Sulla sua handbike, con la sola forza delle braccia, il sommese Pietro Scidurlo ha portato a termine i 950 Km del Cammino di Santiago di Compostela fino ad abbracciare l’Oceano Atlantico, a Finisterre-Muxia. Molti lo hanno dipinto come un eroe, ma lui rifiuta subito questa definizione: “Non ho fatto un’impresa; dentro di me avevo da tempo il desiderio di compiere questo Cammino e sono contento di esserci riuscito. Ho semplicemente fatto quello che mi sentivo e ho realizzato qualcosa di buono per me“.
Quando hai cominciato a pensare di percorrere il Cammino?
“Qualche anno fa, durante un lungo periodo in ospedale, mia sorella Chiara mi ha regalato “Il cammino di Santiago” di Paulo Coelho. Non sono mai stato un gran lettore, ma ho iniziato a sfogliare e a leggere le prime pagine; poi sono stato rapito dal libro e l’ho letto tutto d’un fiato. Da quel momento, ho maturato dentro di me il desiderio di realizzare quel percorso e di riuscire anch’io, nelle mie condizioni, a portarlo a termine. E così ogni giorno mi sono impegnato per trovare qualcuno che credesse come me in questo progetto, mi sono procurato l’attrezzatura adatta e ho svolto per vari mesi un’attenta preparazione fisica”.
Hai potuto contare sull’affetto e la vicinanza di tanti persone.
“Sì, non sono soltanto delle persone per me, sono dei veri e propri amici. Gianpiero, Massimo, Moreno, il signor Pezzotta, che è stato il mio sponsor, mi hanno aiutato molto a mettere in pratica la mia idea. Tutti loro e tanti altri mi hanno dato la spinta per partire, per fare il primo passo, che è sempre quello più difficile; grazie a loro sono riuscito a superare molti dubbi, pensieri e domande che mi assillavano e che a volte mi hanno bloccato a casa. Ma, una volta uscito dal cancello, sono partito e ora posso dire che ce l’ho fatta”.
Quali sono state le emozioni più forti che hai provato durante il Cammino di Santiago? E ora che sei tornato che cosa conservi nel ricordo?
“Non dimenticherò mai Finisterre, un luogo davvero magico. Gli ultimi 38 Km prima di raggiungere la cittadina sono stati molto faticosi perché la stanchezza accumulata lungo il percorso si faceva sentire; ad ogni salita speravo fosse l’ultima e non vedevo l’ora di scorgere all’orizzonte l’Oceano. Quando finalmente l’ho visto davanti a me, mi si è chiuso lo stomaco, ero talmente emozionato che ho cominciato ad andare più forte che potevo. Ora che sono di nuovo a casa ho tantissimi ricordi e tutti positivi. Posso dire che anche le tappe più impegnative sono state importanti: la fatica è andata di pari passo con la soddisfazione. Ma non dimentico anche i tanti momenti di sconforto, quelli in cui la stanchezza ha cercato di prendere il sopravvento sulla mia determinazione. Tuttavia, non ho mollato e la tenacia è stata il segreto vincente che mi ha permesso di giungere alla fine. Il Cammino mi ha arricchito molto: ho conosciuto tantissimi pellegrini che mi hanno raccontato le loro storie; comunicare e condividere esperienze è stato fondamentale per me e oggi sono ancora in contatto con alcune persone incontrate”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Vorrei realizzare una guida per ragazzi disabili così che essi possano percorrere il Cammino di Santiago con riferimenti più precisi di quelli che ho avuto io. Una sera, infatti, mi è capitato di non poter pernottare nell’albergo che mi avevano segnalato perché questo non era agibile per persone come me. Ho dovuto rimettermi in bicicletta e proseguire per vari chilometri, stanco e affamato, in cerca di un’altra sistemazione. Inoltre, con il signor Pezzotta ho già pensato di ripetere l’anno prossimo il Cammino e di portare con noi dei ragazzi disabili; vorremmo dimostrare che anche loro, se messi nelle condizioni giuste, ce la possono fare come ce l’ho fatta io. In futuro, poi, non escludo di percorrere la Via Francigena”.
Infine, stai per dare avvio ad una Onlus.
“E’ un progetto nato poco prima di partire per Santiago e devo ancora metterlo a punto. Free Wheels aprirà prossimamente e avrà lo scopo di sensibilizzare le persone sul tema della disabilità. Vorrei che tutti imparassero a guardare la vita dal nostro punto di vista”.

Laura Paganini