“Io non mi fermo” è il titolo di un libro scritto nel 2004 da Fabrizio Macchi con Pietro Cabras.Otto anni dopo è un titolo che il corridore paralimpico varesino rispolvera dandogli un altro significato. Alla vigilia della partenza per la sua quarta Paralimpiade, a causa di una inchiesta della Procura Antidpoing del CONI che gli contesta la frequentazione con il Dott. Michele Ferrari dal 2007 al 2010, la Federazione Ciclistica Italiana lo ha sospeso dall’attività per otto mesi. Una decisione definitiva è fissata per il prossimo 5 ottobre. Il suo sito ufficiale è fermo al 26 luglio, giorno del suo quarantaduesimo compleanno. Un mese dopo era nel negozio del fido meccanico Roberto Pavarin. Due bici e una serie di ruote impacchettate e imballate per bene da spedire a Londra. Quarta paralimpiadi, obiettivo minimo una medaglia per riscattare Pechino 2008. Una telefonata e tutto svanisce ancor prima di cominciare.
“La mia quarta Paralimpiade l’ho vista in tv – attacca Macchi – Ho visto tutto ciò che è stato trasmesso dei miei compagni. In particolare le gare su pista dove vantavo ottimi tempi e perché dai miei avversari più quotati ho ricevuto messaggi di solidarietà  per quanto mi è successo. Inoltre ero in continuo contatto con Andrea Tarlao cercando come potevo di essergli d’aiuto. Andrea è un corridore molto forte ma nelle occasioni più importanti e facile perdersi per inesperienza ed emozione ed io ne so qualcosa. I mancati successi in pista potevano demoralizzare il gruppo che invece ha saputo riprendersi alla grande trionfando sulla strada con il filotto di vittorie e podi di Zanardi, Podestà, Bargna, Farroni, Pittacolo, i fratelli Pizzi e la Fenocchio”.
Dopo ogni medaglia le prime dichiarazioni dei tuoi compagni in azzurro e del Team Barilla erano per “Macchi e Addesi che dovrebbero essere qui con noi ed invece stanno soffrendo a casa”. Ad una precisa domanda sui due “sospesi” il CT Valentini , cosa inusuale per lui, si è bloccato con un nodo in gola e gli occhi lucidi.
“Con Zanardi, Podestà e Valentini ci siamo sentiti ogni giorno. Il rapporto con tutti i componenti della squadra era ed è rimasto ottimo. Ad Alex ho parlato di handbike già nel 2007 quando gli dissi che tra tutte le emozioni che certamente aveva provato nella sua vita quella paralimpica non poteva mancargli. Il suo incontro con Vittorio “Wikipedia” Podestà  ha fatto il resto. Da questo amicizia è nato il Barilla Blù Team e il sogno Londra da condividere. Una condivisione concretizzata solo per due terzi e quindi incompleta”.
Nella tua vita hai vissuto tante attese e vigilie, anche drammatiche. In questa occasione per te nuova e particolare cosa stai scoprendo?
“Non avevo bisogno di vivere questo momento per sapere che quando le cose vanno male lo scenario intorno a te può riservarti amare sorprese, in termini di rapporti umani, che puntualmente ho avuto. Improvvisi raffreddamenti che mi sono utili a far pulizia di pseudo amicizie e scorie di altro genere. Al tempo stesso sono rimasto sorpreso dalla reazione della gente e dei cicloturisti che incontro e mi fermano ogni giorno per una foto o una parola di incoraggiamento. Forse perché sono quelli che vedono la vita che faccio e l’impegno che metto per raggiungere certi risultati. Ma la vera difficoltà che sto vivendo è quella di ritrovarmi per la prima volta in vita mia a non poter decidere di me stesso. Messo con le spalle al muro, privato da ciò che rappresenta il mio lavoro da una decisione “etico-morale” last minute” .
Il Presidente federale Renato Di Rocco ha tuonato contro alcuni media sportivi nazionali che hanno titolato i pezzi su Macchi e Addesi con la parola “doping”.
“Una presa di posizione del Presidente Di Rocco era auspicabile e mi ha fatto ovviamente piacere. Il problema di Addesi è una precauzioni per la tutela della sua salute. Io non sono mai risultato positivo ai ripetuti esami antidoping e ho il passaporto biologico perfetto. Chi ha accostato il mio nome al caso di Alex Schwazer e al doping, al momento opportuno ne dovrà rispondere”.
Hai sempre ammesso di avere un carattere non facile. Pensi che in tutta questa storia abbia pesato e stia pesando anche quello?
“Può essere. Il mio caratteraccio mi ha salvato la vita e mi ha aiutato a crescere e a diventare Fabrizio Macchi, padre di famiglia e atleta con pregi e difetti. Al tempo stesso penso di aver contribuito a far crescere il movimento paralimpico per visibilità e considerazione. Nel 2000 eravamo tre corridori disabili, ci dovevamo pagare ogni cosa e non ci filava nessuno. In quegli anni pretendevo di essere visto come un atleta e non come un ciclista senza una gamba. Questa “pretesa” bastò ad appiccicarmi l’etichetta del montato e del presuntuoso. Oggi i corridori paralimpici sono considerati atleti, sono tesserati della Federazione Ciclistica Italiana, nei Gruppi Sportivi  Militari, sono convocati per ritiri e raduni, gareggiano in giro per il mondo con le stesse divise dei normo e nelle ultime due Paralimpiadi hanno conquistato 17 medaglie. Posso pensare che a questo radicale cambiamento può aver dato il suo contributo anche quel rompiscatole di Fabrizio Macchi?”
La decisione che ti riguarda verrà presa il prossimo 5 ottobre. Di notte dormi tranquillo?
“Purtroppo no. Giorno e notte penso che mi è stato tolto un sogno che nessuno potrà mai restituirmi. Ma io non mi fermo…”.

RB