In principio fu il Gioco. Entusiasmante, coinvolgente, stimolante e, soprattutto, semplice. Forse troppo. Talmente facile da apprendere che ha creato legioni di sapienti o presunti tali. Ma andiamo con ordine. Mettete un bel campo verde di dimensioni adeguate, con linee bianche in evidenza, ove due gruppi di esseri umani dai 5 ai 90 anni, abbigliati in modo diverso, rincorrono una sfera – di pezza, cuoio, gomma od altro materiale idoneo – con lo scopo di depositarla, utilizzando ogni parte del corpo tranne gli arti superiori,   dietro una linea custodita da due pali verticali, uniti, in alto, da un palo orizzontale ed una rete di contenimento, spesso detonatore, nel bene e nel male, per masse di tifosi. I partecipanti hanno libero accesso ad ogni zona del campo, è fatto divieto ad azioni violente e solo due di loro possiedono la licenza per gestire il pallone con le mani entro due aree protette, quasi fossero specie in via di estinzione. A grandi linee, è tutto qui. Si chiama Gioco del Calcio. E fin qui, tutto bene. E’ troppo bello giocare al pallone. Godi e respiri libertà. Longilineo o brevilineo, in forma o un poco sovrappeso, chiunque trova un ruolo e recita una parte. Aveva ragione Giorgio Gaber, la libertà è partecipazione. Se è vero che lo sport include il movimento, non è altrettanto vero che il movimento includa lo sport, almeno in termini concettuali. E’ un luogo comune affermare che lo sport faccia bene, al contrario, è raro sentir dire che a far bene sia il movimento. Gli schemi motori di base sono la grammatica per costruire la frase sportiva, il codice genetico dello Sport, ma non è altrettanto vero che imparando a fare uno sport specifico si sia poi in grado di eseguire qualunque tipo di movimento. In parallelo, è follia pensare che sia sufficiente osservare i movimenti dei grandi calciatori per essere in grado di riprodurli. Così come è da codice penale dissertare di calcio in età scolare semplicemente perché, al giovedi, si gioca a calcetto con gli amici. Ed ecco la vexata quaestio. Truppe di maniaci si aggirano per campi, Società Sportive, gruppi organizzati, predicando l’arte della vittoria a tutti i costi. Poco importa se si fa tabula rasa dei principi educativi. Conti solo se vinci. Un tempo i suddetti pazzoidi si limitavano a sproloquiare, con la birra in mano, in zone delimitate, tra i loro simili, nel nome dell’ardore della cieca fede nella Vittoria, la migliore credenziale per un boia. Ai giorni nostri, i famigerati “social” diventano i megafoni, le telecamere ed i palcoscenici  di codesti despoti dello sport, i quali, tra cuoricini, bacini, mipiace, non perdono occasione per mostrare un machismo da sottoscala. Il Calcio è un gioco straordinario perché non sempre vincono i migliori. Il caso, l’episodio, il fato, il dettaglio, fanno la differenza tra l’Inferno o il Paradiso. Diceva un grande allenatore “posso anche arrivare ultimo, ma se ho ottenuto il massimo dai miei giocatori, ho vinto”. Eh sì. Belle parole, trasudano educazione allo sport. Ma sono accettate solo in piccole enclave ove la didattica è ancora la Musa di riferimento. Un greco dei giorni nostri, un remoto discendente di Odisseo, ha scritto una frase bellissima su di uno scrostato muro dell’ Atene di oggi: “Unica patria, i nostri anni di infanzia”. Già, l’infanzia. Un periodo della vita delicato, incantato, stupefacente, da tutelare in ogni modo. L’infanzia è la crisalide ove prende forma il futuro individuo. Non c’è spazio per Capitan Uncino e la sua banda di pirati sugli spalti, a volte travestiti da genitori esagitati, oppure pseudo allenatori alienati, od ancora dirigenti bonsai che si credono padreterni. Se ne dicono e scrivono di tutti i colori, dal Calcio che è  metafora della vita e riscatto sociale, al Football come cassaforte di emozioni e via di questo passo. Ma l’alba di ogni dribbling, assist, tiro in porta, parata, goal, risiede proprio nella costruzione del movimento, sia esso riflesso, volontario, automatizzato. Lo si definisce attività muscolare che si realizza nel mantenimento di una postura, dell’equilibrio e nello spostamento del corpo o di sue parti. La regia è del Sistema Nervoso che svolge, in breve tempo, tutta una serie di operazioni. Come si dice, nessuno nasce “imparato” e l’apprendimento motorio è quel processo che permette di acquisire, perfezionare ed utilizzare le abilità motorie. Breve vademecum per gli urlatori professionisti, fenomeni da videogioco. Le modalità di apprendimento sono diverse, variegate ed utilizzabili in base all’età ed  al tipo di sport praticato. Si impara per imitazione, riproducendo un’abilità motoria rifacendosi ad un modello; per prove ed errori, favorendo la strategia che porta alla soluzione del problema (quindi, amici, ululare “tiraaaa, passaaa, ma svegliatiii, ecc ecc serve a nulla…); per intuizione, risolvendo il problema motorio utilizzando informazioni, ricordi ed emozioni; per comprensione, utilizzando le esperienze precedenti per costruire la soluzione di un problema motorio. E’, dunque,  sempre più evidente come, in età scolare, la capacità di gestire la fase di apprendimento da parte dell’operatore sia autostrada per una corretta costruzione motoria. “Ma sì, sono bambini, basta farli giocare…”. Frasi come questa sono sempre più sulla bocca di chi dovrebbe tacere e rispettare i ruoli che la vita ha assegnato. Vi sono percorsi di formazione resi obbligatori dalla coscienza educativa di ognuno. Non si può né si deve improvvisare.  E’ proprio perché sono bambini che DEVONO giocare. E, proprio perché sono bambini, hanno il diritto di essere gestiti da “Insegnanti” e non da “Manovali” capaci di crogiolarsi al sole della vittoria ottenuta dagli allievi già motoriamente dotati. Per otto bambini “ironmen”, ve ne sono almeno 10 che hanno abbandonato l’attività sportiva per una sorta di mobbing educativo perpetrato dallo pseudo allenatore di turno. Recita una nota pubblicità, ti piace vincere facile? Ecco. Più complicato, se sei semplicemente chiacchiere e distintivo, è gestire un gruppo di bimbi con capacità e qualità diversificate, fornendo a tutti le medesime possibilità, utilizzando i migliori per far crescere i compagni più in difficoltà ed, allo stesso tempo, trovando gli spazi ed i tempi per gratificare, come meritano, gli allievi più dotati. Nei vari convegni ci riempiamo la bocca di alti concetti, poi i campi o le palestre del sabato pomeriggio si trasformano in sfide all’Ok Corral, con mutazioni genetiche di genitori mannari ed alterazioni mentali di “allenatori” da Nono Cerchio dell’Inferno. Io sto con Pasolini: in un mondo di vincitori volgari e disonesti, di opportunisti e prevaricatori, di usurpatori di sogni e di futuro, preferisco di gran lunga chi perde. E mi riconcilia col mio sacro poco.

Marco Caccianiga Coordinatore Tecnico Provinciale CONI Varese