All’allenatore di calcio di settore giovanile è una figura poliedrica, al quale si chiede di sintetizzare differenti profili e competenze. Deve unire i tratti dell’educatore, quelli dell’animatore e organizzatore e, ovviamente, possedere e aggiornare in continuazione le proprie competenze tecniche. Conosciamo oggi Cosimo Bufano, allenatore di settore giovanile che ha dedicato e sta dedicando la sua attività ai più giovani, in particolare alla fascia di età che comprende i giovani atleti dai 5 ai 12 anni.

Come e quando ha inizio il suo percorso di allenatore di settore giovanile?
“Ho smesso di giocare a 18 anni, nel Battipaglia e, in quella società, parallelamente ai miei studi Isef a Napoli, ho cominciato il mio percorso di allenatore”.

Da Battipaglia alla scuola calcio del Varese, come è avvenuto il suo approdo ai colori biancorossi?
“La mia professione di insegnante di educazione fisica e di sostegno mi ha portato a trasferirmi a Gallarate. Sono trascorsi tredici anni da quando mi sono presentato davanti ai cancelli dello stadio di Varese e ho potuto iniziare la mia esperienza svolta sempre all’interno dell’attività di base”.

Cosa ha rappresentato per lei l’esperienza vissuta al Varese?
“Il Varese lo porto nel cuore, esperienze, professionalità e incontri di persone che mi hanno arricchito. Le continue difficoltà nelle quali si è chiamati a operare sono state per me fattore di crescita umana e professionale, perché proprio dover continuamente fronteggiare e risolvere situazioni problematiche rappresenta una delle forze insite del Varese che permettono di creare un ambiente collaborativo e familiare. Con i colori biancorossi ho avuto occasione di fare molteplici esperienze, tra le quali il Coordinatore dell’intera attività di base, ruolo molto impegnativo, nel quale insieme ai miei collaboratori, Florio e Fumagalli, siamo riusciti, da una situazione che doveva rinascere sulle ceneri di un fallimento, a ottenere nell’arco di due stagione il riconoscimento di Scuola calcio élite”.

Quali sono i cardini sui quali costruire l’attività calcistica di base?
“Il valore educativo è trasversale e prioritario in tutte le fasce di età, dall’attività di base, bambini dai 5 anni ai ragazzini di 12 anni, alle categoria del settore agonistico. Bisogna essere bravi a dare ai bambini il contesto adeguato nel quale esprimersi e giocare a calcio. Nella scuola l’attività motoria ha una base ludica, in una società professionistica o semi professionistica è volta a creare una mentalità. L’ideale è riconoscere e differenziare i livelli con programmi adeguati che permettano al bambino di divertirsi e migliorare offrendogli una proposta e delle richieste appropriate alle sue capacità”.

Come gestisce l’accompagnamento del bambino e della famiglia alla consapevolezza del proprio livello calcistico quando non è quello richiesto?
“Attraverso schede tecniche che permettono di tracciare il profilo del bambino e con attività di orientamento verso altre realtà del territorio nel quale il bambino può trovare l’ambiente adeguato che per continuare a divertirsi. Tale attività io la comincio a fare dall’ultimo anno della categoria Pulcini”.

Quali caratteristiche deve avere l’allenatore di settore giovanile, in particolare colui che opera nell’attività di base?
“Non è un ruolo facile perché bisogna gestire il bambino a 360°, comprese le famiglie. L’esperienza conta molto, poi bisogna studiare e cogliere tutte le occasioni di confronto. Il profilo richiede competenze tecniche, comunicative, relazioni, oltre alla passione, all’emotività e anche una certa predisposizione. Diciamo che per formarsi ci vuole almeno un decennio passato sul campo accompagnato e seguito dai continui aggiornamenti. Bisogna essere consapevoli che la stessa ricetta non va bene per tutti. È un ruolo difficile che andrebbe rivalutato”.

Nel corso della sua pluriennale esperienza, quali sono i cambiamenti più rilevanti che ha potuto notare nei bambini?
“Le differenze determinanti sono quelle di carattere culturale che formano l’atteggiamento e il modo di porsi di fronte all’attività da parte del bambino. Fondamentale risulta essere il contesto familiare, è quello che forgia, più di ogni altra situazione, il profilo  del bambino. Per i bambini lo sport è prezioso, è un’occasione per liberarsi, alleggerirsi e avere la possibilità di accrescere la fiducia in se stessi”.

Come imposta il rapporto con le famiglie?
“La famiglia è il valore aggiunto, le attività che si fanno sono possibili grazie all’apporto delle famiglie. Accompagnare il proprio figlio alle partite e ai tornei è un modo di vivere la famiglia. Bisogna riconoscere il ruolo del genitore e, nel rispetto dei ruoli, favorirne il coinvolgimento in quella che è l’attività sportiva del figlio. Io lo faccio attraverso incontri, colloqui individuali e la realizzazione di un codice etico. L’esperienza ti aiuta a comprendere che il genitore cerca di favorire il proprio figlio, questo aspetto va gestito con la chiarezza dei rapporti e quando c’è un problema bisogna affrontarlo subito. Quando poi, un genitore non condivide il modo di operare, allora è giusto che le strade si dividano”.

Da poco tempo ha iniziato una nuova esperienza a Lugano, qual è il suo compito e quale lo stato d’animo?
“Seguo una squadra di bambini del 2009. Ho approcciato alla nuova esperienza con molta umiltà, com’è nel mio stile, e con la voglia di mettermi alla prova in un ambiente molto ambizioso come quello di Lugano. Le prime impressioni sono buone, c’è una grossa differenza rispetto all’Italia in termini di budget, strutture e organizzazione delle persone coinvolte. C’è molta attenzione alla formazione degli istruttori ai quali è richiesto un profilo di respiro internazionale. Sono contento, mi sto ambientando, e a piccoli passi voglio continuare a crescere”.

 Marco Gasparotto