Da un lato la passione, quella per il calcio, dall’altro il sogno di aiutare le persone meno fortunate. Sono le due componenti indispensabili per comprendere la storia che stiamo per raccontarvi. Miscela perfetta di amore, gioia e speranza. Anche se per farlo bisognerebbe viaggiare in due dimensioni. Nello spazio e nel tempo. Mappamondo alla mano spostiamoci dall’Italia verso destra fino ad incontrare il sudest asiatico. Ora tiriamo indietro le lancette e muoviamoci a ritroso nel calendario per ritornare al 1988. Anno in cui Giuseppe Martegani, tradatese doc oggi allenatore delle giovanili dell’Auckland City, sceglie di abbandonare la patria. Direzione: Calcutta, India.

VOLONTARIATO CON MADRE TERESA –Fu una scelta molto importante. Già qui a Tradate quando ero molto giovane svolgevo delle attività di volontariato. Dunque quell’anno armato di coraggio lasciai l’Italia per dirigermi in India con lo scopo di aiutare come volontario i malati terminali presso l’ospedale che li accoglieva a Calcutta. Penso che quella sia stata una delle esperienze, se non l’esperienza, che mi abbia maggiormente segnato nel corso della mia vita” Ed è proprio là che Beppe incontra una donna che in qualche modo lo illumina. Santa Teresa di Calcutta. O più semplicemente, Madre Teresa. “Incontrarla è stata un’emozione speciale – racconta Beppe –. Ricordo che io ed una collega eravamo seduti in una piccola stanza. Lei è arrivata e si è seduta di fronte a noi per fare due chiacchere. Fino a quel momento la conoscevo solamente per la sua fama, ma guardarla negli occhi mi ha fatto comprendere a pieno la ragione della sua celebrità. Era molto umile, disponibile, ma con un grande carisma. Insomma sembrava una vera santa”.

CALCIO E SPERANZA – Che sia stato quel particolare incontro. Oppure chissà… Terminata la sua trimestrale permanenza in India Beppe si sposta in Nuova Zelanda, non prima di aver terminato i propri studi di yoga in Malesia. Ad Auckland, capitale neozelandese, diventa insegnante di calcio, sport fondamentale per questa storia, e nel 2009 fonda un’associazione ONLUS che prende il nome di Brighten Foundation, che presto avrà anche una base in Italia. “Il nostro scopo è quello di offrire programmi di cinque giorni circa per favorire lo sviluppo e la crescita dei ragazzi con giochi di cooperazione, problem solving. L’idea è nata per offrire dei programmi, inizialmente non ufficiali, nel sudest asiatico per i bambini orfani. Inizialmente non erano collegati al calcio. Offriamo molti momenti di aggregazione sociale”.

BEL CALCIO – A fare da collante del suo percorso esistenziale c’è sicuramente la spasmodica passione per il calcio. “Sono cresciuto negli anni di grandi campioni come Michel Platini e Diego Armando Maradona – racconta Beppe –. Calciatori molto dotati tecnicamente. Dunque non posso che adorare la giocoleria con la palla, perché il calcio a mio modo di vedere è basato sulla tecnica. Ora, mi rendo conto che questo sport è cambiato. Si gioca molto più veloce e non sempre ci si può permettere di perdersi in gesti tecnici troppo sofisticati. Ai ragazzi mi piace insegnare la tecnica. Perciò sono affezionato al Barcellona – con il quale ha collaborato – e mi ispiro a Guardiola”.

Il suo progetto Football for Hope l’ha portato nei luoghi più remoti del globo. Prossima tappa Myanmar, Birmania. Dove Beppe tornerà con la sua fondazione nel mese di novembre insieme ad amici tradatesi che hanno scelto di condividere il suo progetto. “In Thailandia c’è una zona di confine con il Myanmar dove abbiamo svolto il primo programma ufficiale. Lì c’è una ONLUS che si occupa di centinaia di orfani. Quel primo programma ebbe un grande impatto e anche dei grossi benefici. Un bambino un giorno mi confessò che quello era il giorno più bello della sua vita perché partecipando al programma aveva evitato la violenza di suo padre che per una volta non lo aveva picchiato. Lo ricorderò per sempre”.

Alessio Colombo