L’ultima intervista seria, corposa, dettagliata, quasi sedici anni fa. Era il gennaio 2001 e il Direttore di Super Basket mi chiese un lungo resoconto sull’uscita di scena di Toto Bulgheroni, uno degli uomini più importanti del basket italiano. Nel suo studio di Induno Olona, in una gelida, ma luminosissima giornata di gennaio Toto, forse cogliendo il senso del suo vero addio, rovesciò idealmente sulla scrivania vent’anni di ricordi. Due decadi pieni di gioia e amarezza, momenti delicati e furenti, felicità e dolore, certezze e dubbi, compiacimenti e rimpianti. Un’umanissima, bella, confessione conclusa con un momento degno del Libro delle Ecclesiaste: “Il mio tempo nella pallacanestro è finito”.

“Quel tempo”, per oltre quindici anni, è rimasto immobile. Sospeso. Con Toto che ha resistito a tutto. A chi lo ha tirato ripetutamente per la giacca. A chi, ciclicamente, senza nemmeno chiederglielo, gli ha cucito addosso ruoli improbabili tipo Presidente di Lega; Consigliere Federale; Consulente universale e chi più ne ha, più ne metta. Toto, a tutti, ha risposto con un elegante: “No grazie, ho già dato”.

Tutto ciò fino al giugno scorso quando…
“Quando due amici come Alberto Castelli e Monica Salvestrin mi hanno chiesto di dare una mano al club con un intervento forte nell’area tecnica mettendo a disposizione le mie conoscenze e la mia esperienza a supporto della coppia Coldebella-Moretti”.

Perché la scorsa estate “sì” e in altri momenti del passato la tua risposta, a tutti, è stata, come ho già ricordato, un cortese ma fermo “No grazie”?
“La questione sarebbe lunga e articolata, ma sinteticamente potrei dire che nel frattempo erano cambiate diverse situazioni che, messe insieme, hanno agevolato il mio rientro in un mondo, quello della pallacanestro, che ho sempre sentito mio e che, tu lo sai bene, non ho mai abbandonato”.

Cos’hai ritrovato?
“Prima di tutto il piacere di collaborare con persone che mi sono amiche e stimo sia dal punto umano, sia professionale. Persone che mi hanno chiesto di essere il tramite tra coach Moretti, Coldebella e il CdA, con quest’ultimo che, come noto, relazionerà ai membri del Consorzio”.

Sei tornato al tuo posto con tutti i suoi “accessori”: il campo, il parquet, lo spogliatoio…
“Sia detto nessuna presunzione, ma come semplice dato oggettivo: ogni volta che entro a Masnago e mi guardo attorno faccio fatica ad individuare una persona che abbia visto e masticato più pallacanestro di me. Il che non significa automaticamente vista-capita, però, insomma, qualcosina di buono nel passato l’ho messa da parte pure io e, in ogni caso, aver giocato e visto “qualche” partita rappresenta un buon inizio”.

Soddisfatte finora le tue aspettative?
“Se parliamo di aspettative deluse o soddisfatte, per l’ennesima volta nella mia vita mi tocca sottolineare che il piacere sincero di fare e vivere la pallacanestro si scontra duramente con la logica di risultati che non arrivano e ti mettono, anzi, ci mettono di fronte ad un muro colmo di domande ancora irrisolte. Le più importanti delle quali sono ovviamente: dove abbiamo sbagliato? Cosa possiamo fare per rimediare? Così, pur essendo felicissimo di essere tornato in pista, e pur trovandomi a mio agio con le persone dello staff, è innegabile che i risultati negativi stiano condizionando in modo pesante lo stato d’animo, il lavoro che stiamo portando avanti e le prospettive”.

Recentemente hai detto di non esserti mai trovato in una situazione del genere. Strana dichiarazione per uno come te che, nientemeno, è stato presidente-proprietario per vent’anni e vicende del genere ne avrà vissute a dozzine. Come mai queste parole?
“Considerazioni assolutamente normali perché il mio ruolo attuale è totalmente diverso da quello esercitato in passato. Allora, essendo anche il responsabile economico della società, vivevo le situazioni in modo differente e, in buona sostanza, dovevo rispondere solo a me stesso”.

Detta con una battuta prima dovevi rispondere in toto… a Toto.
“Esatto. Oggi, invece, dovendo rendere conto del mio e del nostro operato ad un gruppo di persone – CdA e Consorzio -, sento in modo diverso la responsabilità”.

Cosa non ha funzionato o non sta funzionando?
“Primo punto dal quale occorre partire: quando, è il caso della Pallacanestro Varese, hai a disposizione il budget più basso della serie A, sei obbligato a giocarti qualche scommessa al tavolo verde. Di Maynor sapevamo benissimo che avrebbe avuto bisogno di tempo per tornare al massimo delle sua potenzialità. Tutti conoscevamo benissimo i limiti di Eyenga e Anosike. Abbiamo sicuramente pescato bene con Avramovic e Pelle, pur consapevoli che in diverse occasioni avrebbero pagato la tassa della gioventù. I fatti hanno detto che abbiamo cannato la scelta di Melvin Johnson il quale, pur accompagnato dalle classiche incognite dei rookie, non è mai riuscito ad esprimere la sua miglior qualità, il tiro, e ha reso molto meno di quanto ci si potesse aspettare”.

Fuori un Johnson, dentro un altro…
“Con Dominique la fisionomia della squadra dovrebbe essere più stabile anche se l’infortunio di Campani ci limita e ci rende simili ad un cantiere aperto. La speranza però, anche in situazione di mezza emergenza, è quella di metter via qualche vittoria, l’unica medicina per guarire da questi mali. Tutto questo per cercare di ripagare una piazza come Varese che, una volta di più, dimostra di avere tifosi eccezionali i quali, nonostante siano scontenti e giustamente critici, ci sono sempre vicini”.

Realisticamente, per quale obiettivo ti senti di poter correre?
“Nemmeno per un secondo abbiamo abbassato il livello di fiducia in un gruppo che, a nostro parere, ha le carte in regola per puntare ai playoff partendo ovviamente dal quinto posto perché i primi quattro sono già occupati da formazioni che oggettivamente sono più forti di noi: Milano, Reggio Emilia, Venezia e Avellino. Contro tutte le altre, anche se la classifica oggi esprime numeri diversi, ce la possiamo e dobbiamo giocare”.

Coach Paolo Moretti in discussione: giusto così?
“Paolo, lo abbiamo già detto e ribadito più volte, ha la nostra fiducia, però è chiaro che quando i risultati non arrivano tutti entrano nella centrifuga e tutti, allenatore compreso, sono in discussione. Detto questo, ognuno sa bene quali sono le responsabilità dell’allenatore”.

Tony Cappellari ha recentemente dichiarato che le squadre vanno fatte dai dirigenti e agli allenatori spetta il compito di metterle in campo nel miglior modo possibile. In Pallacanestro Varese sembra sia accaduto il contrario…
“Non entro nel merito di ciò che ha detto Cappellari nel corso di quella intervista. Il mio pensiero è diverso e continuo a ritenere che le squadre vadano costruite insieme ad allenatore e staff tecnico in un continuo lavoro di compromesso rispettando, è del tutto evidente, i budget e la disponibilità della società e i desideri del coach. A Varese, in modo convinto, ci siamo mossi lungo questa strada nonostante, e al netto, di un bilancio risicato”.

Considerazioni sui massimi sistemi: da esperto cosa suggerisci?
“Non vorrei entrare in questo ginepraio, pericoloso e ad alto rischio polemico. Mi limito a dire che chi si occupa di aspetti generali e lavora, come penso, per il bene della pallacanestro col fine di ricostruire qualcosa di positivo per un movimento che è in crisi, dovrebbe finalmente avere il coraggio di guardare esattamente dentro i bilanci di tutte le società. Fatto questo lavoro, indispensabile per ricominciare a camminare, bisognerebbe onestamente e obiettivamente buttare tutti problemi sul tavolo, analizzarli e guardandosi negli occhi lavorare insieme per trovare delle soluzioni”.

Eppure, dicono, molto lavoro sui bilanci è già stato fatto: comunicazioni frequenti, rigidi controlli sui versamenti delle tasse e via discorrendo…
“Vero, ma ho l’impressione che sia ancora una vasta area grigia che non può e non deve essere ignorata”.

Per concludere: Natale è alle porte, ma soprattutto c’è alle porte la lunga corsa verso il 2017 e fine anno è il periodo classico per prospettive e desideri. Auguri no perché, scaramanticamente, portano male…
“I nostri avversari in questa corsa li conosciamo bene, così come siamo perfettamente consapevoli delle prospettive. Tuttavia,  ribalterei il concetto: i desideri, nel nostro caso, non sono sogni, ma dura realtà in un domani in cui giocatori, staff tecnico e anche noi dirigenti dovremo sudare tutti insieme con una certezza: a Varese, la testa bassa, mai e poi mai…”.

Massimo Tuconi