Dario Andriotto, ciclista con un glorioso passato da professionista che ha collezionato il titolo italiano a cronometro nella categoria Elite nel 1997 e tre vittorie al Gran Premio d’Europa, attualmente è dedito al cicloturismo e sarà protagonista domani al 13° memorial Trofeo Foghinazzi – Pedala con Dario Andriotto.
Come è nata questa pedalata?
“L’idea è nata per caso. Da alcuni anni oramai mi occupo di abbiagliamento da ciclismo personalizzato e la mia azienda ha creato la maglia del 40° anniversario del Gruppo Sportivo Berti Cicli Botteon. Ho conosciuto il  presidente Martinoli e da lì è iniziato tutto”.
È come un rimetterti in gioco per te?
“Oltre alla parte agonistica che arriva fino al professionismo, il ciclismo è anche cicloturismo. L’attività agonistica è rivolta ai ragazzi, l’altra per chi invece ha voglia di divertirsi, di passeggiare, di godersi il panorama. Dopo tanti anni di sacrifici nel mondo professionistico mi godo il puro e semplice andare in bicicletta”.
Cosa ti affascina del cicloturismo?
“Sono dell’idea che la bici sia un mezzo di rilassamento e invito tutti a provare questo tipo di esperienza. È davvero rivolta a tutti, ai bambini come ai grandi. È allo stesso tempo relax e divertimento. Domenica spero che ci sia una buona partecipazione per divertirci tutti insieme. Sana domenica divertimento. ”.
Ripensando alla tua carriera e alle tue vittorie cosa ti senti di dire ai ragazzi che sognano di diventare dei pro?
“Li invito a provarci e a lavorare duramente perché dal ciclismo si impara tanto, non solo sul mondo dello sport, ma sulla vita in generale. Si inizia dai 7/8 anni a fare agonismo fino a 17, momento in cui o si è pronti o non lo si è”.
Di cosa ti occupi attualmente?
“Oltre al mio lavoro sto dando una mano al mio ex collega di sella Andrea Oldani che ha fondato la squadra Pro Bike Junior. Due volte a settimana sono al velodromo di Busto Garolfo dove trasmetto un po’ della mia esperienza ai ragazzi”.
Stai seguendo il Tour de France?
“In tv non mi perdo una tappa. Siamo solo all’inizio e come solito le gare sono un po’ nevrotiche perché le prime sono abbastanza abbordabili a tutti e quindi tutti vogliono emergere, farsi vedere, per questo corrono rischi e assistiamo a cadute. Si tratta di una vetrina non indifferente che i ciclisti vogliono sfruttare. È la corsa più affascinante di tutte”.
Il Giro Donne invece?
“Purtroppo l’ho seguito di meno ma posso dire che le due ‘nostre’ atlete hanno grandi doto. Noemi Cantele ha grandi qualità e merita di aggiudicarsi una tappa. Per Valentina Carretta invece è un’occasione per mettersi in luce”.

Elisa Cascioli