Siamo stati a Palermo a trovare Vincenzo Di Giovanni, classe 1955, arrivato a Varese nel ‘79 dopo essere stato a Genova, Trento e Latina. Ecco cosa ci ha raccontato.

Perché Varese ti è rimasta nel cuore?
“I primi mesi non mi sono trovato tanto bene ma col tempo mi sono ambientato. Pian piano mi sono fatto conoscere e quando, dopo 20 anni, sono ritornato per i festeggiamenti del centenario del Varese Calcio mi sono reso conto che la gente ancora si ricordava di me. In tanti mi hanno fermato per strada in quei giorni e mi ha fatto un immenso piacere, è stato bello, vuol dire che ho lasciato qualcosa”.

Parlando di quel Varese-Lazio 3-2…
“Secondo me c’era qualcosa di strano già dai primi anni, sembravamo una squadra dell’oratorio, era un altro tipo di calcio. Il vicepresidente non si vedeva mai. Fascetti neanche lui sapeva certe cose perché alla volte si fanno alcune cose tra allenatori, giocatori e società, bisogna anche dire che la maggior parte erano tutti giovani e molti sono stati furbi. Dopo di merito Marotta ha fatto una bella carriera”.

Dopo Varese sei andato a Trieste dove hai chiuso la carriera un po’ in anticipo…
“Dovevo stare fermo per curare il ginocchio e tra punture e il resto ho giocato un mese e mezzo ma alla fine non potevo continuare e a 34 anni ho dovuto fermarmi”.

Poi cosa hai fatto nel mondo del calcio?
“Mi sono trovato bene i primi due anni a Trieste, poi c’era qualcosa e qualcuno che mi dava fastidio in ambito calcistico. C’era un allenatore, Ferrari, un po’ debolino, che secondo me ascoltava troppo gli amici vicini.
Successivamente ho deciso di tornare a Palermo. Ho fatto un po’ di scuola calcio ma anche lì certe cose non mi andavano bene e io sono una persona che se vuole fare una cosa la deve fare bene. Ora ho aperto un locale che si chiama ‘Cala Cala’ vendiamo vini e souvenir”.

Che effetto ti fa sapere che il Varese è dovuto ripartire dalla Terza Categoria?
“Mi chiedo come mai con tutte le industrie e gli imprenditori del Varesotto, nessuno è riuscito a prendere e a fare una squadra. Il calcio da un po’ di tempo è cambiato. Non c’è più il presidente che tira fuori i soldi , c’è il presidente che deve mettere i soldi. Adesso vedo che non c’è neanche più fantasia nei giocatori”.

m.m.