Domenica 1 maggio 1994, Gran Premio di San Marino, ore 14.17, Curva del Tamburello, Autodromo Enzo e Dino Ferrari, Imola.
E’ pura danza. Come sempre. Sua Maestà Ayrton Senna Da Silva non curva. Imbocca il rettilineo verso un’altra vita. Lui non è mai stato di questo mondo. E torna a sedersi alla destra del Padre. Una tre giorni maledetta. Venerdi, incidente a Rubens Barrichello. Sabato, dramma in pista e morte di Roland Ratzemberger. E poi la gara. Ayrton se ne va. Tradito dalla sua Williams –Renault. Incollato al teleschermo, non apro bocca. Seguo ogni istante del dramma. Con Ayrton finisce anche la Formula Uno. Ultima immagine, i teli a protezione della barella che si dirige all’eliambulanza. Spengo la televisione, insieme alla mia allegria.
Domenica 17 luglio 1994, ore 20.30,Casa Malerba, Varese.
Parcheggio nell’ampio giardino il Caporal Martim, la mia Honda Africa Twin, e mi dirigo silente e concentrato verso il salotto. Ci ospita Fabrizio Malerba detto il Negro. Non è un semplice gruppo di amici, è un parterre de rois, con i quali ho condiviso il cammino del mio Brasile sino alla finale. Sono ancora incredulo per quanto ho visto sino ad ora! La Seleçao più operaia di sempre è cresciuta ad ogni partita, lasciandomi a bocca aperta, portandomi quasi al collasso contro l’Olanda, riempiendomi il volto di lacrime dopo la vittoria in semifinale contro la Svezia. E’ dal 1970 che cerchiamo la vetta…. Ed il destino mi pone di fronte l’avversario, da sempre, più difficile da affrontare in partita secca : l’Italia!! Italiano di nazionalità ma verdeoro per credo calcistico e musicale, non mi pongo alcun problema di campanile. Il mio è un Brasile tutto particolare, è un modo di essere, di affrontare la vita ed il quotidiano, è aguas de março, è una zampata di Romario, è una novela di Amado. E gli amici lo sanno. Sono l’unico al quale è concesso di non tifare Italia. Ma il sostegno fazioso, si sa, fagocita anche gli ultimi barlumi di fair play… Mi fanno accomodare su uno sgabello e mi forniscono  grissini e brocca di acqua naturale.Addiritura mi trovo in orbita ellittica rispetto al televisore! Per contro, quei serpenti a sonagli, libano con succhi tropicali, birre, pasticcini e pizzette. Come Eracle, accetto le mie fatiche, mi chiudo in un silenzio di tenebra e sistemo i miei feticci. Indosso la solita maglia blu numero 5 di Mauro Silva, estraggo dallo zaino una copia di “Dona Flor e i suoi due mariti”, la foto di ManèGarrincha, l’apito che mi lanciò AirtoMoreira dopo un concerto al Ponderosa nel 1991,la statuetta di Yemanya, dea del mare di Bahia ed il cappellino blu Nacional di Ayrton Senna, omaggio del mio fratello carioca Andrè. Entro in contatto telepatico con Albertinho Salemi, fratello verdeoro, versatile e scaltro, devoto, credente vero, un asceta del Futebol. Lui non vuole essere disturbato. E come un monaco di clausura si guarda la partita da solo, chiuso in una stanza, lontano dalle trame del Maligno. Per novanta minuti non abbandono il mio scomodo sedile, soffro, mi tormento, gioisco, mi angoscio. Il risultato non si sblocca. In fondo, poche occasioni per entrambe le squadre. Non è una finale stilisticamente perfetta. Supplementari, cambi in corsa, tentativi timidi di andare a rete. Ma impera il terrore di subire goal. Ho la schiena a pezzi, non mi sono mosso di un millimetro. 120’ minuto di un afoso pomeriggio al Rose Bowl di Pasadena in California. L’arbitro ungherese Puhl fischia la fine. Per la prima volta nella storia un Campionato del Mondo di Calcio si deciderà ai rigori.
Domenica 17 luglio 1994, ore 23.40, Casa Malerba, Varese.
Il vuoto. Non un rumore. Sordo ad ogni richiamo. Non esisto. Fluttuo. Occhi spalancati. Bocca aperta. Apnea. Sono in ginocchio ad un metro dal teleschermo, mani che stringono Yemanya ed il cappellino di Ayrton. Franco Baresi dal dischetto calcia alto!! Mi arriva addosso di tutto, fette di pizza, fazzoletti sporchi, bicchieri di carta con liquidi indefinibili. Non importa, io dondolo avanti e indietro come gli ebrei al Muro del Pianto. Marcio Santos, fuori!! Dagli alimenti agli insulti il passo è breve. Gli amici italiani ritrovano vigore con le reti di Albertini ed Evani ed io rischio l’ictus con il palo-goal di Romario compensato dalla splendida realizzazione di Claudio Ibrahim VazLeal detto Branco. Sempre muto, costantemente in ginocchio, vorrei avere dei ceci sotto la rotula per soffrire ancora di più ed aiutare, col mio cilicio fisico, gli apostoli verdeoro. Daniele Massaro calcia come un neonato, Claudio AndrèTaffarel para. Si percepisce distintamente il rumore dei microrganismi. Non è un salotto, è il nulla dell’iperspazio. Carlos CaetanoBledorn Verri, per i terrestri Dunga. Palla da una parte, Pagliuca dall’altra. Non ho più piastrine, i globuli da rossi mutano in gialloverdi, il cuore ruzzola, atrio e ventricolo si intersecano, il pancreas mi sale alle tonsille. Roberto Baggio è sul dischetto. Tutti sanno tutto. Ho una visione. Il più grande pilota della storia dell’Automobilismo mi sorride col pollice alto. Come un automa scatto in piedi, la voce che esonda dalla gola non è la mia. “Baggio, in verità in verità ti dico, Buddahconta come il due di picche. Mio figlio Ayrton si è scarificato per questo momento. Il tuo piede calcerà al cielo”. La palla supera la traversa. Taffarel crolla a terra, in lacrime, i brasiliani esultano. Riacquisto il colorito e faccio esplodere tutta la tensione! Salto come un grillo, mi zompano addosso a decine, sembrano zombies affamati delle mie carni. A fatica conquisto l’uscita. In giardino, verso lacrime da Campione del Mondo. Gli sconfitti tentano l’ultimo assalto. Parte l’innaffiamento automatico ed in breve mi ritrovo completamente fradicio di acqua, anticrittogamici e polveri varie. Nulla può scalfire un Campione del Mondo. Relegato in una sorta di prigione verde, mi abbevero dell’ultima immagine televisiva prima di iniziare l’esistenza da tetracampeao. I calciatori brasiliani mostrano uno striscione “SENNA ACELERAMOS JUNTOS, O TETRA E’ NOSSO”. Parola del Signore.

Marco Caccianiga