Della primavera del 2010 ricorderò per sempre la voce rotta dalla commozione e le lacrime versate in diretta televisiva da Dragan Sakota, papà di Dusan. In quei tragici giorni intorno alla metà del mese suo figlio, l’allora giocatore della Scavolini Pesaro, stava combattendo una durissima battaglia contro la morte. Un avversario durissimo che, sotto forma di una ginocchiata assassina, aveva infilato i suoi denti aguzzi e velenosi nelle carni di Dule squassandogli l’addome. Il duodeno esplode per il trauma, l’emorragia intestinale è vastissima, lo stato di peritonite avanzata, il codice rosso acceso, la prognosi riservata. Dragan, dopo il primo sconfortante bollettino medico, fazzoletto tra le mani, davanti ad un microfono aveva confidato che ormai alla famiglia Sakota restava solo un briciolo di speranza. A quel briciolo, a quell’anelito di vita, Dule nel suo stato di coma farmacologico, inconscio e assurdo viaggio tra vita e morte, si aggrappò disperatamente ed i favolosi medici pesaresi, cogliendo l’attimo, lo tirarono su spingendolo fuori dal baratro. Un altro paio di delicatissimi interventi chirurgici, addome con cicatrici dai contorni geografici, prognosi che diventa man mano sempre più favorevole, cui segue una lunga fase di riabilitazione per rimettersi in piedi. Per continuare a vivere. Giocare, forse, magari, a Dio piacendo, sarebbe arrivato solo dopo. Tanto dopo.
“Non parlo volentieri né di quei momenti, nè delle drammatiche vicende successive e, oggi, tornare col pensiero ai quelle agghiaccianti settimane mi mette ancora i brividi, ma allo stesso tempo mi dà carica, e forza, per affrontare il domani. In fondo, mi dico, cos’altro può capitarmi di peggio?”.
Come dare torto a Dusan, ragazzo intelligente, buonissimo, aperto e sempre disponibile al contatto umano grazie ad una storia personale non esattamente consueta.
“Sono nato a Belgrado, ma ho trascorso la mia primissima infanzia a Zagabria in Croazia che si trovava là per svolgere la sua professione di allenatore. Le prime bombe, quelle volate per il primo conflitto tra serbi e croati obbligarono mio padre a trovare altrove sbocchi per il suo mestiere di coach. Così finimmo in Grecia, nazione dove cominciò la seconda parte della mia vita: quella più allegra, spensierata, divertente. Quelli, infatti, sono stati anni in cui, al seguito di papà, si cambiava spesso città, casa, ambiente, amicizie, squadre. Sono passato da Salonicco, PAOK, a Patrasso, Apollonion, poi ancora Salonicco, Atene, ma al Peristeri, all’Iraklis e di nuovo Atene, all’AEK per quella che considero la tappa più importante per la mia formazione cestistica e la mia carriera. All’AEK, giocando da protagonista ho conquistato lo scudetto Juniores. Una vittoria che è stata importante anche sotto il profilo ‘pubblicitario’ perché mi ha dato visibilità per cominciare il percorso da professionista. Non a caso poi finii al Panathinaikos firmai un contratto triennale e mi spostai, per giocare di più, al Panionios e dopo questa esperienza tornai al Pana, pronto per dare una mano ad un fantastico gruppo di campioni”.
In effetti, devo dire che hai giocato al fianco di nomi incredibili, veri mostri sacri del basket europeo
“Grandissimi giocatori e personaggi veramente deliziosi. Sto parlando, giusto per citarne solo alcuni di Diamantidis, Batiste, Spanoulis, Tomasevic, ragazzi che -sottolinea Duki-, mi hanno aiutato tanto e dai quali ho imparato moltissimo in campo e fuori. Mi hanno insegnato non solo come si gioca, ma anche come ci si allena, come ci si deve comportare nei momenti difficili, cosa fare per reggere il peso della pressione e mille altre cose ancora. Aver fatto parte di quello straordinario gruppo che ha vinto tutto in Grecia e in Europa ha rappresentato qualcosa più di un privilegio”.
Poi, l’approdo in Italia, a Pesaro
“I ricordi che mi legano a Pesaro sono, resteranno per sempre, di una bellezza sfolgorante. Sul parquet facemmo bene e, anche se può apparire paradossale, proprio l’infortunio mi permise di vedere e valutare nel modo migliore la realtà esistente dietro la parete. In quel periodo sfortunato tutti restarono vicino a me e alla mia famiglia, dimostrandoci calore, affetto, vicinanza, partecipazione. Ricordo le visite in ospedale di Eric Williams e Marques Green, i mille messaggi quotidiani che arrivano sul mio cellulare e su quello di mio papà. Ricordo, soprattutto, il coraggio infuso dai medici ai miei familiari e l’ideale abbraccio dei tifosi pesaresi. Per tutti questi motivi e per tanto di più Pesaro resterà per sempre nel mio cuore tant’è vero che ogni anno cerco di trascorrere alcuni giorni in città. Oggi come allora, passeggiando su quella spiaggia, mi sembra di rinascere”.
Il tuo pazzesco palmares è pieno di vittorie e gare in grado di regalare emozioni uniche: qual è quella che ti tieni più stretta
“Fino a pochi mesi ti avrei risposto la finalissima di Eurolega vinta a Berlino. Adesso, invece, forse per il momento emotivo vissuto accanto ai tifosi, ti dico gara-5 disputata nelle recenti semifinali contro la Reyer Venezia. Anche se il peso specifico del successo berlinese potrebbe sembrare schiacciante, dico che l’aver giocato bene (23 punti per Dule ndr), l’aver riportato Varese in Europa e in semifinale dopo tanti anni, l’aver visto sincera commozione negli occhi dei tifosi, l’aver ricevuto, a fine gara, l’abbraccio dei miei genitori, di mio fratello Milos e dei miei due cugini, è stato qualcosa di unico. Probabilmente irripetibile”.
Sakota, serbo-greco di passaporto, croato di infanzia, ellenico per crescita, pesarese per rinascita. Oggi, da classico cittadino del mondo, dove hai messo casa?
“Quando la stagione di pallacanestro chiude i battenti trascorro il mio tempo tra Belgrado e Atene, dove i miei genitori hanno un appartamento. Ma, in generale hai detto bene: mi sento cittadino del mondo, mi piace viaggiare e conoscere sempre posti nuovi. Quindi, a conti fatti, a casa sto abbastanza poco. Non per nulla, in questi mesi ho cominciato a scoprire Varese e i suoi dintorni. Un pezzo d’Italia che non conoscevo e, devo aggiungere, è davvero bellissimo”.
Bellissima come la stagione che state disputando: ma, a bruciapelo, come andrà a finire ‘sto giro contro Siena
“Cominciamo col vincere gara-5 questa sera. Poi, tutti insieme, squadra e tifosi, proveremo a dare un senso vero a questa terribile semifinale. Il senso che tutti vogliono, desiderano, sperano, ma soprattutto si meritano”.

Massimo Turconi