto per porre il primo mattone di ciò che – a quei tempi credevo fortemente – sarebbe diventato un fortino di educazione sportiva ed un esempio da imitare. Fummo pionieri, con Sean Sogliano e Silvio Papini sul ponte di comando, Giuseppe Lazzarini e Giorgio Morini – come la Sparta dei due Re – a condurre la prima Scuola Calcio tutta biancorossa della storia. “Io eccellenza chiamo solo Pelè…” come ebbi a dire ad un Prefetto un po’ troppo invadente (ma questa è un’altra storia…) e ci ritrovammo proprio nella categoria denominata Eccellenza, una ripartenza esattamente come ora se non fosse, di nuovo, per lo stile.
Tutto andava di pari passo, bambini, genitori, giocatori, dirigenti, tifosi, semplici appassionati, amici, compagni di classe dei figli dei giocatori. Un puzzle con le tessere al posto giusto, ognuno secondo le proprie competenze e peculiarità. Cominciò a prendere forma un concetto alternativo di Società Sportiva, un esempio difficile da proporre nel Mondo del Calcio. Nessuna barriera mentale, il goal, il buon risultato era semplicemente biancorosso, che fosse di un bimbo o del calciatore compiuto. E di nuovo il mare. A scandire lo scorrere del tempo, ad ampliare e rinforzare la Scuola Calcio stagione dopo stagione con l’arrivo di un uomo che portò quel carburante agonistico indispensabile per il salto di qualità, il Prof. Alfredo Speroni.  Fu strabiliante assistere all’ascesa di affinità elettive che ci condussero alle soglie del Calcio dei grandi senza mutare di un millimetro il nostro modo di essere, con sempre più commistione tra prima squadra e giovani promesse. Credibilità, entusiasmo, senso di appartenenza. Lo stadio Franco Ossola il salotto di casa, il manto erboso il divano dei sogni.
Ma, si sa, il mare non sempre ama, la tempesta è in agguato, gli abissi obbediscono agli dei capricciosi. Quel 2010 il moto ondoso si abbattè con tutta la furia possibile sulla nostra Scuola Calcio. Il “Prof” fu chiamato ad allenare gli angeli e ci lasciò orfani e disperati. Io persi un Maestro, i bambini una guida. Ma ogni nuvola di pioggia conserva profili d’argento. Due persone, due uomini veri, due amici vennero in soccorso. Nicola Piatti che si sobbarcò tutta la parte organizzativo-amministrativa, un colosso instancabile, preciso e senza sbavature e Maurizio Scalamandrè che si caricò sulle spalle la gestione spicciola delle squadre, le trasferte, il materiale tecnico, le pulizie. La storia recente del Calcio biancorosso si deve a loro, alla loro passione e determinazione.  Riprese la gloriosa avanzata, la flotta biancorossa creava seguito e simpatia, i gladiatori del professionismo invincibili sul campo guidati da un Generale unico ed irripetibile, Giuseppe Sannino, i bonsai biancorossi attiravano amicizia ed affetto, i calciatori spesso si fermavano a fine allenamento a palleggiare con i nostri nanetti.
Caccia premio fair play 2013Fu l’età dell’oro del Calcio a Varese, promozioni una via l’altra, che culminò con l’approdo in serie B. Anche i dettagli fecero la differenza. 13 giugno 2010 – estate, mare alle porte, il mare, sempre – play off di ritorno contro la Cremonese, Sannino in campo durante il riscaldamento mi chiamò, voleva che gli scrivessi su un foglio le parole che pronunciò Luis Felipe Scolari ai giocatori della Seleçao prima della finale mondiale del 2002. Le ripetè ai giocatori negli spogliatoi. Frammenti di genio. In pochi anni da palcoscenici di periferia a Broadway, dal semplice numero al cognome sulle maglie. E noi sempre gli stessi. Sempre pronti ad accogliere con un giro di campo i tifosi avversari. Sempre entusiasti ed eccitati, protagonisti sul campo nell’intervallo delle partite. La Lega di Serie B si accorse di un sistema tutto biancorosso di vivere lo stadio ed il Calcio e ci premiò (foto a destra) con la targa Fair Play Nazionale. Raggiungemmo il climax educativo-sportivo, eravamo parte di un progetto. Il sogno fu ad un passo, ma la Chera di morte soffiò sul Varese di Maran. Non fu semplice destino. Fu un disegno degli umani. Il miraggio non si infranse in finale con la Sampdoria. No.Li era già tutto deciso, compreso il colpo di testa di Plasmati a botta sicura. Uscì per scelta. Capii che il giocattolo si stava rompendo a Verona, in semifinale, per quel rigore clamoroso non fischiato agli scaligeri. Meglio gestire una finale con il Varese che con la corazzata Verona. E cosi fu.
Il mare fu mosso quell’estate del 2012, maculato, unto. Le onde offendevano, la spuma era viscida schiuma. L’acqua tersa, limpida, cristallina, delle profondità marine in breve si trasformò in stagnante liquido delle rive sabbiose. Le prime sconfitte della stagione successiva iniziarono a minare l’ambiente, la corazzata biancorossa, un pezzo unico, costruito con sapienza, era corrosa dal germe della vittoria a tutti i costi. La caduta fu verticale. Cominciammo anche noi a comportarci come tutte le altre società, sostituendo allenatori colpevoli di non offrire gioco spumeggiante, finendo preda dell’insulto e della volgarità gratuita. La discesa agli inferi fu rapida, sino al dramma di pochi mesi fa. La scomparsa. La fine di tutto.
Dopo undici anni è stata sufficiente una stagione sbagliata, errori a non finire, gestione superficiale, per scatenare il peggio dell’essere umano. Non si è disposti ad accettare il verdetto del campo. Lo sport è una continua altalena di vittorie e sconfitte, squadre che salgono altre che scendono. L’intollerabile è che coloro che si definiscono “sportivi” non accettino le regole del gioco. Ero certo che noi saremmo stati immuni dai deliri di piazza, dall’offesa, dall’insolenza. Ritenevo che avessimo costruito una fortezza solida, stabile, composta da gente matura, in grado di cogliere, anche nelle avversità sportive, gli aspetti positivi. Ed invece ho assistito a processi sommari che hanno coinvolto anche coloro i quali, al di sotto dell’iceberg della prima squadra, hanno costruito, lavorato, allenato, con impegno e passione. L’epurazione ha colpito tutti, la contestazione ha coinvolto tutti i settori. Tutti colpevoli. Tifosi che danno lezioni di sport, anonimi che attraverso i social si ergono a cattedratici dissertando addirittura di attività motoria. Non distinguono una capovolta da un tiro libero ma sono i depositari della verità sportiva. In un clima simile la guerra fra bande è dietro l’angolo, ci vuole poco a dividere il popolo biancorosso. In un clima simile nessuno arriva a salvarti, non arrivano i nostri. Ed in un clima simile si consuma l’atto che più ho odiato, l’aberrazione estrema, la profanazione. Poco prima di una gara assolutamente inutile per le sorti di un campionato ormai segnato, un gruppo di anonimi entra al Franco Ossola. Lo devasta. Lo aggredisce. Lo oltraggia, infanga, insozza. La nostra casa. La mia casa. La casa dei nostri piccoli biancorossi. Chiudo gli occhi e chiedo scusa al Peo e a quel ragazzo che il 4 maggio del 1949 perse la vita a Superga e il busto del quale svetta all’ingresso del “suo” stadio. E comprendo che è finita.
Comunque vada A.S.Varese 1910 termina nella notte tra il 17 ed il 18 aprile del 2015. E’ un peso insopportabile. Il culmine di cinque mesi di deliri e porcherie. Non è più il mio Calcio. Abbiamo lasciato una traccia educativa importante, sfiorato il Paradiso, giocato e gioito con centinaia di bambini. Ma il buio della mente ha preso il sopravvento. Perché sarà sempre cosi. E’ un mondo che non cambia mai e sopravvive a se stesso. Per un attimo pensavamo di averlo esorcizzato, ma il Maligno è sempre in agguato. In ogni tempo, in qualunque luogo, basterà perdere tre partite di fila e la follia, la demenza da “calciopatia” tornerà prepotente. Io scendo qui. Nulla più da dimostrare. Il mio mare è cristallo, è tuffo spensierato, è cavalcare l’onda con gioia, con impegno, con dignità. Mi porto nel cuore mille pensieri, parole e opere. E negli occhi gli spalti di Varese-Cremonese con Niccolò Buzzegoli, figlio di Daniele “Buba” Buzzegoli. Minuto 92 della partita decisiva per la serie B, vinciamo uno a zero ma non basta. Siamo tutti presenti, bambini e genitori della Scuola Calcio. Penalty per noi. Sul dischetto Buba Buzzegoli. Il piccolo Niccolò mi si avvicina e stringendomi il braccio mi sussurra “O Mister, se’ l’ mi babbo sbaglia l’è un bel problèma!” Buba non sbagliò, noi piangemmo di gioia perché era l’inizio di una splendida, irripetibile avventura. Era il nostro mare. Io sono A.S.Varese 1910.

Marco Caccianiga