La prima volta in cui ho sentito parlare di Paolo Moretti come giocatore era il 1986, Chiesa in Valmalenco, Trofeo Decio Scuri. Paolo Moretti era il talento pazzesco che praticamente da solo trascinò la sua regione, la Toscana, molto avanti nel Torneo.
La prima volta in cui ho sentito parlare di Moretti in versione allenatore era il 2005 e Paolo, alla guida di una delle ultime edizioni del Basket Livorno in serie A, stritolò abbastanza facilmente la Whirlpool Varese di coach Ruben Magnano. In entrambi i ruoli, giocatore e allenatore, sto parlando di un predestinato della palla a spicchi. Di un uomo che avuto una grande carriera da giocatore – grandissima anche nella sfortuna – e si prepara ad averne una simile anche in panchina. Per chi ne dubitasse, val la pena di ricordare il titolo di Allenatore dell’anno conquistato nella stagione 2014 oltre al recente Premio Reverberi per la scorsa stagione alla guida di Pistoia.
Quindi la Varese che ama il basket dovrebbe considerare l’ingaggio di Moretti alla stregua di un colpaccio e la sua presenza in città andrebbe tutelata come quella dei Panda giganti…
“Mi sembra un pochino esagerato e, comunque, cambierei l’ordine delle cose dicendo che mi considero doppiamente privilegiato. Prima di tutto perché sto sulla panchina di un club prestigioso come Varese. In secondo luogo perché vivo immerso nell’atmosfera di una città che, come poche altre in Italia, respira pallacanestro 24 ore al giorno. Allenare non è mai una professione banale, ma farlo a Varese porta con sé un carico notevolissimo in termini di ambizioni, aspettative, voglia di fare bene, senso di responsabilità e “doveri”. Qui non puoi mai fare brutta figura!”.
E Masnago, non a caso, inizia a capirti ed esserti vicino con cori e applausi scroscianti…
“Essere sostenuto e apprezzato dal pubblico del PalaWhirpool rappresenta una bella sensazione, ma allo stesso tempo innalza il desiderio di ripagare simili dimostrazioni di fiducia e affetto”.
Si dice che Varese sia una città in cui è difficile allenare…
“Non per me, questo è sicuro. Per me essere qui è solo questione di orgoglio. Qui tutti conoscono la materia e sapendo di cosa si parla sanno metterti addosso pressione. Quella giusta, però. Quella che Varese ti mette sulle spalle in virtù di una fama meritata e di tradizioni luccicanti. La pressione che ti spinge a lavorare sempre al top dell’impegno ed è avvertita distintamente anche dai giocatori”.
Varese è uguale a tante altre piazze, ma simile a nessuna: sei d’accordo?
“Se proprio vogliamo cercare e trovare un paragone calzante direi simile solo alla Virtus Bologna, l’altra grandissima del basket italiano ed europeo che, per censo, e per abitudine, richiede moltissimo ai suoi “attori”. Poi, è chiaro, occorre scendere su un piano di realtà e sforzarsi di capire che rivendicare ambizioni irrealizzabili significa stupidità. E, credimi, sono sinceramente dispiaciuto per quelli che vivendo male il presente si  ostinano a fare paragoni sciocchi col passato, sussurrando con studiata malinconia: “Ahh, ai miei tempi…”.
Quindi, concretamente, quali sono le tue, le vostre?
“Crescere e gettare le basi che permetteranno a Varese di consolidarsi nel futuro perché, checché se ne dica, l’unica cosa che conta davvero è provare a programmare dandosi un pizzico di continuità ed io sono davvero felice di far parte di questo progetto e contento di poter lavorare, e costruire in palestra, con una prospettiva a medio-lungo termine. Oggi, nella sintassi del basket italiano lavorare e costruire non sono è esattamente due verbi d’uso comune”.
Moretti ingegnere, architetto, capomastro, manovale del progetto: è giusto così?
“Messa così sembra la logica, decisamente sbagliata, del “faccio tutto io”. Invece, nel basket moderno, che prevede una grande collaborazione all’interno dello staff tecnico, ci si scambiano continuamente informazioni e responsabilità per arrivare a decisioni che siano condivise e accettate con la consapevolezza che le parole decisive spettano comunque all’allenatore e al direttore sportivo, oggi più che mai i personaggi che dovrebbero essere al centro del progetto di un club. In Pallacanestro Varese questa idea è ben chiara e funziona ed il “board” societario è il nostro referente finale”.
Vorrei cambiare argomento e se me lo consenti vorrei parlare della terribile malattia, la leucemia, che ti ha colpito e che sei riuscito a vincere…
“Non ho grandi problemi nell’affrontare questo tema anche se, come tutti possono immaginare, si tratta di una parentesi che considero chiusa. Quindi, che dire senza rischiare di cadere nella retorica? Quel periodo, iniziato nel gennaio del 2000, è stato il più duro della mia vita. Alcuni mesi durante i quali, di colpo, ti ritrovi tuo malgrado a guardare ciò che ti succede e a pensare al domani in modo totalmente diverso. Mesi durissimi che ho affrontato, uscendone, grazie all’enorme aiuto e vicinanza di mia moglie Mariolina, al pensiero dei miei figli, riponendo totale fiducia nei medici e grandissima voglia di vivere. Poi, come sempre accade, durante il percorso di una malattia potenzialmente infausta, torni a riassaporare i valori veri dell’esistenza, apprezzando anche il senso delle piccole cose del quotidiano”.
Nell’allenare giorno per giorno ti è mai capitato di “usare”, termine improprio del quale mi scuso, la tua  vicenda?
“No, cerco accuratamente di evitare l’argomento e, comunque, non ho mai usato la malattia che mi ha colpito per innescare delle reazioni. Non penso sarebbe molto giusto farlo. Però, in situazioni particolari, o quando mi capita di parlare con giocatori in difficoltà sul piano mentale, cerco di proporre un diverso angolo di visione non tanto della pallacanestro quanto, appunto, della vita. Senza andare oltre perchè, davvero, in quel momento particolare ho imparato molto, ma non voglio impartire lezioni a nessuno”.
La tua carriera da giocatore, lo accennavo, è intrisa nella sfortuna…
“I guai che mi hanno fatto soffrire in carriera? In fondo, solo cavolate di fronte al piacere di essere ancora qui a raccontarsela. Alla bellezza di essere affettuosamente circondato dalla tua famiglia. Alla fortuna di poter andare tutti i giorni sul parquet a svolgere un lavoro gratificante, stupendo, emozionante e pieno di vitalità. No, al netto di tutto, non penso di esser stato così sfortunato”.
Domenica la Virtus, avversario sempre speciale…
“Già: il ricordo di anni favolosi, compagni di squadra incredibili campioni e la presenza del mio maestro: Ettore Messina. Ma il presente è tutt’altro: solo una partita che dobbiamo vincere a tutti i costi…”.

Massimo Turconi