Per la sua prima volta in Italia, Terrell Stoglin non ha scelto una città ed una squadra “qualunque”. Forse proprio perché lui stesso non è, nella maniera più assoluta, uno “qualunque”.
Chi lo conosce bene e lo segue da tempo, lo etichetta come un gran bel giocatore; non un playmaker puro, certo, ma uno che se la deve mettere, la mette, senza troppi complimenti.
Nemmeno le sue conoscenze sono “qualunque”; tra i suoi amici risulta esserci quel Mike Green che lo scorso anno condusse la corazzata degli “Indimenticabili” ad un passo dalla gloria.
“Non ci ho mai giocato né contro né insieme -afferma il classe ’91 originario dell’Arizona- ma lo conosco, siamo amici. E la stima che ho per lui ha influito sulla scelta di sposare la causa varesina. Solo questo? No, certo che no. Quando ho saputo dell’interessamento della Cimberio mi sono subito informato e ho scoperto quanto il basket sia importante per questa città, radicato nelle vene delle persone che la abitano. Era inevitabile accettare la proposta”.
Le prime impressioni?
“Sicuramente positive. I compagni mi piacciono e sono tutti disponibili. E poi sono contento di essere tornato ad allenarmi dopo 8 giorni di pausa. Non gioco da 10 giorni, ma è bastato un allenamento oggi per sentirmi fisicamente meglio. Sono sicuro che già domenica riuscirò ad essere vicino alla mia forma migliore”.
Le mie caratteristiche -prosegue-? Sono aggressivo in attacco, ma soprattutto creativo. So entrare in penetrazione ma anche tirare da lontano. Devo ancora migliorare, invece, dal punto di vista difensivo, in particolare sulla pressione a tutto campo”.
Contro Caserta sarai già in campo, ma avrai bisogno di ancora più tempo per ambientarti.
“Sicuramente. Per un ragazzo giovane come me non è facile inserirsi in corsa nei meccanismi di una nuova squadra. Sono comunque esperienze che fanno crescere. Di certo l’opzione per il prossimo anno che ho da contratto, mi aiuterà a trovare la giusta continuità”.
Stoglin è un ragazzo semplice (“Sono tranquillo. Mi piace divertirmi come tutti i ragazzi della mia età ma senza esagerare”), anche se in campo si distingue per personalità:
“Le squadre che mi firmano sanno quello che posso dare sotto questo punto di vista. Posso essere un leader e so farmi sentire, senza per questo uscire nei limiti delle regole”.
E poi quel numero 12 “in onore di mio padre che al College era un giocatore piuttosto famoso”.
A parole non è affatto uno “qualunque”. Sul campo? Domenica lo scopriremo.

Marco Gandini