Ultimo giorno nel ritiro al CentroNaturAbile di Varallo Pombia (NO) per la nazionale paralimpica di tiro con l’arco. Da oggi gli azzurri del CT Marco Pedrazzi torneranno nelle rispettive società d’appartenenza per continuare la preparazione in vista della partenza per Londra dove dal 29 agosto al 9 settembre saranno in gara alle Paralimpiadi.
“E’ stato un raduno proficuo in una sede ideale – ha affermato il CT azzurro – un tassello che si aggiunge a quanto abbiamo costruito in questi mesi in tema di condizione psicofisica. Le Paralimpiadi sono un avvenimento unico e per molti di questi ragazzi sarà la prima volta. Contiamo di arrivarci al meglio”.
Autentico veterano del gruppo, scelto dal Presidente CIP Luca Pancalli per il ruolo di portabandiera, Oscar De Pellegrin si avvicina alla sua sesta Paralimpiadi con una responsabilità in più.
“Essere il porta bandiera dalla nazionale del tuo Paese alle Paralimpiadi è una cosa che capita una volta nella vita e non a tutti. La decisione del CIP, in primis del Presidente Pancalli che non smetterò mai di ringraziare, mi onora e penso sia un riconoscimento al mio dedicare la vita allo sport. Il giorno in cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha consegnato il tricolore a me e alla portabandiera olimpica Valentina Vezzali è un giorno che resterà impresso per sempre nella mia memoria. In quel pezzo di stoffa ci sono tanti di quei valori sportivi che un portabandiera ha il dovere di divulgare ai nuovi arrivati e all’intero movimento. Ma la mia filosofia di vita e dei 25 anni di attività sportiva non mi fa certo sentire appagato per questo prestigioso incarico anzi, per quanto mi riguarda sarà un ulteriore stimolo a far bene. Onorato di essere il portabandiera dell’Italia, orgoglioso di partecipare alla mia sesta Paralimpiade, determinato a dar battaglia per vincere”.
Dall’alto della tua esperienza nel mondo dell’attività sportiva per persone con disabilità sei testimone dei progressi in tema di organizzazione e visibilità. Ma per molte barriere culturali spazzate via ce n’è una, quella del reclutamento, che ancora oggi fa si che in Italia un disabile si avvicini alla pratica sportiva non più giovanissimo. A Londra saremo ancora la rappresentativa con l’età media tra le più alte.
“Che ci sia ancora molto da fare in termini di reclutamento, promozione e informazione penso sia un dato di fatto. Detto questo mi vien da pensare al ’92, quando sono partito per Barcellona, le mie prime Paralimpiadi. Forse lo sapevano nel mio paese e l’impiegato di Roma che mi ha fatto il biglietto aereo. Oggi il nostro movimento può godere di ben altra considerazione e visibilità. Gran parte di questo miglioramento lo dobbiamo senz’altro alla determinazione del Presidente Pancalli nel far crescere e integrare l’attività sportiva dei disabili. Crescita e integrazione utile e necessaria per chiunque abbia una disabilità, sportivi e non. Ma in tema di reclutamento è anche giusto sottolineare un aspetto. Quando ero giovane io, praticare una disciplina sportiva era l’occasione per uscire di casa, esprimersi, diventare qualcuno. Con gli anni la nostra società e cambiata, le possibilità e gli interessi sono molteplici e così come mi sembra stia accadendo per i giovani normodotati anche per chi come me vive seduto in carrozzina la voglia di far sacrifici e fatica viene meno. Per quanto vedo e sento anche in tanti altri Paesi le difficoltà in questo senso sono le stesse”.
Forse in altri Paesi c’è un rapporto migliore con la scuola dove da noi, oltre al resto, l’attività sportiva è ridotta ai minimi termini.
“Certamente ci vorrebbe il coinvolgimento e l’impegno di tutti a partire dal CONI. I nostri giovani si formano a scuola. E’ l’età scolastica quella ideale per imparare l’attività motoria e i veri valori della vita. Lo sport insegna a vivere. Se non ci mettiamo in testa questa cosa non possiamo pensare a un domani in una società migliore. Il CIP qualcosa sta facendo, alcuni progetti con le scuole sono stati realizzati. Ma nessuno si deve chiamare fuori dalla promozione e dall’informazione riguardante l’attività sportiva per disabili. Noi dirigenti possiamo dare delle linee, degli input, ma poi sono le associazioni e le persone sul territorio che devono allargare pratica e conoscenza. La mia esperienza mi dice che dove c’è una persona con voglia di fare ed entusiasmo la singola realtà funziona e a beneficiarne è l’intero movimento”.
Premesso che sarebbe bene celebrare la semplice vostra partecipazione a Londra come una grande conquista, quali sono le tue sensazioni a pochi giorni dalla partenza?
“La maggior parte di noi arriva da quattro anni intensi, di sacrifici, gare, qualificazioni. Ma questo è uno degli insegnamenti dello sport: ogni conquista va sudata. Per me è la sesta volta ed è bello esserci come la prima. Le Paralimpiadi sono un avvenimento sportivo unico che va oltre l’aspetto agonistico. Vivendo tutti insieme in un villaggio gli atleti provenienti da ogni parte del mondo hanno l’occasione di conoscersi e condividere la quotidianità. Ognuno con i propri obiettivi e per il proprio Paese ma pronti a scherzare e festeggiare insieme, vincitori e vinti. E’ il messaggio più bello che lo sport può dare. Per me è una scommessa perché nel novembre scorso sono stato operato alla spalla sinistra. Ho buone sensazioni, sto lavorando sodo con il fisioterapista, determinato ad arrivare a Londra al meglio delle mie possibilità”.
Un evento mondiale come le Paralimpiadi accende i riflettori e moltiplica la risonanza sullo sport disabili. Non sempre in positivo. Cosa pensi del caso Pistorius? Soprattutto sapendo che non è affatto il primo atleta che partecipa a Olimpiade e Paralimpiade.
“Mi verrebbe da dire che l’importante è parlarne. Oltretutto, se c’è una disciplina che può facilitare l’integrazione è il tiro con l’arco. Non a caso la nostra Daniela Fantato nel ’96 ad Atlanta ha gareggiato alle Olimpiadi e Paralimpiadi. A Pechino 2008 fece la stessa cosa la nuotatrice, connazionale di Pistorius, Natalie Du Toilt. Insomma stabilito che non si tratta di una novità e fermo restando il massimo rispetto per Pistorius al quale auguro di raggiungere ogni suo obiettivo, mi limito ad osservare quanto sia difficile stabilire l’equità tra chi corre con le proprie gambe e chi con due protesi. Ben venga quindi l’integrazione e l’enfasi di un caso come il suo ma un pizzico di attenzione e in più e una buona dose di superficialità in meno da parte dei media non guasterebbero”.
Previsioni per gli arcieri azzurri a Londra?
“Siamo una squadra sana e un bel gruppo. Se sapremo utilizzare al meglio quest’ultimo periodo prima della partenza per Londra sono certo che sapremo regalare e regalarci belle soddisfazioni. Oltre ai soliti noti,  nel panorama mondiale è certo che si riveleranno nuovi atleti ma noi partiamo armati di tranquillità e ottimismo”.
Un invito ai giovani con disabilità dal portabandiera della nazionale italiana alle Paralimpiadi di Londra.
“Io spero che ogni giovane con disabilità vedendo le gare delle diverse discipline a Londra o in TV possa capire che se ce l’abbiamo fatta noi può farcela chiunque. Lo sport è un mezzo fantastico per trovare le proprie abilità nascoste. Dopo una malattia o un incidente avvicinarsi ad una disciplina sportiva è il modo migliore per rinascere tornando ad essere parte integrante e risorsa per la società. Ecco, sfilando a Londra con in mano il tricolore voglio dire ai miei giovani connazionali con ogni disabilità che attraverso lo sport si ritorna a vivere”.

Questi gli arcieri azzurri agli ordini del CT Marco Pedrazzi e dei suoi collaboratori Renato De Min e Willy Fuchsova: Alberto Simonelli e Giampaolo Cancelli (Compound), Fabio Luca Azzolini e Gabriele Ferrandi (B1), Elisabetta Mijno, Mariangela Perna e Veronica Floreno (Donne), Oscar De Pellegrin e Vittorio Bartoli (Carrozzine).

R.B.