In Comense, anno dopo anno, Chicca Macchi si trasforma in una delle migliori giocatrici italiane. Forse, la meglio in assoluto.

Una “notiziola” del genere non può non destare interesse anche negli USA e, conseguenza naturale, la WNBA inizia a seguire con attenzione la ragazza di Avigno, fino a che…
“Fino a che – racconta Chicca -, dopo tante voci, alcune notizie di stampa e altre confidenziali, una domenica, anzi, una bellissima domenica della primavera 2004 poco prima di una partita casalinga, mentre facciamo riscaldamento, fa il suo ingresso in palestra a Casnate un uomo di colore dal fisico longilineo e imponente. Tutto il pubblico rumoreggia, lancia degli “Oooohh” di ammirazione e in cerca di “selfie” o autografi, si avvicina all’uomo in questione che è nientemeno che Michael “Coop” Cooper, ex- stella dei Los Angeles Lakers insieme a Jabbar, Magic Johnson, Worthy e soci nonché, in quel periodo, head-coach delle Los Angeles Sparks (che significa, appunto, Scintille ndr) in WNBA. Cooper, un monumento del basket mondiale e personaggio famosissimo, è presente nella nostra palestra per vedere la sottoscritta e Raffaella Masciadri e consegnarmi la canottiera ufficiale con numero 5 delle Sparks e un contratto biennale garantito con la mia futura squadra con cui debutterò tra le professioniste americane. Incredibile”.

Perché incredibile?
“Semplicemente perché non avevo pensato, nemmeno per un minuto, ad una simile opportunità. Anzi, se devo essere sincera, a tutti coloro che già da qualche mese mi parlavano di questa possibilità rispondevo ironicamente: “Ma hai bevuto, per caso? E cosa andrei a fare io in WNBA?” Invece, evidentemente, il mio modo di stare in campo piace anche agli americani e a fine maggio del 2004, rigorosamente dopo il mio compleanno, prendo l’aereo e atterro a L.A.”.

Impatto?
“Impatto di vita? Assolutamente favoloso perché, come puoi ben immaginare, nella vita c’è di peggio, molto peggio, che abitare a due passi da Venice Beach, girare per Los Angeles e addormentarsi la sera guardando uno spettacolare tramonto sull’Oceano Pacifico. Invece, l’impatto con il mondo della pallacanestro è a dir poco traumatico. Infatti, fin dal primo allenamento faccio conoscenza con qualcosa di cui avevo solo sentito parlare: il razzismo al contrario. Le giocatrici afroamericane, infatti, che in tutte le squadre WNBA rappresentano la stragrande maggioranza, adottano qualsiasi comportamento lecito, ma più spesso “non lecito”, per mettere in difficoltà tutte le altre. Le prime settimane non sono proprio facilissime, ma per fortuna ad un certo punto interviene in nostra difesa Lisla Leslie, capitana della squadra e giocatrice tra le più importanti (il record di 101 punti segnati in una singola partita all’High School, come suona?? Ndr), riconosciute, apprezzate e rispettate non solo nelle Sparks, ma in tutto il panorama cestistico a stelle e strisce. Lisa, che aveva giocato in Italia, ad Alcamo, parlava ancora un fluente e gradevole italo-siculo e ricordava con piacere l’esperienza umana fatta nel nostro paese chiama a raccolta le “Sisters” dicendo loro che l’ostracismo è durato fin troppo. Da quel momento in poi l’atmosfera si rasserena e anch’io posso finalmente sentirmi parte di quel mondo magico che da ragazzina avevo sognato almeno un miliardo di volte”.

Dal punto di vista strettamente agonistico come si concretizza quel sogno?
“Con due stagioni nelle Sparks con cui gioco 38 partite (25+13), segno 215 punti (152+63) e metto via un’esperienza tecnica e fisico-atletica di enorme rilievo per la mia carriera perché il livello di competizione e di “fame” per il successo con cui ci si misura tra le professioniste USA trova un paragone più o meno simile solo agli altissime livelli della nostra Eurolega”.

 

Fine della quinta puntata: to be continued… 

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– PARTE 3
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Massimo Turconi