Spacciato, ecco come pare il Calcio Varese dopo l’ennesimo rinvio dell’udienza fallimentare. La parola fine potrebbe essere scritta giovedì prossimo,  8 agosto, con l’udienza fissata alle ore 12. Dopo tre rinvii è probababile che non ce ne siano altri. Quello odierno è dovuto alle istanze presentate dei giocatori dell’ultima annata in Serie D che sono tutti rappresentati dall’avvocato Nicola Paolin. Il legale dell’Assocalciatori, che abbiamo incontrato tra i corridoi del Tribunale di Varese, ha presentato 14 istanze di fallimento, tanti sono i giocatori che hanno atteso invano i loro rimborsi spese.
Quattordici istanze si sono aggiunte a quelle di Banfi, Vescusio e Orlandi che sono quelle dei calciatori i quali hanno le sentenze dei loro crediti già passate in giudicato.

Il Varese, che pare fosse riuscito a trovare l’accordo economico con gli ex lavoratori della passata stagione, dovrà quindi intavolare anche un discorso con gli ex del passato ai quali deve un totale di circa 200mila euro. Cosa deve fare per non fallire? “Pagare i debiti – risponde l’avv. Paolini – o quantomeno trovare una soluzione transativa. Ma i miei assistiti hanno aspettato anche troppo. Un anno fa abbiamo accettato la transazione che ci è stata proposta da Berni, uno schema di pagamenti che non è stato mai rispettato. E’ saltata anche la prima tranche, quella del 30 settembre scorso e non abbiamo mai ricevuto una chiamata, neanche per sentirci dire che il pagamento non sarebbe arrivato”.

Nonostante tutto, gli ex biancorossi hanno voluto attendere le scadenze obbligatorie che avrebbero dovuto mettere il Varese con le spalle al muro (punti di penalizzazione e poi iscrizione al prossimo campionato), ma il club presieduto da Benecchi non ha fatto nulla se non annunciare un falso saldo delle vertenze che in verità non si è mai verificato. “Abbiamo atteso ulteriormente sperando che il club riuscisse a iscriversi e quindi a pagare i debiti coi vecchi tesserati. Dopodiché non ci è rimasta altra scelta, il fallimento era l’ultima cosa che volevamo, tant’é che ci siamo presentati per ultimi. Non abbiamo mai messo un muro, abbiamo aspettato invano che qualcuno si facesse vivo”.
Nel caso in cui la società fallisse “avremmo il credito privilegiato che hanno i lavoratori rispetto, ad esempio, ai fornitori. Non c’è un criterio temporale bensì di qualità del credito” spiega.
“Benecchi si è fatto sentire nel gennaio scorso, poi nessuno ci ha mai più contattato” conclude.

In caso di fallimento Benecchi potrebbe non essere il solo a subire ripercussioni. Questo in base all’estensione del fallimento anche ai “soci occulti”, ovvero a quelle figure che, pur senza alcun incarico, hanno svolto attività di gestione in maniera continuativa con autonomia decisionale, funzioni operati e di rappresentanza; una strada che comunque dipenderà eventualmente dal curatore fallimentare.

Elisa Cascioli