A Varese è partito un nuovo ciclo, una nuova società con voglia di spazzare via quell’alone di contestazione e pessimismo che negli ultimi tempi aveva accompagnato tutto l’ambiente. Un restyling totale ma fieri e orgogliosi del passato e di quello che Varese ha rappresentato e rappresenta. Ripartire da chi questi concetti la ben impressi era fondamentale e Giuliano Melosi, 4 stagioni come giocatore in biancorosso, era la persona giusta, al momento giusto, per il posto giusto.
“Quando è squillato il telefono e mi hanno offerto questa opportunità, penso di non aver avuto nemmeno una frazione di secondo per pensare alla cosa e per valutarla, era già sì – attacca il mister biancorosso -. Al Varese non si può dire di no, al mio Varese non potevo dire di no”.
E’ questo il biglietto da visita dell’ex centrocampista di Pro Sesto, Chievo, Salernitana, Pescara, tanto per citare alcune delle sue squadre, che nel 1985 a 18 anni ha spiccato il volo nel calcio ‘vero’ con la maglia biancorossa buttato nella mischia in Serie C1 il 6 aprile 1986 in un Varese-Prato finito 3-1. “Quattro stagioni indimenticabili, è come il primo amore che non si scorda mai – continua Melosi – . Qui sono maturato, ho iniziato a giocare in una squadra vera e mi hanno fatto sentire importante. Ho vissuto quattro annate difficili dal punto di vista dei risultati ma con dei ragazzi fantastici che mi hanno fatto crescere. Il primo anno in C1 è stato meraviglioso, una manciata di partite da sogno a fine stagione anche se poi siamo retrocessi tra l’incredulità di tutti. Ricordo con piacere tutte le annate e gli allenatori: Balestra, Maroso, Reja, Soldo, Butti e Seghedoni, ognuno di loro mi ha dato qualcosa”.
Il tuo ricordo più bello con la maglia del Varese? “Sicuramente tutte le prime partite nell’anno della C1. Se te ne devo dire uno ti racconto cosa è successo a Padova al termine della partita, la mia seconda da titolare (13 aprile 1986 Padova-Varese 1-1, ndr). Loro avevano una squadra fortissima fatta per vincere,  in attacco avevano un certo Valigi pagato 2 miliardi delle vecchie lire dalla Roma. Lo curo a uomo, come si faceva una volta, e lui non vede palla. A fine partita il nostro presidente, Beppe Marotta, in conferenza stampa dice ‘quello che vale 2 miliardi ce lo abbiamo noi’ riferendosi alla mia prestazione”.
Perchè, appese le scarpe al chiodo, hai scelto di fare l’allenatore? “Sono un uomo di campo che da sempre vive nel mondo del pallone. Non mi vedevo altrove, nè tanto meno dietro ad una scrivania. Penso anche di avere dentro di me questa dote, già da giocatore aiutavo la squadra parlando molto e guidando i miei compagni”.
La squadra a che punto è? “Il 90% è fatto e sono molto soddisfatto di come è stata costruita. Un gruppo di ragazzi fantastico che sta lavorando tanto e bene. Sono certo che la nostra forza sarà il gruppo ed è da questo che stiamo partendo. La nuova società e tutto lo staff che sta costruendo la squadra hanno fatto un lavoro incredibile in pochissimo tempo, ci tengo a ringraziare tutti con il ds Scapini in testa e con un pensiero particolare per Danilo Vago che mi ha voluto qui. E’ stato il mio direttore a Turate e da subito abbiamo instaurato un rapporto di reciproca stima. Ora pensiamo a lavorare, a sudare in campo e a far parlare per noi i risultati, consapevoli che indossiamo la maglia del Varese”.
Chiudiamo con una considerazione, provocazione: sai che devi vincere? “Ovviamente sì, sono venuto per quello. Se l’obiettivo non fosse stato di arrivare in alto non avrei avuto i giusti stimoli (sorride, ndr). Non mi spaventa sapere di dover vincere, se così fosse sarebbe meglio cambiare mestiere”.

Michele Marocco