Meglio farsene una ragione. E’ la Pro Patria la squadra da battere. Perché quattro giornate (e 10 punti) posson davvero bastare per mandare a stendere la diplomazia. Ok, qualcuno toccherà ferro (o affini), altri invocheranno prudenza. Ma certi valori emergono subito. E sono visibili agli occhi per quanto essenziali. Soprattutto quando si portano a casa tre punti come quelli di Grumello. Faticando sino all’ultimo, trovando solo a tratti il proprio gioco migliore, sfruttando con mestiere uno sfondone altrui. Tutti marchi di fabbrica di chi sa come si vince. Per ora le partite. Domani (chissà), forse anche il campionato.

La classifica (intanto) dice già tutto. Biancoblu e Rezzato davanti, di dietro tutti quanti. In senso stretto di classifica e in senso più ampio di valori in gioco. Le altre inseguono. Compreso chi (Crema?) probabilmente alla lunga tornerà in corsa. La sosta tigrotta di domenica prossima finirà col rimescolare le carte. Ma sarà pura contingenza. Appianata solo quando tutte avranno osservato il turno di riposo.

Facendo un passo indietro allo 0-1 in Valcalepio (a proposito, quinto centro in tre gare e mezzo di Santana), Melosi nel post gara ha fornito chiavi di lettura ruvide ma efficacissime. La Pro Patria? “La mia favorita. E non lo dico da oggi”. Pettarin? “Pochi hanno un mediano come lui”. Gazo? “Un cane. L’ho avuto a Varese. So quanto è importante”. Disabato? “Fastidioso”. Già perche anche lui, come Delpiano del Lecco (con Cavalli) e Nicolini della Romanese (con Trovesi) ha sacrificato un uomo (nello specifico Pozzoni) per limitare (con successi alterni) la partita dell’ex Pro Vercelli. Dido sposta e condiziona i match prima ancora di giocarli. Farina del suo sacco. E di quello tattico di Javorcic, s’intende.

L’anno scorso di questi tempi la Pro Patria aveva la metà dei punti (5), vinto una sola gara (Lecco), perso in casa un confronto diretto (Monza) e già mostrato equilibri ambientali instabili tendenti al molto mossi (Caravaggio e l’arte di educare la tifoseria). Il tempo non passa mai per caso.

Giovanni Castiglioni